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 2012  novembre 15 Giovedì calendario

INTERVISTA GIUSEPPE GUZZETTI


Sì, l’Unicredit è contendibile, come tutte le grandi banche ad azionariato diffuso» afferma Giuseppe Guzzetti, presidente dell’Acri (l’associazione tra le fondazioni di origine bancaria) e della Fondazione Cariplo, banchiere di complemento e alleato storico di Giovanni Bazoli, presidente della Intesa Sanpaolo. Guzzetti, 78 anni che non dimostra, ex leader dc lombardo mai lambito dall’ombra di un intrallazzo, è furbo, coriaceo, eppure mediatore. Non era intervenuto, finora, sul gossip finanziario dell’autunno, la fusione difensiva tra Intesa e Unicredit, smentita un po’ da tutti dopo essere stata autorevolmente ipotizzata dal Corriere della sera. E accetta di parlarne con Panorama, nel quadro di un’intervista a tutto campo sul settore che rappresenta da anni con grande energia e quasi con orgoglio: quello delle fondazioni di origine bancaria.
Dunque, nessun problema sull’Unicredit?
Che sia contendibile non significa che sia alla mercé del primo che passa. Le fondazioni bancarie socie non sono lì per fare salotto: pur avendo circa il 14 per cento , sono sempre state il perno di alleanze azionarie stabili. Perché sono sane e forti: anche l’anno scorso il sistema ha erogato ben 1,1 miliardi di euro in attività sociali che altrimenti nessuno sostiene.
Sono forti, quindi sono... poteri forti?
Ma i poteri forti non esistono: ogni tanto qualcuno li evoca per giustificare i propri insuccessi favoleggiando inesistenti interdizioni.
Scusi, ma davvero sull’Unicredit non bolle niente in pentola?
O si accettano le regole del mercato oppure no. Se un’azienda ha un azionariato diffuso, deve mettere nel conto che quest’azionariato possa cambiare. Detto questo, però, tanti anni di governance stabile, con liste sempre unitarie presentate dai soci italiani e stranieri in assemblea, dimostrano che l’istituto ha comunque una proprietà coesa, affiatata.
La nuova Iri, la Cassa depositi e prestiti nella quale le fondazioni hanno il 30 per cento, vuole comprare l’Ansaldo Energia: approverete?
Intanto non è una nuova Iri, poi se l’Ansaldo Energia rientra nelle priorità strategiche del Paese penso sia un bene che resti italiana.
Cos’è, nazionalista?
Sono per un liberalismo sociale, non finanziario; nessuno vuole rifare l’Iri e il mercato deve avere l’ultima parola, ma dev’esserci un modo per difendere il valore del radicamento nazionale di alcune attività strategiche.
Per questo è d’accordo che l’Intesa Sanpaolo, dove la sua Fondazione Cariplo è socio chiave, faccia la banca di sistema? Alitalia, il tentativo su Parmalat...
Ci risiamo con gli slogan: poteri forti, banca di sistema... La difesa dell’italianità non significa contraddire le regole del mercato ma fare politica economica. Se il centro decisionale di un’azienda emigra, le decisioni vengono prese da un’ottica diversa e per interessi prevalenti diversi. S’è visto con la Parmalat, le nuove strategie potranno comportare chiusure di attività in Italia. Una banca di sistema non fa che impiegare i soldi raccolti come tutte, per fare utili. Se e quando può, senza venire meno agli imperativi della buona gestione, li impiega volentieri a supporto delle attività economiche nazionali, che creano maggior valore anche per se stessa.
Torniamo alla Cassa. Ne controllate il 30 per cento ma incombe la conversione delle vostre azioni da privilegiate in ordinarie. Il governo pensava di incassare 4 miliardi, voi ne offrite 1: cosa accadrà?
Lo sapremo presto, questione di giorni. Siamo soci e vogliamo restare, ma se ci verranno avanzate richieste eccessive potremo sempre esercitare il diritto di recesso.
Presidente, che fa: minaccia?
Come si permette! Massima lealtà e collaborazione, però i contratti e il Codice civile si rispettano, e per contratto abbiamo anche il diritto di recesso, se ci inducessero a usarlo spiegheremmo il perché.
Non state trattando sottobanco?
Corbellerie, è tutto alla luce del sole, abbiamo dato tempo al governo però il tempo sta scadendo.
Che scadenza si dà?
Metà dicembre. Ma abbiamo fretta, perché quando riceveremo la proposta del governo dovremo decidere collegialmente, e un po’ di tempo ci vorrà. Non è che decido da solo.
Che cosa pensate di avere ottenuto, da azionisti della Cassa, che giustificasse l’investimento?
Finalmente una domanda importante. Siamo stati determinanti nel far sì che la Cassa investisse parte delle ingentissime risorse che le provengono dalla gestione del risparmio postale (lo sottolineo: importi marginali rispetto alle disponibilità e con le più ampie garanzie di salvaguardia di questi impieghi) per interventi a sostegno dell’economia e della società che diversamente non venivano fatti: il piano nazionale di edilizia sociale, il fondo di private equity per le piccole e medie imprese e il fondo strategico italiano.
Però la Cassa è servita soprattutto per finanziare il Tesoro rilevando le quote in Terna e Snam.
Anche se il Tesoro ha incassato risorse importanti, l’obiettivo prioritario era separare quelle reti dai gruppi di cui erano parte.
Hanno ragione quegli economisti che vi accusano di inquinamenti politici?
No. Chi applica correttamente la legge Ciampi non corre questo rischio. E anche la Consulta ci ha aiutato, prevedendo che la componente pubblica nell’organo di indirizzo delle fondazioni possa essere minoritaria, purché i territori siano comunque rappresentati. Oggi le rappresentanze degli enti locali nei nostri organi sono sotto il 30 per cento.
Ma la politica s’infiltra comunque...
La primavera scorsa ci siamo addirittura dati un codice di autoregolamentazione che determina una discontinuità temporale tra incarico politico svolto e nomina all’interno degli organi, sia in entrata sia in uscita. Si guardi piuttosto come operano le fondazioni. È tutto trasparente, si eroga solo attraverso bandi e progetti pubblicizzati sui nostri siti.
Però la politica vi coccola. Tanto che non pagate l’Imu, c’è un emendamento di questi giorni per farvelo pagare.
L’ho letto quell’emendamento, è totalmente inutile perché la legge c’è già e l’Imu noi la paghiamo. Quest’anno sborsiamo 3 milioni. Abbiamo subito anche altri aumenti, come tutti: l’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie dal 12,50 al 20 per cento e dal 2013 la modifica dell’imposta di bollo, che si tradurrà in una minipatrimoniale di svariate decine di milioni all’anno. Altro che non paghiamo... Tutti gli incrementi di tassazione sono ingenti somme sottratte agli interventi nel sociale. Ma c’è stato chi mi ha detto: voi pagate le tasse, che con i soldi che ci date al sociale provvediamo noi. Peccato però che il sociale sia stato abbandonato a se stesso.
Potrebbe andare peggio: c’è chi vi toglierebbe il patrimonio.
Sì, bruciando una volta per tutte la possibilità che dall’investimento di quel patrimonio vengano prodotte risorse da dedicare al welfare, alla cultura, al volontariato. E poi i nostri patrimoni non sono nati pubblici, non avrebbe senso che lo diventassero ora. La Consulta ha sancito che in origine i patrimoni delle casse di risparmio, dal cui conferimento hanno origine le fondazioni, erano privati, costruiti nei territori da chi ha creato e gestito le casse e dal risparmio delle famiglie; soprattutto su quei territori ne devono ricadere i frutti.
Alcune fondazioni hanno lavorato male. La Montepaschi, per esempio...
Il patrimonio delle fondazioni non è affatto a rischio, contrariamente a quanto sostiene qualcuno. Nessuna sta erogando parti di patrimonio. Il caso di Siena è da sempre a sé stante. Delle 88 fondazioni di origine bancaria 18 non hanno più partecipazioni dirette nelle rispettive banche e solo 14, più piccole, hanno oltre il 50 per cento per una deroga intesa a favorire la permanenza sui territori di banche autonome. La maggior parte del nostro patrimonio non è impiegato in attività bancarie e per la sua gestione ci affidiamo a gestori professionali italiani e stranieri.
Il vostro intervento nel sociale è davvero utile?
Fondamentale: 13,5 miliardi di euro in 10 anni. E ce ne sarà sempre più bisogno, con la crisi dello stato sociale.
Peccato che le vostre banche rendano ormai poco. Colpa anche delle imposizioni europee. Come mai non siete stati in grado di ottenerne l’attenuazione?
Abbiamo detto in tutte le sedi qual era il nostro punto di vista e perché l’avessimo ma... in Europa non se ne sono curati.
E pensare che le banche italiane sarebbero più sane di molto altre, o no?
L’Italia non ha messo soldi pubblici nelle banche, diversamente da Gran Bretagna, Germania e Francia, che hanno nazionalizzato. Le nostre banche non avevano titoli tossici,
e solo in misura minima avevano bond greci... Per questo io lamento una schizofrenia. Si accusano le banche italiane di avere in portafoglio troppi titoli di stato, ma se non li comprassero più, chi li comprerebbe in quella quantità? Oltretutto i nostri titoli di stato restano fra gli investimenti più sani. Per non dire che nel confronto a livello internazionale le banche italiane subiscono un regime fiscale penalizzante. Per tutte queste cose io ho fortemente criticato l’European banking authority, l’Eba.
Ma senza risultati, e del resto neanche il governo ha mai risposto a voi e all’Abi che chiedete la rivalutazione delle quote di Bankitalia detenute dalle banche.
Il discorso delle quote non riguarda le fondazioni, ma le banche e l’interlocutore è la Banca d’Italia. Sono in corso approfondimenti sul tema, sarebbe auspicabile che portassero presto a una conclusione.
Un’altra domanda che le piacerà: qual è la realizzazione di cui è più orgoglioso?
Sono due: la Fondazione con il Sud, che abbiamo creato insieme alle organizzazioni del terzo settore per sostenere il sociale nel Mezzogiorno, e l’edilizia sociale. Abbiamo appena consegnato a Crema i primi 90 appartamenti. Non case popolari, ma case belle, per agevolare la vita alle famiglie giovani. È un’esperienza della Fondazione Cariplo e partendo da questa si sta per realizzare nelle varie regioni uno straordinario piano di edilizia sociale privata, grazie al Fondo investimenti per l’abitare (Fia) e a fondi regionali e locali in cui sono presenti le fondazioni. Almeno 20 mila alloggi da offrire in affitto a prezzi vantaggiosi a quelle categorie in difficoltà che non rientrano nei canoni per accedere all’edilizia popolare pubblica e non sono in grado di sostenere prezzi di mercato.