Oliviero Beha, il Fatto Quotidiano 14/11/2012, 14 novembre 2012
UNA MATTINA A NAPOLI RAPINATO A MANO ARMATA
Di solito in questa rubrica bado a idee e opinioni, ma non sempre, e non stavolta. Cronaca di un fatto che può capitare a chiunque, e non solo alla moglie di Cavani, rapinata mesi fa. Ieri mattina ero al volante all’uscita dell’autostrada Roma-Napoli, con un mio amico a bordo. Nell’hinterland verso Casoria – che fino a ieri era per me essenzialmente il paese di Noemi Letizia e Berlusconi da cui aveva preso il via la lunga stagione del bunga bunga – si crea un intricatissimo nodo di traffico alla confluenza di più strade. Siamo fermi. Il mio finestrino è aperto di due dita, ma ho il braccio sinistro appoggiato e visibile un orologio al polso, apprezzabile ma non prezioso e comunque per me di grande valore affettivo. Mi affianca in un attimo uno scooterone con sopra due con il casco, particolare significativo perché ci sono zone del Napoletano in cui è letteralmente proibito indossarlo perché “impedisce l’identificazione del soggetto”, per esempio a Secondigliano.
Il passeggero mi urla ripetutamente “dammi l’orologio” e mi batte sul vetro con una rivoltella nera, forse una Beretta. Istintivamente e incoscientemente non lo faccio. Cerca di infilare la canna della rivoltella nello spazio sopra il vetro, urlando “ti ammazzo” e facendo scattare il colpo. Apro lo sportello, non glielo do, mi punta la rivoltella, mi tolgo l’orologio e lo butto per terra, nell’abitacolo. Sempre gridando e agitando l’arma quello, occhi spiritati, grasso e schiacciato nel casco, dice al socio di girare intorno all’auto per prendere l’orologio del mio amico, che scende dalla macchina e se lo vede rifiutare perché di poco valore. Mi dirà poi che esperto di napoletanità quando viene a Napoli non ha addosso nulla di qualche pregio. Mentre si svolge questa scena da me vista finora solo al cinema o in tv, tutte le auto intorno sono ferme, nessuno scende, nessuno suona il clacson in un silenzio irreale, quelle avanti a me ripartono lasciando qualche metro per la manovra. Allora riparto anch’io, strusciando un’auto vicino alla mia per passare, e i due mi inseguono sullo scooter ancora minacciandomi con la rivoltella prima che il guidatore dica “basta, andiamo”, e spariscano lungo la strada principale del crocicchio. Mi raggiunge il mio amico, la gente esce dalle altre auto, ci chiedono come stiamo, l’autista della macchina che ho urtato per allontanarmi guarda la strusciatura sulla sua carrozzeria e mi fa “non è niente, anzi ho preso la targa dello scooter ”… Fine del racconto.
Niente di nuovo, naturalmente, ma il bisogno di raccontarlo perché se capita a te è comunque un’altra cosa. E la voglia di ribadire che “non è normale” tutto ciò, neppure per i napoletani che pagano questo altissimo dazio e non sono rassegnati a “normalizzarsi ” nel loro western quotidiano. Quello che ha preso la targa non voleva fare un Cid assicurativo ma darmi una mano e non rimanere inerte nell’illegalità e nell’insicurezza. E anche gli altri astanti terrorizzati non parevano “abituati” a questo rischio di rapina continua, una specie di elemento meteorologico nel sole sfacciato di Napoli e dintorni. Voglio dire a uno come De Laurentiis, il presidente del Napoli, che dopo la rapina alla moglie di Cavani se ne uscì con una sorta di “se uno va per una città come questa con orologi di valore…se la va a cercare”, che è esattamente il contrario. La rapina non sostituisce il lavoro che non c’è, la cinica razionalizzazione dei De Laurentiis completa invece colpevolmente un disfacimento mentale cui in tanti, per fortuna, oppongono resistenza.