Massimo Calandri, la Repubblica 16/11/2012, 16 novembre 2012
ALL BLACKS, L’INDUSTRIA DELLA META IL MARCHIO È UNA MONTAGNA D’ORO
[Domani l’Italia li sfida: “Una scalata all’Everest”] –
Cambiando l’ordine dei marziani, il prodotto non muta. Ai comandi dell’astronave All Blacks possono tranquillamente permettersi di sostituire 13 dei 15 titolari dell’ultimo test-match. Lasciare in panchina Daniel Carter, il Messi del rugby. Mandare in tribuna il capitano Richie McCaw, per tre volte miglior giocatore del mondo. Tanto, lo sappiamo bene: sabato pomeriggio a Roma finirà come a Edimburgo, l’altra settimana, povera Scozia. Con i terrestri stremati e prigionieri dei guerrieri venuti dall’altro mondo, quello dell’emisfero di sotto. Con i 72 mila e passa dell’Olimpico – un altro esaurito per la palla ovale negli stadi del calcio - a celebrare il trionfo della “più perfetta macchina da guerra mai schierata su un prato verde” (parole di Shaun Edwards, allenatore del Galles: il prossimo sabato ancora tocca a lui, a Cardiff, fare i conti con gli alieni).
I migliori, i maestri. I tuttineri sono conosciuti e amati in ogni angolo del pianeta. Vincenti, ambasciatori del loro paese e dello sport. La inevitabile conseguenza è un marchio consolidato – All Blacks, appunto, più la felce argentata: uno dei quattro brand più famosi nel mondo, insieme a Ferrari, Manchester United, New York Yankees - che muove ogni anno montagne di denaro, subito reinvestite dalla Federazione nello sviluppo e formazione di giocatori e strutture. Adidas ha siglato con loro nel 2011 un contratto per 9 anni da 150 milioni di euro: a patto però che i neozelandesi vincano almeno il 75% delle partite giocate. Nessun problema. I campioni iridati non perdono da 17 incontri, e 16 sono successi. Lo stipendio annuale di un giocatore della rosa si aggira intorno ai 100.000 euro, per McCaw e Carter si parla 450-470.000. Ma chi decide di andare a fare fortuna all’estero perde automaticamente il diritto ad essere selezionato. Dal mese scorso sulla mitica maglia nera è comparso per la prima volta il nome di uno sponsor, Aig, colosso americano delle assicurazioni. Ci resterà almeno fino al 2018, con buona pace delle tradizioni. Steve Tew, manager federale, ha minacciato di boicottare i mondiali del 2015 se gli organizzatori non toglieranno le previste restrizioni commerciali, “che ci farebbero perdere più di 13 milioni di dollari neozelandesi” (circa 7,5 milioni di euro). Nel frattempo gli All Blacks hanno aperto un ufficio commerciale a Parigi, per meglio gestire il business europeo. Insomma: una macchina da guerra, ma anche da soldi.
Dicono che domani sia già tutto scritto. L’Italrugby è undicesima nel ranking, reduce da una sofferta vittoria con Tonga. In 12 precedenti sfide con il ba-bau abbiamo ovviamente perso e in media con uno scarto di 40 punti. Però il pubblico farà un tifo d’inferno. E la palla ovale compie strani, irregolari rimbalzi. «Sarà dura, soprattutto in mischia», commenta con diplomazia Steve Hansen, allenatore e comandante della navicella spaziale. Il ricordo va all’epico secondo tempo milanese del 2009, stadio Meazza e 80 mila spettatori, una serie di ingaggi orgogliosi e caparbi a un passo dall’ultima trincea nera: il giorno che, nonostante la sconfitta (6-20), il rugby azzurro prese il volo e il cuore di tutti gli italiani. Jacques Brunel, il nostro ct, schiera una formazione un po’ ‘piccoletta’ ma grintosa, con otto cambi rispetto a sabato: «Saremo come degli alpinisti che vogliono scalare l’Everest. Senza paura, pronti a sopportare il freddo e le intemperie».
Stamani alcuni All Blacks saranno protagonisti di un evento a sorpresa verso le 10, dalle parti di Castel Sant’Angelo. Non vi spaventate, sembrano marziani ma in fondo sono solo uomini. Dell’altro mondo.