Ettore Livini, la Repubblica 16/11/2012, 16 novembre 2012
QUANDO IL METEO È D’ORO IL BUSINESS DELLE PREVISIONI
Temporali che evolvono in micidiali “bombe d’acqua”. Oneste perturbazioni promosse a “cicloni mediterranei”. Con tanto di nome di battesimo come i devastanti cugini a stelle e strisce – Lucifero, Minosse o Circe – e séguito di migliaia di devoti fan online. Il meteo tricolore è entrato nel mondo un po’ hollywoodiano dello show-business.
Il primo a fiutare il vento è stato Emilio Fede, sfrattando dal video Mario Giuliacci e affidando isobare & C. alla professionalità delle Meteorine. Oggi il Tg4 ha fatto proseliti e le previsioni del tempo — una volta una scienza (quasi) esatta per graduati dell’aeronautica — sono diventate una branca del mondo dello spettacolo. Macinano share (in tv arrivano al 30 per cento di audience), clic (IlMeteo.it è il secondo sito italiano d’informazione) e fanno soldi. Tanti soldi. Risultato: il profumo del denaro ha trasformato il Belpaese in una nazione dove oltre alle alluvioni — sempre più frequenti — piovono migliaia di bollettini in tutte le salse. E le nuove Cassandre dell’anticiclone hanno scatenato una guerra senza esclusione di colpi contro le “vecchie glorie” dell’era Bernacca. «L’eccezionale acqua alta di 150 cm. a Venezia è stata prevista con precisione e una settimana prima da noi rispetto al centro maree (pubblico). Senza gravare sulle tasche dei cittadini!», festeggiava nei giorni scorsi IlMeteo.it. Quanto sono affidabili i nuovi oracoli del clima a scopo di lucro? Quanto guadagnano? E quanto danno fanno (se ne fanno) con il loro sensazionalismo al lavoro di chi deve prevenire davvero sul territorio i disastri atmosferici veri e non quelli presunti?
LA GUERRA
Il risiko delle previsioni tricolori è una sfida quotidiana a colpi di bollettini. Fatta di previsioni sballate come le “bombe d’acqua” preannunciate da un sito a fine agosto su Genova (fresca delle ferite dell’alluvione 2011) e smentite — correttamente, si è visto dopo — a stretto giro di posta dall’Arpa Liguria per tranquillizzare la popolazione. O da preallerta esagerati — con il senno di poi è facile dirlo — come quello del “ciclone” Cleopatra. Atteso con le sue piogge torrenziali (e con le scuole chiuse) da molti Comuni della costa campana per il 16 ottobre. Giorno in cui invece gli alunni di Torre del Greco e Portici hanno potuto giocare a pallone in strada sotto uno splendido sole.
Quali sono le forze in campo in questa guerra del meteo? Si tratta di due eserciti ben distinti tra di loro. Da una parte la storia “istituzionale” del clima tricolore, il
centro dell’aeronautica militare. Incaricato da decenni non solo di «garantire il 90 per cento del contributo italiano al meteo mondiale», come rivendica con orgoglio il colonnello Luigi De Leonibus, responsabile del servizio, ma anche di affiancare la Protezione civile e alcune Arpa (Emilia e Piemonte) nella prevenzione delle emergenze. Dall’altra c’è il mare magnum del meteo-show.
Se l’attendibilità delle previsioni si misurasse con le risorse spese per farle, l’esito del conflitto sarebbe scontato. La Difesa schiera otto centri di radiosondaggi per analisi sino alla troposfera, centinaia di stazioni di rilevamento locali più 900 persone dedicate, tra cui 120 meteorologi «con laurea specialistica, corso post-laurea e certificazione dell’Organizzazione meteorologica mondiale», spiega De Leonibus. Costo per lo Stato: 75-80 milioni l’anno. Le previsioni fai-da-te sono elaborate invece da strutture più snelle. «Noi siamo in 14 tra cui tre o quattro meteorologi (in Italia non serve alcun requisito per autoproclamarsi professionista nel campo, ndr.)» dice Antonio Sanò, numero uno di Il Meteo. it. Ai bollettini di 3bMeteo, che fornisce servizi a
La Repubblica, lavorano 15 dipendenti. E i loro investimenti si misurano nell’ordine delle centinaia di migliaia di euro l’anno. Quisquilie.
COME NASCE UNA PREVISIONE
Il problema è che i soldi e i “soldati”, in questa guerra, non sono tutto. E che per un perverso circolo vizioso, a fornire le armi alla concorrenza privata è proprio lo Stato italiano. Per capire come, basta seguire la filiera di dati, elaborazioni e algoritmi da cui nasce una previsione del tempo. Come si fa a capire se splenderà il sole o se pioverà? Chi ha in mano le informazioni necessarie per anticipare l’intensità di una perturbazione o prevedere caldo e siccità? Risposta facile: le osservazioni locali di base arrivano tutte dai servizi meteo nazionali pubblici (nel nostro caso da aeronautica e Arpa). Questi dati grezzi, in Europa, vengono uniti alle osservazioni dai satelliti, impastati con le serie storiche e le osservazioni su temperature e correnti marine ed elaborati dai supercalcolatori del centro di Reading, in Gran Bretagna, il Vaticano della climatologia continentale. Da qui esce una prima lettura ragionata e raffinata del tempo. In grado, per dire, «di anticipare di tre giorni», ricorda Paola Pagliara, responsabile rischio idrogeologico della Protezione civile, il rischio di “eventi estremi” in aree relativamente ristrette. Come è successo per la tragedia in Maremma di questi giorni.
Siamo però solo a metà strada, ancora lontani dal bollettino tv del Tg delle 20. E qui arriva il bello. Lo stato ha pagato milioni per foraggiare di dati Reading. Ma la produzione del centro Gb è in vendita per poche lire. E chi sono i principali clienti di questo servizio? Proprio i siti privati che oggi sbancano il Bingo del meteo guadagnando milioni. Li comprano («ci costano poche centinaia di migliaia di euro l’anno », conferma Sanò), li elaborano con modelli matematici personali (Il Meteo.it lavora con l’università di Belgrado) poi pubblicano le previsioni online o le vendono a terzi. Molti di questi siti «sono seri e fatti da esperti», ammette De Leonibus. Ma altri «tendono a forzare i toni solo per avere visibilità », come dice Sergio Brivio, responsabile di 3BMeteo. E chi vuol sapere se uscire di casa con l’ombrello o no, «finisce spesso per cadere nella rete di chi urla di più», sostiene Luca Mercalli, presidente della Società meteorologica italiana. Non solo: questo circo Barnum fatto di mappe sinottiche coloratissime, abuso di superlativi ed aggettivi e di una voglia matta di anticipare a tutti i costi la concorrenza, crea «gravi danni» a chi, come la Protezione civile, «ha la finalità di proteggere il territorio e salvare vite umane e non di vendere pubblicità», commenta amara Pagliara.
LA “TEMPO SPA”
Ma sono attendibili o no i pareri di questi apprendisti stregoni che ci raggiungono online, su smartphone e tablet? E quanto pesano le valutazioni “commerciali” sul loro lavoro? La risposta alla prima domanda è semplice: dipende. «Le previsioni si chiamano così perché c’è sempre un margine di errore», ricorda Brivio. Ma utilizzando i dati di Reading, «quelle fino a 72 ore sono molto attendibili per tutti», dice Pagliara. E anche un dilettante riesce a fare bella figura. La risoluzione dei vari modelli — ammonisce De Leonibus — «rende difficile però localizzare eventi estremi in aree molto ristrette». I costosissimi computer dell’aeronautica, per dire, hanno una buona risoluzione sui 3 km. quadrati. E ben difficilmente i competitor privati (pur vantando in teoria performance ancora migliori) possono avvicinare risultati così precisi. Oltre i tre giorni la qualità del bollettino è proporzionale al raffinato lavoro “umano” di elaborazione. E chi ha più uomini e teste a disposizione fa meglio. «Il 99,9 per cento delle nostre previsioni è generato elettronicamente», ammettono a 3BMeteo. E lo stesso vale per tutta la concorrenza privata. I dati oltre i 15 giorni — dice De Leonibus — «sono fatti solo sulla stagionalità». In soldoni, sono affidabili come un oroscopo.
Di chi fidarsi allora? «Noi abbiamo tutto l’interesse a fare le migliori previsioni possibili » dice Sanò, padrino delle famigerate bombe d’acqua, spesso nell’occhio del ciclone per i suoi report un po’ garibaldini.
«Allarmismi? Il contrario. Statisti-camente
siamo più precisi a Parigi di MeteoFrance (che ogni anno investe 389 milioni in ricerca...,ndr).
E spesso abbiamo anticipato per primi eventi estremi, dando la possibilità alla gente di prendere contromisure. L’aeronautica si infastidisce per l’arrivo di nuovi protagonisti». Se la bontà delle previsioni si misura in clic, ha ragione lui. Il suo sito a ottobre ha macinato 30 milioni di browser unici, cinque volte più del competitor più vicino. E nel giorno della storica nevicata su Roma ha toccato i 4,9 milioni di utenti unici. Due anni fa IlMeteo.it fatturava un milione di euro. Nel 2012 crescerà del 30-40 per cento e raccoglierà «6 milioni di pubblicità», snocciola orgoglioso Spanò.
IL BUSINESS DA ALLUVIONE
Quanto si può guadagnare con le previsioni del tempo? Tanto. I successi di Sanò, per dire, impallidiscono davanti ai numeri di Weather Channel. Il network a stelle e strisce ha il 76 per cento del mercato meteo Usa, arriva in 100 milioni di case. La sua app è la seconda più scaricata sugli smartphone dopo Facebook. Sul suo sito, nel giorno di Sandy, hanno navigato 300 milioni di utenti unici. E uno spot sulla sua piattaforma garantisce il 31 per cento di ritorno in più di un network tradizionale. Tre anni fa Cnbc e Bain (la società fondata da Mitt Romney) hanno pagato 3,5 miliardi per acquistare Weather Channel. Il business tra l’altro è ancora in fasce. «Il sito è solo una delle fonti di entrata possibili — dice Brivio — . Previsioni precise servono all’agricoltura, all’industria dell’energia, alle assicurazioni, al mondo dei trasporti». Il valore economico di un meteo azzeccato per un ettaro di terra coltivata a pomodori è di 600 euro l’anno. Luce e vento sono la materia prima di cellule fotovoltaiche e pale eoliche. «E il sole è il primo azionista di un’azienda di soggiorno», sostiene Umberto Buratti, sindaco di Forte dei Marmi che nel 2009 ha guidato la protesta della Versilia contro le Meteocassandre (private) che avevano previsto — sbagliando — una Pasqua piovosa. Un week-end di turismo rovinato, per dire, vale a Jesolo ben tre milioni. La cifra persa nel 2010 per dei bollettini sballati che ha convinto il governatore Luca Zaia a varare il meteo federalista del Veneto.
I rimborsi assicurativi per le tragedie meteo «sono cresciuti di 15 volte in 30 anni e proprio per questo le grandi aziende avranno sempre più bisogno di servizi meteo innovativi e accurati», spiega Amer Ahmed, amministratore delegato di Allianz Re. La guerra del meteo, insomma, è appena iniziata, fa scintille e genera milioni. E il nostro campione nazionale, l’aeronautica, deve giocarsela con le mani un po’ legate. «Giusto così — conclude De Leonibus — il nostro è un compito istituzionale. L’importante è che serva al Paese e ai cittadini». Un euro speso in ricerca meteo, assicura «ne fa risparmiare venti in danni evitati». Anche questo, in fondo, è un bilancio in utile.