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 2012  novembre 10 Sabato calendario

IN GERMANIA UNA GIUNGLA DI CARTELLI

[Uno spreco di denaro pubblico: ogni paletto costa 350 euro] –
Non ho ancora capito dopo vent’anni come, quando e dove posso parcheggiare sulla Kurfürstendamm, il viale principale di quella che era Berlino Ovest. Al centro in alcuni tratti si può, sotto gli alberi che dividono le due corsie. Ma ai lati? Divieto di sosta, dicono i cartelli, non per sempre, non per tutti.
Dipende dall’ora, dai giorni. La scritta che lo spiega in alcuni punti è lunga una decina di righe. Dovrei scendere a leggere. Perfino sotto casa mia non è chiaro, e lo imparai a mie spese. Avevo traslocato da alcuni giorni, non ero pratico del quartiere, parcheggiai tra molte altre auto in sosta. E mi portarono via l’auto: era lecito, ma solo fino alle 7 del mattino successivo. Peccato che il cartello con le spiegazioni si trovasse a un centinaio di metri. Gli abitanti della zona lo sapevano, io non ancora.
E il limite di velocità? Nella Schlossstrasse, il larghissimo viale che conduce al Castello di Charlottenburg, un cartello impone di andare a 30 all’ora, e venti metri dopo a 50, poi di nuovo a 30. Uno stop and go maligno. Ci sono un paio di scuole, e prolissi cartelli uno dopo l’altro spiegano quando posso accelerare e quando rischio la patente: al sabato posso arrivare a 50 perché gli studenti restano a casa. Tutto chiaro? No, perché subito dopo c’è un Kindergarten, ed è aperto sei giorni alla settimana. La sera posso correre? Per una ventina di metri, perché poi inizia la zona di quiete notturna. Di nuovo a 30. Da noi più che divieti sarebbero consigli, ma qui tra i cespugli nascondono i radar. Con 20 chilometri oltre il limite, rischio una manciata di euro, un chilometro in più e perdo un punto sulla patente. E se non sto attento al coprifuoco notturno, e arrivo a 60, potrei perdere la patente per un mese.
Le mie difficoltà sono condivise anche dai tedeschi. Il 68% confessa all’Adac, l’automobil club, di capirci poco, e di sentirsi insicuro nella Schilderwald, la foresta dei cartelli. È un record per l’Europa: altrove, in Francia o in Gran Bretagna, si arriva nei casi peggiori al 45. Per l’Italia, non so. Nelle statistiche ci dimenticano sempre più spesso. L’Adac dà ragione ai suoi soci: nel 2005 i cartelli erano 20 milioni, e adesso sono diventati 24 milioni, di fatto uno ogni ventina di metri. Ovviamente, non sono distribuiti con saggezza. Spesso te li schiaffano tutti insieme ai crocicchi, o prima dei lavori in corso: un bel gruppo di venti o trenta cartelli che ripetono in modo diverso divieti o permessi, o si contraddicono tra loro.
Non solo la quantità è eccessiva, ma anche la qualità dei cartelli: arrugginiti, illeggibili però validi, burocraticamente poco chiari, e illogici. Spesso sono coperti da altri cartelli, o da rami e foglie, o oscurati da cartelloni pubblicitari. E c’è un altro problema. I cartelli e la loro disposizione sono decisi da giovani abituati a lavorare sul computer, e sullo schermo la realtà appare piatta, così le frecce di direzione finiscono per indicare percorsi fantastici: dovrei schiantarmi contro un albero o precipitarmi nel Reno.
«Una mania tedesca», commenta l’Adac. Non si avverte solo di quanto sia vietato, ma si comunica anche quanto è permesso, il che dovrebbe essere superfluo per tutti tranne che per i funzionari del comune. Almeno la metà dei cartelli è inutile, tuttavia appena 150 località in tutta la Germania hanno seguito l’invito dell’Automobil Club razionalizzando la giunga dei segnali, con risultati positivi sul traffico, anche se gli incassi per le multe sono diminuiti.
Troppi cartelli sono uno spreco di denaro pubblico. Ogni paletto con un divieto costa almeno 350 euro, senza mettere in conto il compenso orario degli addetti. Una modesta razionalizzazione, calcola l’Adac, farebbe risparmiare 2,5 miliardi di euro. E dato che siamo in Europa si potrebbe anche avviare quella armonizzazione dei cartelli decisa alla Convenzione di Vienna nel mitico ’68. Ma sulle strade la rivoluzione della semplicità non è ancora arrivata.