VARIE 15/11/2012, 15 novembre 2012
APPUNTI PER GAZZETTA - ATTACCO A GAZA
corriere.it
Le sirene hanno suonato in tutta Tel Aviv. È la prima volta che accade dal 1991, quando si scatenò la Guerra del Golfo. Un missile Fajr 5, razzo in dotazione alle forze armate iraniane, è caduto in mare, di fronte alla costa di Giaffa, il sobborgo meridionale della metropoli israeliana. Non ci sono state vittime, ma il livello d’allarme in Israele è salito al massimo livello, esattamente come accadde 21 anni fa, al tempo degli scud scagliati da Saddam Hussein. Questa volta c’è anche una rivendicazione, da parte della Jihad islamica. Non hanno invece ancora una paternità certa i razzi scagliati da Gaza oltre il confine. Secondo quanto ha riferito un portavoce israeliano, tra mercoledì e giovedì sarebbero «centinaia» gli obiettivi colpiti, mentre almeno 25 missili sarebbero stati intercettati dal sistema di difesa Iron Dome System.
Gaza, nuovo attacco israeliano all’alba
Rcd
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LA RAPPRESAGLIA E LA DIFESA - I militanti palestinesi «pagheranno il prezzo per il lancio dei razzi contro Tel Aviv»: lo ha affermato il ministro della Difesa dello Stato ebraico Ehud Barak, citato da Al Arabiya. A parere di alcuni osservatori, a questo punto Israele potrebbe estendere la sua operazione sulla Striscia di Gaza, mentre il gabinetto ha autorizzato il richiamo dei riservisti dell’Idf, le forze armate israeliane. Nel sud di Israele, fino a 40 chilometri da Gaza, le scuole sono chiuse. In tutto il territorio israeliano e in Cisgiordania la polizia ha elevato lo stato di allerta, paventando attentati terroristici. L’esercito israeliano ha elevato lo stato di allerta lungo i confini con Libano e Siria.
TENSIONE - Sull’altro fronte, l’agenzia palestinese Safa, vicina al movimento Hamas che controlla la Striscia di Gaza, afferma che il bilancio delle vittime dei raid israeliani è finora di quindici morti, tra i quali due bambini e una donna incinta. I feriti sarebbero oltre 100. Oltre agli aerei F-16 e agli elicotteri Apache, le forze armate israeliane hanno sparato anche da alcune imbarcazioni posizionate vicino alla costa. Nel pomeriggio di mercoledì un raid aveva centrato l’auto su cui viaggiava Ahmed al-Jabari, comandante delle brigate al-Qassam, l’ala militare di Hamas, uccidendolo. Ma non si è trattato dell’unico attacco.
Raid su Gaza e sul sud di Israele Raid su Gaza e sul sud di Israele Raid su Gaza e sul sud di Israele Raid su Gaza e sul sud di Israele Raid su Gaza e sul sud di Israele Raid su Gaza e sul sud di Israele
FUNERALI -Mentre da una parte all’altra del confine piovono missili e minacce di guerra, migliaia di palestinesi hanno sfidato il clima di paura che si avverte nella Striscia e si sono radunati nel centro di Gaza per partecipare ai funerali di Al-Jaabari. La sua salma e quella di altri miliziani palestinesi uccisi negli attacchi di queste ore sono state traslate dall’ospedale al-Shifa alla moschea el-Omari, la principale di Gaza. Da là il corteo funebre ha raggiunto il cimitero del rione Sheikh Radwan. Mentre sulla Striscia continuano i raid israeliani, nella popolazione cresce la sensazione di dover affrontare un conflitto prolungato.
PALAZZO DI VETRO - Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si è riunito d’urgenza nella notte tra mercoledì e giovedì per discutere delle crescenti tensioni tra Israele e i palestinesi nella Striscia di Gaza. Nel corso di questa riunione a porte chiuse i 15 membri del Consiglio hanno ascoltato le ragioni esposte dai rappresentanti delle delegazioni israeliane e palestinesi. La riunione è stata convocata su richiesta dell’Egitto. Secondo il rappresentante palestinese all’Onu Riyad Mansour, durante i raid sono state uccise anche altre 9 persone. Mentre per Israele: «Hamas ha trasformato Gaza in un deposito di armi e munizioni arrivate dall’Iran».
EGITTO - Le autorità egiziane hanno deciso di aprire il transito di frontiera di Rafah, che separa l’Egitto da Gaza, per consentire l’evacuazione dei palestinesi feriti dagli ultimi attacchi israeliani nella Striscia. Il valico di Rafah sarà aperto 24 ore al giorno, compreso nel fine settimana, anche per introdurre aiuti umanitari.
GLI USA- L’ambasciatore degli Stati Uniti alle Nazioni Unite, Susan Rice, ha sostenuto in modo fermo la risposta militare di Israele agli attacchi palestinesi di Hamas, nel corso di una riunione del Consiglio di sicurezza emergenza a New York. «Nulla giustifica la violenza di Hamas e di altre organizzazioni terroristiche contro il popolo israeliano», ha detto Rice, mentre i rappresentanti dei Paesi arabi avevano chiesto al Consiglio di sicurezza di condannare Israele.
REPUBBLICA.IT
GAZA - Un razzo lanciato da Gaza ha raggiunto Tel Aviv: è la prima volta che succede dal 1991. Secondo le Brigate al-Quds, braccio armato della Jihad islamica, che ha rivendicato il lancio, l’ordigno è caduto su Holon, nella zona meridionale di Tel Aviv. Il portavoce dell’esercito israeliano ha chiarito che è invece caduto in mare, di fronte alla costa di Giaffa, senza provocare vittime. In tutta Tel Aviv le sirene hanno suonato e dai residenti è stata udita distintamente un’esplosione. La jihad islamica dice che il razzo lanciato è un missile Fajr 5: si tratta di un razzo in dotazione alle forze armate iraniane.
Se "l’aggressione di Israele continua è chiaro che le brigate al Qassam e Hamas attaccheranno gli israeliani, i soldati e i politici. Una pioggia di razzi si riverserà su di loro", ha affermato un portavoce di Hamas, Fawzi Barhoum, citato dall’iraniana Press Tv. Hamas ha respinto "qualsiasi possibilità di una tregua con israele in questo momento".
Nelle ultime 24 ore "il sistema Iron Dome ha intercettato 105 razzi, mentre 274 hanno colpito Israele": lo afferma il portavoce dell’esercito israeliano, precisando che sono saliti a 250 gli "obiettivi terroristici" colpiti nella Striscia di Gaza
E’ altissima la tensione al secondo giorno dell’operazione "Pillar of Defense" lanciata da Israele contro i gruppi armati nella Striscia di Gaza, che ieri ha portato all’uccisione del capo militare di Hamas, Ahmad al Jabari, la cui auto è stata centrata da un razzo israeliano. Intanto, l’Egitto si è rivolto agli Stati Uniti perché mettano fine "all’invasione israeliana contro Gaza". Il bilancio è di quindici morti e 130 feriti nelle ultime 24 ore a Gaza e tre vittime nel sud di Israele. Nella notte il presidente americano Obama ha parlato con il leader israeliano Netanyahu e con quello egiziano Morsi per discutere dell’escalation di violenze. E Il consiglio di Sicurezza dell’Onu si è riunito: non è stata presa nessuna decisione ufficiale, ma è stato lanciato un appello a entrambe le parti perché pongano fine agli scontri. Da parte sua il premier israeliano Netanyahu ha detto che Israele metterà in atto "qualsiasi azione necessaria per difendere il proprio popolo".
FOTO 1 e 2, VIDEO
Sette palestinesi sono rimasti uccisi oggi per i combattimenti in corso fra Israele e Hamas a Gaza. Due sono stati colpiti nel corso di un’incursione aerea israeliana nel nord della Striscia di Gaza e tre nel sud, a Khan Younes. Fra le vittime anche una donna incinta e almeno due bambini, di 7 anni e undici mesi. E stamane da Gaza i miliziani hanno ripreso a colpire con razzi le principali città del Sud di Israele sulle quali da ieri sono stati lanciati oltre 250 ordigni, fa sapere l’esercito israeliano: a Kiryat è stato centrato un palazzo e sono rimaste uccise 3 persone, mentre altre sarebbero rimaste intrappolate.
All’indomani dell’uccisione del capo militare di Hamas proseguono dunque le ostilità fra gli islamici di Gaza ed Israele. Stamane i miliziani palestinesi hanno ripreso a colpire con razzi le principali città israeliane nel Sud di Israele: Beer Sheva, Ashdod, Ashqelon. Un palazzo a Kiryat Malachi, nel sud di Israele, è stato colpito: tre persone sono morte e altre sarebbero intrappolate nella struttura colpita nell’attacco da Gaza. Secondo i media israeliani, sono rimaste ferite altre due persone, tra le quali un bambino. L’ufficio del portavoce dell’esercito israeliano ha precisato che dei 250 ordigni sparati verso Israele oltre 80 sono stati intercettati dal sistema di difesa anti-missilistico Iron Dome.
Nel sud di Israele, fino a 40 chilometri da Gaza, le scuole sono chiuse. In tutto il territorio israeliano e in Cisgiordania la polizia ha elevato lo stato di allerta, paventando attentati terroristici. Controlli anche lungo i confini con Libano e Siria. Il Parlamento israeliano discuterà nel pomeriggio il richiamo di unità di riserva per l’esercito israeliano. La richiesta è stata avanzata dal ministro della Difesa Ehud Barak, alla luce di quanto sta avvenendo nel Sud del Paese. Intanto, sono state chiuse al traffico alcune strade del Sud, prossime alla Striscia a causa del lancio dei razzi.
Allerta confine Egitto- Israele E’ massima allerta, intanto, al confine tra Egitto e Israele: rinforzi militari egiziani sono partiti dal quartier generale della II armata dell’esercito, ad Ismailiya, verso la frontiera con Israele. Lo riferisce il sito del quotidiano Al Ahram.
Funerali di Jabari Migliaia di palestinesi hanno preso parte al funerale del leader dell’ala militare di Hamas Ahmed Jaabari, nonostante il rischio di essere colpiti dagli attacchi israeliani su Gaza e la dichiarazione di stato di emergenza. Durante il trasporto verso la moschea della salma, avvolta in una bandiera verde del movimento Hamas, sono stati sparati colpi in aria e i presenti hanno scandito: "Dio è grande, la vendetta arriverà". Mentre alcuni piangevano, altri si sono raccolti intorno al corpo, tentando di toccarlo o baciarlo.
Il comandante ucciso Ahmed al Jabari, leader delle brigate Ezzedin Al Qassam, il braccio militare di Hamas, è morto ieri, colpito da un missile israeliano che ha centrato l’auto a bordo della quale viaggiava a Gaza. Secondo Ynet, l’edizione online dello Yedioth Ahronoth, nel raid aereo con al Jabari è morto anche il figlio. Oltre a Jabari è stato ucciso anche un altro responsabile militare della fazione islamica palestinese, Raed Attar. Al Jabari fu fra gli organizzatori della cattura e della detenzione del soldato israeliano Gilad Shalit, rapito nel 2006 e rilasciato nel 2011.
Obama e Netanyahu: "Hamas fermi gli attacchi" Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha parlato nelle ultime ore con il premier israeliano, Benjamin Netanyahu e con il presidente egiziano Mohamed Morsi sull’escalation della violenza nella Striscia di Gaza. Lo ha reso noto la Casa Bianca, secondo la quale il presidente ha riaffermato il diritto di Israele di garantire la propria autodifesa dal lancio dei razzi dalla Striscia, ma ha anche chiesto a Netanyahu di evitare vittime civili negli attacchi di rappresaglia. Obama e Netanyhau si sono detti "d’accordo sulla necessità che Hamas fermi i suoi attacchi", ma il presidente ha chiesto "ogni sforzo per evitare vittime civili".
Le reazioni Il ministro degli Esteri Giulio Terzi parla di un "momento molto preoccupante", aggiungendo: "è necessaria e urgente un’azione che riduca le tensioni, dia sicurezza a Israele e restituisca un minimo di tranquillità alla Striscia di Gaza".
Per il ministro degli Esteri britannico William Hague la "principale responsabilità" della nuova crisi tra Gaza e Israele è di Hamas, che dovrebbe cessare "immediatamente" i lanci di razzi. Mosca giudica i raid israeliani sproporzionati così come sono "inaccettabili" gli attacchi sferrati dai palestinesi nel sud di Israele: lo ha detto il portavoce del ministero degli Esteri russo, Alexander Lukashevich, condannando la nuova escalation di violenze in Medio Oriente.
Netta la condanna dei raid israeliani da parte di Hezbollah: nella Striscia di Gaza è in corso "un assalto criminale da parte israeliana", afferma in un comunicato il movimento sciita libanese.
"La presenza israeliana sulla terra palestinese ha i giorni contati", ha commentato Khaled Meshaal, capo in esilio dell’ufficio politico di Hamas, dopo l’escalation nella Striscia di Gaza. Intervenendo a Khartum all’ottava conferenza del movimento islamista sudanese, Meshaal ha affermato che l’obiettivo degli israeliani è la distruzione delle infrastrutture della resistenza. "Ma essi dimenticano", ha aggiunto il leader del movimento palestinese, "che la resistenza poggia su uomini e donne".
Morsi: "Aggressione inaccettabile" In un discorso al Paese il presidente egiziano Morsi ha affermato che l’Egitto si schiera "accanto al popolo palestinese per mettere fine all’aggressione israeliana su Gaza". "L’aggressione israeliana nella Striscia è inaccettabile e porta solo instabilità nella regione", ha aggiunto il presidente. Ieri l’ambasciatore egiziano in Israele è stato richiamato.
Il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen è rientrato anticipatamente dal suo viaggio in Europa, preoccupato per il precipitare della situazione nella Striscia. Sabato Abu Mazen sarà al Cairo per una riunione di emergenza della Lega Araba sul tema.
Pietre di argilla contro colonna di nube. Il conflitto di Gaza si combatte anche attingendo al Corano e alla Bibbia. Hamas ha scelto di chiamare il lancio di razzi verso il sud di Israele "Hijarat Al Sijil", traducibile come "pietre di argilla indurita". Il riferimento è alla Sura dell’Elefante in cui il testo sacro dell’Islam afferma che Allah mandò contro i nemici "stormi di uccelli che lanciavano pietre di argilla indurita". Gli israeliani hanno invece chiamato l’operazione su Gaza "Pillar of defense" in inglese ma "colonna di nube" in ebraico. Il riferimento è all’episodio del libro dell’Esodo quando agli ebrei, in fuga dall’Egitto verso la Terra Promessa, Dio manifestò la propria vicinanza con una "colonna di nube e di fuoco" che li guidò e disperse i loro nemici, gli egiziani, nei pressi del Mar Rosso.
(15 novembre 2012)
TMNEWS
Il Cairo, (TMNews) - "Abbiamo raggiunto un accordo: la richiesta sarà presentata il 29 novembre. Noi presenteremo la richiesta e chiederemo di votarla il giorno stesso".Il presidente palestinese Abu Mazen annuncia, davanti ai ministri degli Esteri dei Paesi arabi riuniti al Cairo, la data ufficiale scelta per presentare all’Assemblea generale dell’Onu la richiesta di ingresso della Palestina come Stato non membro. L’accordo sulla data è arrivato dopo l’incontro con il segretario generale della Lega araba, che risale a una settimana fa, nel quale il numero uno dell’organizzazione aveva offerto il suo sostegno alla candidatura."Non vogliamo rese dei conti con nessuno, Stati Uniti e Israele compresi - ha aggiunto Abu Mazen davanti alla platea - se sarà possibile cominciare un dialogo o negoziati il giorno seguente il voto, lo faremo".(immagini Afp)
ANSA.IT
di Michele Monni e Massimo Lomonaco) (ANSAmed) - RAMALLAH (CISGIORDANIA) - Nel giorno in cui chiude al pubblico il Mausoleo di Yasser Arafat e partono i lavori per riesumare la salma del leader dell’Olp nel tentativo di chiarire il motivo della sua morte, il presidente Abu Mazen (Mahmud Abbas) indica il prossimo 29 novembre come data scelta dall’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) per chiedere all’Onu di accreditare "la Palestina come Stato non membro" dell’organizzazione. La chiusura del mausoleo è stata annunciata al quotidiano al-Quds da Tawfiq Tirawi, il capo del Comitato ufficiale palestinese incaricato di far luce sulle circostanze della morte di Arafat e sulla possibilità che sia stato vittima di un avvelenamento da polonio. Tirawi ha sottolineato la necessità di condurre una serie di preparativi logistici - di un paio di settimane - nel contesto delle indagini condotte (con la supervisione dell’Anp) da esperti francesi, svizzeri e russi. La data esatta della riesumazione dei resti del presidente palestinese - richiesta di recente anche dalla vedova, Suha Arafat-Tawil - non è stata per il momento fissata, ha detto ancora Tirawi. Ma forse potrebbe essere non distante dal 29 novembre - Giorno Internazionale per la Solidarietà per la Palestina - in cui l’Anp riproverà, dopo il tentativo naufragato per il veto Usa del settembre 2011 con il Consiglio di Sicurezza, a mettere la parola "stato" davanti a quella di "Palestina".
Una mossa giudicata da Israele e Usa "unilaterale", che questa volta però ha maggiori chance della precedente. "Le tempistiche dell’istanza palestinese sembrano giocare a favore di Abu Mazen: Obama - ha detto all’ANSA Ghassan Khatib, analista e direttore del ’Jerusalem Media Center’ - potrebbe, svincolato da ragioni elettorali, non implementare le sanzioni economiche minacciate all’Anp come deterrente all’iniziativa palestinese.
Sull’altro fronte, Israele in questo momento è troppo impegnato a gestire l’escalation di violenza a Gaza e nelle alture del Golan al confine con Siria e Libano per fare pressioni sulla comunità internazionale contro ’l’avventurà palestinese’ ". Se approvata, la mozione certificherà l’ammissione al concilio mondiale con lo status di paese ’non membro’ (stessa posizione del Vaticano) con il riconoscimento dei territori antecedenti alla Guerra dei Sei Giorni (1967), di Gaza e Gerusalemme Est come parte del futuro Stato palestinese.
Le differenze tra la richiesta di oggi e quella di settembre 2011 sono fondamentali: da una parte le votazioni dell’Assemblea Generale, a differenza del Consiglio di Sicurezza, non prevedono l’opzione del veto e, dall’altra, servono soltanto i 2/3 dei voti per l’approvazione. Secondo fonti palestinesi, oltre 130 nazioni delle 193 dell’Assemblea (in maggior parte nazioni africane e asiatiche) hanno già assicurato il proprio appoggio e il voto, secondo le previsioni, potrebbe premiare la richiesta con una larga maggioranza. Israele, nei giorni scorsi, non ha fatto mistero della propria contrarietà. Il premier Benyamin Netanyahu ha ricordato recentemente di aver fatto "ufficiale richiesta al presidente Abbas di ritornare al più presto possibile al tavolo dei negoziati senza precondizioni perché è l’unico mezzo per il raggiungimento della pace". Al contrario, la scelta unilaterale dell’Anp potrebbe condurre, secondo Israele, ad una ulteriore instabilità nella regione, sia politica sia economica. "Una richiesta preliminare è già stata inoltrata al Palazzo di vetro - ha confermato all’ANSA il negoziatore capo palestinese Saeb Erekat - e in questi giorni una bozza semi ufficiale della richiesta è già stata inviata alla stampa internazionale e agli Stati membri dell’assemblea".
I paesi europei non hanno ancora preso posizione ufficialmente, la Gran Bretagna ha invitato l’Anp a posticipare la richiesta.
BATTISTINI OGGI SUL CORRIERE
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME — Non aveva telefonino. I suoi ordini erano pizzini. Inutile cercarlo per un’intervista: l’esigua scorta non sapeva mai i suoi movimenti e lui non si fidava di nessuno, nemmeno dei parenti. Per cinque anni, il tempo in cui tenne prigioniero Gilad Shalit, aveva vissuto sottoterra e grande fu la sorpresa, un anno fa, quando al valico di Rafah si presentò a una giornalista della tv egiziana per rilasciare, lui di persona e ben riconoscibile nonostante il mefisto, il soldato israeliano. Tanta cautela, che ne aveva fatto per dieci anni il vero leader di Hamas nella Striscia, l’imprendibile capo militare delle Brigate Qassam, non ha salvato Ahmed Said Khalil al-Jabari, 52 anni: «l’uomo dei razzi» è stato centrato ieri pomeriggio da un missile israeliano, quand’era in auto con suo figlio e due capataz del movimento islamico. La Kia grigia è saltata mentre percorreva l’Omar al-Muktar, centro di Gaza City.
Un’esecuzione mirata, non inattesa: per le modalità ricorda l’uccisione nel 2004 d’altri due leader, lo sceicco Yassin e Abdel Rantissi, che di Jabari erano i maestri d’armi; nei tempi sembra quell’escalation che quattro anni fa, proprio dopo le elezioni americane, portò ai 1.400 morti dell’offensiva Piombo Fuso.
Operazione «Colonna di fumo», l’hanno chiamata stavolta. Durerà giorni, promettono i generali dal bunker della Divisione Gaza, dov’è riunito il comando. Raid aerei in sequenza su Khan Yunis, almeno nove palestinesi morti (due bambine) e decine di feriti, una ventina d’obiettivi già colpiti, distrutti i missili iraniani Fajar che possono colpire Tel Aviv. È la prima crisi del secondo Obama. Nei giorni scorsi, gli Usa avevano dato l’ok a un blitz mirato, ieri il Dipartimento di Stato ha sostenuto il diritto d’Israele a difendersi condannando il lancio di razzi di Hamas: «Non c’è giustificazione per i codardi attacchi condotti contro Israele». Washington ha però esortato ad «evitare vittime civili».
Il limite bellico non è chiaro. Un portavoce militare non esclude un attacco terrestre, ma le perplessità (e le differenze rispetto al 2008) sono molte: i 35 mila di Hamas non possono certo impensierire un esercito di 625 mila soldati armati di F-16, Apache e Merkava, però è probabile che a Gaza stavolta si siano meglio preparati. Senza contare che nel vicino Egitto non c’è più l’alleato Mubarak a sigillare la frontiera e che i Fratelli musulmani, dopo aver negoziato un’impossibile tregua, hanno subito richiamato in patria l’ambasciatore a Tel Aviv (lo stesso ha fatto Israele con la sua feluca al Cairo), chiedendo riunioni urgenti della Lega araba e del Consiglio di sicurezza Onu. A gennaio, per di più, Netanyahu va al voto e ricorda bene come andò quattro anni fa: l’attacco via terra non finiva mai e alla fine costò caro al premier Olmert, mandato a casa dagli elettori.
Lo strappo diplomatico con l’Egitto è la prima, grave conseguenza dell’operazione su Gaza. Le nuove cannonate dalla Siria, sul Golan, potrebbero essere la seconda: che c’è di meglio del comune nemico sionista, per i leader arabi in difficoltà? Hamas lo sa e proclama l’emergenza. «Israele ha spalancato le porte dell’inferno», promette vendetta: su Ashdod, Ashkelon, Bersheva, sulle città del Sud è subito una pioggia di razzi, la gente chiusa nei rifugi, le strade deserte, scuole e mercati sbarrati fino a nuovo ordine. Dal 2001, da Gaza sono stati lanciati 14.616 missili su Israele. A Gaza, oltre 2.500 palestinesi sono stati uccisi dai raid aerei. È tornata la guerra, dicono i tg di Tel Aviv. Forse, non se n’era mai andata.
Francesco Battistini
PEZZO DI VENTURINI SUL CORRIERE DI STAMATTINA
Da almeno una settimana tra Israele e Gaza tirava vento di guerra. Hamas aveva lanciato un centinaio di razzi Qassam contro la città di Sderot, i militari israeliani avevano risposto con ripetuti raid aerei. Poi, ieri, il governo
di Gerusalemme ha deciso di colpire duro: una incursione mirata ha ucciso Ahmed al-Jaabari, capo dell’ala militare di Hamas e carceriere del caporale franco-israeliano Gilad Shalit liberato nell’ottobre del 2011 dopo oltre cinque anni di prigionia. E, quel che più conta, Israele ha spiegato che questa è soltanto la prima mossa di una più ampia «operazione
di pulizia» a Gaza, che potrebbe comprendere,
«se necessario»,
anche un intervento terrestre.
Una escalation di ostilità tra le due parti appare dunque probabile, tanto più che Hamas ha promesso vendetta accusando gli israeliani di aver «aperto i cancelli dell’inferno» e sul fronte opposto Netanyahu non può apparire debole mentre si avvicinano nello Stato ebraico le elezioni di gennaio. Si arriverà a una ripetizione della controversa «Operazione piombo fuso» di quattro anni addietro? È presto per dirlo, ma sin d’ora appare chiaro che il nuovo scontro frontale tra Israele e Hamas si colloca in una cornice internazionale profondamente cambiata rispetto al 2008.
È diverso l’Egitto, che tante volte ha mediato tra israeliani e palestinesi. Oggi al Cairo comandano i Fratelli musulmani, «fratelli» se non figli dei loro correligionari di Gaza. Il pur moderato presidente Morsi avrà molte difficoltà a restare neutrale, incalzato com’è dagli oltranzisti salafiti che già reclamavano una revisione del trattato di pace con Israele (ieri sera Morsi ha richiamato l’ambasciatore egiziano in Israele e chiesto alla Lega araba di convocare un incontro d’emergenza).
Sono diversi gli equilibri della regione, scossi dalla sanguinosa guerra civile in Siria. Nella complessa geografia dei gruppi islamici i sunniti di Gaza intrattengono un legame con l’Hezbollah libanese sciita, che a sua volta è vicino agli alawiti (sciiti) del governo di Damasco. Non soltanto. I gruppi sunniti dell’opposizione anti-Assad hanno appena concluso a Doha un patto unitario la cui tenuta andrà verificata, ma certamente alcuni di loro sono più anti-israeliani di altri e potrebbero riprendersi un margine di autonomia in caso di guerra a Gaza. Resi più fragili dalla vicenda siriana sono anche la Giordania, il Libano e naturalmente la Turchia, che nell’eventualità di una «Operazione piombo fuso II» si troverebbero a fare i conti con i loro fronti interni. Per non parlare dei palestinesi separati di Mahmud Abbas, che proprio in questi giorni hanno rilanciato la loro richiesta di diventare «membro osservatore» dell’Onu.
È diversa, malgrado la rielezione di Obama, anche l’America. Il capo della Casa Bianca non ha ottenuto progressi negoziali tra israeliani e palestinesi durante il suo primo mandato, e i suoi rapporti con Netanyahu non sono mai stati cordialissimi. Ora, mentre gli Usa tenevano d’occhio piuttosto le intenzioni israeliane nei confronti dell’Iran, arriva una possibile crisi a Gaza. Quando il presidente è alle prese con l’affare Petraeus, con un ampio rimpasto del suo governo e con l’impostazione del negoziato con i repubblicani per allontanarsi dal fiscal cliff. La posizione statunitense sarà certamente di piena solidarietà con il diritto alla difesa di Israele, ma è altrettanto indubbio che Washington tenterà di gettare acqua sul fuoco e suggerirà ad entrambe le parti reazioni proporzionate proprio per evitare l’escalation.
Poco resta da dire sugli europei, che svolgono un ruolo importante come finanziatori civili dei palestinesi di Ramallah ma che non sono mai riusciti a pesare più di tanto sull’ultradecennale vicenda del conflitto israelo-palestinese. Parole di buon senso, queste sì, vengono anche dagli europei: occorre riprendere le trattative di pace e nel contempo favorire un ravvicinamento inter-palestinese, vanno rispolverate le idee su un accordo complessivo, devono essere isolati gli estremisti. Giusto, ma dopo ieri la situazione dalle parti di Gaza più che al buon senso sembra affidata al grilletto.
Franco Venturini
FRANCESCA CAFERRI SU REPUBBLICA DI STAMATTINA INTERVISTA A YEHOSHUA
FRANCESCA CAFERRI
«È tempo che Israele riconosca che Gaza è un nemico. Ed agisca di conseguenza: smetta di fornire elettricità e far passare cibo. Dichiari ufficialmente che siamo in uno stato di guerra e agisca di conseguenza». Parole che non ti aspetti da Abraham Yehoshua, uno degli scrittori israeliani più famosi della sua generazione, a lungo icona del pacifismo. Oggi, deciso sostenitore della necessità di un intervento armato contro Gaza.
Signor Yehoshua, tornano le esecuzioni mirate. Qual è la sua reazione?
«Sono per principio contrario alle esecuzioni mirate. Non risolvono la questione. Questa azione arriva dopo giorni e giorni di lancio di missili sulle nostre città: e non credo cambierà nulla da questo punto di vista. Il fuoco continuerà e quindi questa sarà stata un’azione inutile. È questa considerazione che mi porta a dire che non si può trattare con Gaza come se fosse un territorio occupato o un gruppo di terroristi: Gaza è un nemico e come tale va trattato».
Cosa intende?
«Israele fornisce elettricità a Gaza, fa passare dal suo territorio cibo diretto a Gaza: e loro ci sparano. Se a spararci fosse la Siria, reagiremmo militarmente, non con esecuzioni
mirate».
Sta invocando una guerra?
«Parliamo di uno Stato, che ha un suo esercito e lo usa contro di noi. Ha un senso scegliere quali sono i cattivi in questa situazione ed eliminare solo loro? Non funziona, lo abbiamo già visto. La situazione va chiarita una volta per tutte».
E quindi?
«Io non sono un militare, non posso fare strategie: posso dire che siamo già in uno stato di guerra, ci sono lanci di missili contro Israele tutti i giorni. Dobbiamo dichiarare ufficialmente che siamo in guerra ed agire di conseguenza. Non si può trattare Hamas come un gruppo terroristico: è un governo e deve essere considerato responsabile delle sue azioni».
E la gente? I civili? Lei sa bene che i civili sono sempre le prime vittime di una guerra.
«Le rigiro la domanda: la gente di Gaza pensa alla gente di Sderot, che vive sotto l’incubo dei missili lanciati da Gaza? La gente di Gaza sta partecipando alla guerra contro Israele: abbiamo ritirato i coloni, siamo andati via, perché continuano a spararci? È la gente di Gaza che ha eletto il governo di Hamas, che - lo ripeto - è un governo responsabile delle sue azioni. In Israele questa situazione ha minato alle basi la fiducia nella possibilità di una pace con i palestinesi: gli israeliani oggi pensano che se si ritireranno completamente dalla Cisgiordania accadrà lì quello che già accade a Gaza. E che ci ritroveremo i missili a Gerusalemme e a Tel Aviv. Il comportamento di Hamas è uno dei più grandi ostacoli alla pace fra i palestinesi e gli israeliani».
Signor Yehoshua, lei ha parlato per anni della possibilità di una pace giusta fra israeliani e palestinesi. Ci crede ancora?
«Io penso che la pace non si fa con Gaza. Con il governo dell’Autorità palestinese c’è la possibilità di parlare: possiamo discutere di fermare gli insediamenti e di tornare alle frontiere del ‘67. Ma Gaza non risponde all’autorità del governo palestinese, Gaza è un’altra storia».
VITTORIO EMANUELE PARSI SULLA STAMPA DI STAMATTINA
Netanyahu ha cominciato alla sua maniera la campagna elettoraleperlelegislative,facendo assassinare il capo militare del partito-milizia di Hamas, a Gaza, con una serie di bombardamenti che hanno ucciso almeno 7 innocenti civili palestinesioltreadAhmadJaabarieasuofiglio (altrettantoinnocente).
Con questa decisione, il premier di Tel Aviv ha anche recapitato un messaggio al presidente degli Stati Uniti sinistramente analogo a quello inviato esattamente quattro anni fa con l’operazione «piombo fuso», ovvero l’attacco violentissimo contro la Striscia di Gaza, che causò oltre 1200 morti tra i palestinesi. I bombardamenti sono stati presentati come rappresaglia per gli attacchi contro le forze armate israeliane compiuti nelle scorse settimane da parte dei miliziani al comando di Jaabari e per il lancio di una cinquantina di razzi Qassam verso il territorio israeliano, che nelle scorse ore si era fatto più intenso, pur senza aver provocato morti tra la popolazione. È da escludere che quanto accaduto ieri non abbia serie ripercussioni sulla regione e non c’è da dubitare che, al di là delle dichiarazioni con cui si cerca di non criticare troppo apertamente i raid israeliani, a Washington regni perlomeno il disappunto. La scelta del momento per una simile azione – che comunque non trova nessuna giustificazione legale – apparentemente non poteva essere più infelice. O forse è meglio dire «rivelatrice» delle vere intenzioni che hanno mosso Netanyahu: ottenere un successo propagandistico ad uso interno e contemporaneamente contribuire a radicalizzare il quadro regionale, così da provocare quell’effetto di rally ’round the flag sul quale il premier israeliano conta per rendere ancora più difficoltoso il formarsi di una coalizione elettorale nel litigioso fronte della sua opposizione politica. La rivelazione, subito diffusa dalle autorità militari israeliane, che Ahmad Jaabari era stato «il carceriere del caporale Shalit» (il militare israeliano detenuto per sei anni da Hamas e poi rilasciato in cambio di un migliaio di prigionieri palestinesi) è volta a dimostrare la determinazione del primo ministro, che si staglia con ancora maggiore forza sull’immagine del profilo timido ed emaciato del coscritto Shalit, la cui vicenda aveva creato un movimento di forte e insieme tenera coesione nell’opinione pubblica israeliana e in larga parte di quella occidentale.
Evidentemente, una rappresaglia così violenta in questo momento, rende il quadro regionale ancora più teso, come se non bastasse la guerra civile siriana con il rischio che essa contagi il Libano e intacchi il già precario equilibrio giordano. Ed è appena il caso di accennare al fatto che l’omicidio di 9 persone a Gaza non potrà che costringere lo stesso Morsi ad assumere una posizione molto dura nei confronti del governo di Tel Aviv. Si tratta cioè di un vero e proprio regalo fatto alla componente più radicale dei Fratelli Musulmani (di cui Hamas è una lontana filiazione) e dei salafiti. Tutto questo proprio nel momento in cui il presidente Obama sembrava intenzionato a proseguire nella coraggiosa e cauta apertura di credito verso il regime egiziano, proprio allo scopo di concorrere alla stabilizzazione dell’intera regione. La cosa più triste, pensando alla tradizione democratica di Israele e alla straordinaria levatura morale di tanti dei suoi intellettuali, è dover prevedere che questo attacco sarà probabilmente interpretato dalle opinioni pubbliche arabe come una risposta indiretta alle «primavere» di questi due anni. Il fatto, sottolineato da tutti i commentatori, che esse avessero sostanzialmente disertato i più consueti «luoghi» dell’odio anti-israeliano, rischia di diventare solo un ricordo. E l’onda lunga della rabbia rivoluzionaria domestica potrebbe saldarsi con quella antica dell’esasperazione per l’umiliante e sistematica violazione dei diritti del popolo palestinese. Il rischio è che ne nasca un vero tsunami regionale, capace di far ritrovare gli Stati Uniti invischiati in un conflitto che non vogliono e che il presidente Obama si era ripromesso di contribuire a disinnescare nel corso del suo secondo mandato.