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 2012  novembre 15 Giovedì calendario

LAVORATORI SFRUTTATI E TRUCCHI PER EVITARE LE TASSE «IL MANIFESTO» ACCUSA: LA COOP NON SEI PIÙ TU


«La coop non sei più tu». Titolo a tutta pagina sul Manifesto, che, nel mezzo dello tsunami che sta per travolgerlo non rinuncia alla definizione di «quotidiano comunista» sopra la testata. Quasi a dimostrare che se morirà, come appare sempre più probabile, sarà a causa della sua diversità. Testimone di un mondo antico (nemmeno tanto piccolo) ucciso da un mondo che ormai ha accettato in modo uniforme le regole del capitalismo. la globalizzazione è un tema ricorrente nella requisitoria contro le cooperative. L’arringa è blasonata. Due pagine fitte scritte da una penna eccellente: Gabriele Polo che del quotidiano è stato direttore dal 2003 al 2009. Una lunga inchiesta perchè il sistema delle cooperative emiliane è stato «a lungo studiato» ma «poco raccontato». La conclusione è quella ben nota ma finora esiliata dal “pianeta rosso”: le cooperative non sono più quelle delle origini quando avevano il compito di «assistere i lavoratori dai rischi della disoccupazione, degli infortuni, della malattia, delle speculazioni sui prezzi dei beni di consumo e per trovare risposte alle mancanze di lavoro». Sono un’altra cosa: nella migliore delle ipotesi delle multinazionali (soprattutto nel campo delle costruzioni). Altrimenti dei trucchi che servono unicamente a mascherare forme di sfruttamento o a camuffare forme diffuse di lavoro nero. Ad accomunarle una serie di privilegi: dalla tassazione ridotta rispetto alle normali società di capitali fino alla possibilità di pagare i dipendenti fino al 30% meno della concorrenza («senza contare orari incontrollabili e sicurezza sul lavoro largamente inferiore agli standard normali»). Analisi che, a differenza di quanto sostiene Gabriele Polo, sono state più volte svolte sulla stampa indipendente. Tutte le volte, però, le accuse venivano respinte come «provocazioni» da parte dei nemici dei lavoratori. Chissà adesso che cosa risponderanno alle accuse del Manifesto i capi del movimento cooperativo. A cominciare dal leggendario Turiddo Campaini, presidente di Unicoop Firenze. Deve il nome, assai poco toscano, al padre che adorava Mascagni e la “Cavalleria Rusticana”: guida la struttura fiorentina di grande distribuzione dal 1973 quando ancora in Urss c’era Breznev. È crollato il Muro ma lui è rimasto al suo posto monumento vivente alla sapienza nel cambiare l’essenza lasciando intatta la forma. Esattamente la stessa capacità, accusa Gabriele Polo, dimostrata dall’intero sistema. L’etichetta di cooperativa è rimasta. Ma sotto è cambiato tutto. Erano nate per assistere i lavoratori deboli e sono diventate esse stesse strumento di sfruttamento. Valga per tutti, come ricorda il Manifesto, il caso degli operai egiziani di una cooperativa di Piacenza impegnata nei magazzini Ikea. Sono stati licenziati perchè chiedevano garanzie contrattuali e sindacali. I dipendenti di una coop rossa emiliana trattati ben peggio dei lavoratori di una multinazionale. A raccontarla così sembra un canone inverso ma Ikea si è premurata a spiegare che la vertenza riguardava un fornitore mentre è nota l’attenzione che lo stato maggiore della multinazionale svedese riserva ai suoi collaboratori. Quello del Manifesto è un regolamento di conti a sinistra? Come escluderlo. Soprattutto considerando che anche nel partitone emiliano appaiono anime diverse. Poche, però, accetterebbero di chiamarsi ancora comunisti. Almeno in pubblico.