Roberto Giardina, ItaliaOggi 15/11/2012, 15 novembre 2012
IL DIPENDENTE FEDELE È PREMIATO
[La bella Stossberger, 21 anni, quarta generazione in Daimler] –
L’azienda come una famiglia. Sarà retorico, ma i tedeschi ci credono. E anche gli imprenditori. Qui non esiste la mania del posto fisso, tanto deprecata dalla signora Fornero e da alcuni suoi colleghi, ma chi cambia non è punito, sceglie il lavoro che di volta in volta l’attira e, quando andrà in pensione, sarà come se non avesse mai cambiato.
Ma una maggioranza di dipendenti tedeschi preferisce rimanere sempre nella stessa azienda o ufficio; anzi, se possibile, passa il posto al figlio.
Una vecchia usanza italiana. Una tendenza in aumento, come dice Thomas Rhein, dell’Institut für Arbeitsmarkt und Berufsforschung (Iab), l’Istituto per il mercato del lavoro e sulla ricerca professionale: «Vent’anni fa, subito dopo la caduta del Muro, in media si restava nella stessa azienda per dieci anni e tre mesi; oggi si è passati a undici anni e due mesi».
Non è un record nell’Unione europea: in Francia, seguita dall’Italia, si resta più a lungo, sia pure non di molto. Bisogna però considerare che la fedeltà aziendale da noi è spesso forzata: il dipendente non saprebbe dove andare se desidera cambiare.
In Germania i lavoratori qualificati non hanno problemi o quasi, a meno che non siano paradossalmente troppo specializzati. Possono cercarsi un’altra azienda, e anche traslocare senza eccessivi problemi. Una casa si trova sempre e non a prezzi impossibili. Solo il 31%, secondo un sondaggio della Iab, prende in considerazione la possibilità di cambiare occupazione nei prossimi cinque anni.
Quando, agli inizi, ero cronista a Torino, ricordo il padre di un mio collega. Aveva lavorato tutta la vita alle presse alla Fiat; l’azienda lo aveva premiato con un distintivo con tre brillantini. Nessuno sapeva fare le portiere come lui, sosteneva, allora l’abilità individuale contava. Parlava sempre male della Fiat, ma guai a dargli ragione. Si arrabbiava e si offendeva. Lui solo aveva il diritto di criticare. Tempi mitici, e magari non tanto da lodare, ma era così. Il padre del mio collega a Torino non era un’eccezione.
La Welt am Sonntag riporta un esempio di fedeltà familiare: gli Stossberger lavorano alla Daimler a Stoccarda da quattro generazioni. L’ultima arrivata, Sandra, 21 anni, potrebbe tranquillamente trovare un posto più comodo in ufficio o, magari, tentare la fortuna come modella. Preferisce fare il suo turno alla catena di montaggio che comincia alle 4,30 quando è ancora buio: «Da quando ero bambina», spiega, «sapevo che sarei finita qui, e non mi dispiace affatto: ci conosciamo tutti, e molti sono vicini di casa».
Stoccarda come una Torino scomparsa. Una tradizione incoraggiata dalle aziende, non solo quelle medio-piccole. Anche alla Daimler non tutti i lavoratori sono uguali. L’abilità personale, sostengono, ha ancora il suo peso. Meglio avere dipendenti di cui ci si può fidare, di generazione in generazione. Alla casa automobilistica la media di fedeltà aziendale è di vent’anni, alla Continental (pneumatici) scende a 14,6 ma alla Commerzbank sale a 17 anni.
Non cambiare dà sicurezza, e ci sono altri vantaggi. In Francia, secondo gli studi della Iab, si riesce ad avanzare e a ottenere aumenti di stipendio più agevolmente cambiando posto. In Germania il lavoratore fedele viene premiato e ha prospettive di carriera. Il datore di lavoro non aspetta che il dipendente minacci di andar via per dargli quanto merita. Trovare lavoratori qualificati diventa sempre più difficile, e nessuno vuol perdere un operaio o un impiegato in gamba. E le famiglie sono una garanzia: se il nonno e il padre erano bravi, lo saranno quasi sicuramente il figlio e il nipote.