Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  novembre 12 Lunedì calendario

Il governo dei Prof si è dimenticato dell’Italia digitale - La nebbia digitale, lenta­mente, comincia a diradarsi

Il governo dei Prof si è dimenticato dell’Italia digitale - La nebbia digitale, lenta­mente, comincia a diradarsi. Il governo Monti, dopo tanti an­nunci caduti nel vuoto e a pochi mesi dalla fine della legislatu­ra, muove i primi passi verso il consolidamento di un disegno delineato fin dai primi giorni del suo insediamento, ma mai reso esplicito. La triade della po­litica dell’innovazione, dello sviluppo economico e dell’am­ministrazione pubblica, in pa­role povere i ministri Profumo, Passera e Patroni Griffi, dopo tante chiacchiere e poco credi­bili promesse mostra le sue car­te. Quel che si inizia a vedere non può che preoccupare e spingere ad un ulteriore richia­mo al presidente Monti affin­ché la smetta di «prendere at­to » delle decisioni dei suoi mini­stri e si assuma per una volta le proprie responsabilità. Non ba­sta dichiarare quanto l’econo­mia digitale sia importante per il Paese e per la sua crescita prossima ventura, se i fatti poi dimostrano la volontà di anda­re in direzione esattamente contraria. Leggiamo di strabilianti pro­getti in materia di comunità in­telligenti, scuola digitale, sani­tà o giustizia elettronica. Di Agende e Agenzie per l’Italia Di­gitale, di un mondo meraviglio­so che, grazie a colossali investi­menti ( si parla di 2,5 miliardi so­lo per il prossimo anno) sarà re­alizzato in pochi mesi. Il decre­to per la digitalizzazione, furbe­scamente chiamato «crescita 2.0», delinea scenari che nel breve volgere di qualche setti­mana trasformeranno la no­stra economia e il nostro Paese. Una riforma apparentemente radicale che in molte sue parti dipende, tuttavia, dall’adozio­ne o­meno dei relativi provvedi­menti attuativi, dalla disponibi­li­tà reale delle risorse economi­che, dalla capacità di progetta­re e mantenere elementi infra­strutturali e di governo delle ini­ziative avviate. Il ministro Passera dichiara pubblicamente che ci stupirà per la rapidità delle decisioni del governo. Per fortuna, vista la lentezza con la quale si muo­ve oramai non gli crede più nes­suno. Il governo parla di una strategia capace di elevare qua­si di un quarto di punto stabil­mente e strutturalmente il tas­so di crescita del Pil nazionale, ma non spiega cosa in concreto ritiene di poter fare. Guardiamo avanti e cerchia­mo di capire meglio quale sarà l’eredità che il regista digitale Passera e i suoi colleghi stanno preparando per chi tra poco ver­rà a prendere il loro posto. E, se possibile, limitiamone gli effet­ti negativi. Occorre dividere in due il problema: 1) cosa resta in materia di strumenti e iniziati­ve per la promozione e l’innova­zione nelle imprese, special­mente quelle piccole e medie? 2) Cosa resta in materia di tra­sformazione della macchina pubblica grazie alle tecnologie e ai servizi digitali? Sul primo fronte c’è poco da dire: le misure del decreto cre­scita 2.0 non riguardano i temi (tante volte annunciati) del commercio elettronico,dell’al­fabetizzazione informatica e della diffusione dell’uso di in­ternet attraverso il potenzia­mento delle reti telematiche e delle infrastrutture di teleco­municazioni. Fatta eccezione per qualche piccolo aggiusta­mento nei tempi di autorizza­zione ai lavori di scavo per la po­sa di cavi o per l’esenzione dal pagamento dell’imposta di bol­lo per le imprese cosiddette start-up innovative , le iniziati­ve de­l governo finiranno per tra­dursi in un nulla di fatto e, in so­stanza, in un’altra buona occa­sione sprecata. Non così sembra essere per quanto riguarda le misure per la modernizzazione dell’azio­ne amministrativa: su questo fronte, il governo sta realizzan­do un proprio disegno che la­scia un’eredità negativa pesan­te. Le mosse in materia di inno­vazione e di modernizzazione della macchina burocratica, in breve sintesi, sembrano essere quattro: 1) bloccare le riforme e i processi messi in campo dal precedente governo; 2) sman­tellare gli elementi strutturali che collegano in una dimensio­ne sistemica le amministrazio­ni centrali e quelle territoriali; 3) concentrare in poche mani amiche la responsabilità degli acquisti di beni e servizi infor­matici; 4) ritornare a un model­lo di «Stato Imprenditore» nel­la progettazione e gestione dei sistemi informativi della Pub­blica Amministrazione. La prima mossa si è concretiz­zata nel riporre in un cassetto tutti i provvedimenti di attua­zione del Codice della ammini­strazione digitale, una sorta di costituzione della Pubblica Am­ministrazione finalizzata al suo progressivo orientarsi all’uso delle tecnologie della società dell’informazione nei servizi ai cittadini e alle imprese. Sono spariti così dall’orizzon­te strumenti importanti di ridu­zione della spesa pubblica e di semplificazione nelle comuni­cazioni tra Pubbliche Ammini­strazioni e tra l’amministrazio­ne e i cittadini e le imprese: dal­la fattura elettronica al passag­gio dalla carta al digitale; dalla sicurezza nelle transazioni elet­troniche ai pagamenti on-line; dalla promozione della firma elettronica alla condivisione delle banche dati di interesse nazionale; dalla continuità ope­rativa alla ricetta medica elet­tronica. Non si trattava solo di dare concreta attuazione a una norma ma, soprattutto, di ren­dere efficaci gli strumenti indi­spensabili ad un recupero di produttività della burocrazia, riducendo i costi e migliorando la qualità dei servizi. Chi guada­gna dalla minore produttività della Pubblica Amministrazio­ne se no­n alcune imprese tradi­zionalmente fornitrici di beni e servizi e qualche funzionario compiacente? Facciamo due conti semplici semplici. Se stimiamo pari al 2% la riduzione degli oneri per spese di personale grazie all’in­troduzione di nuove tecnolo­gie digitali, otteniamo un rispar­mio di circa 2,8 miliardi di euro all’anno. Se stimiamo in circa 2 euro a ricetta, il risparmio per il passaggio dalla carta al digitale abbiamo un risparmio poten­ziale di oltre 1,2 miliardi di eu­ro. Se diffondiamo la fattura elettronica, si riducono i costi di gestione amministrativa di oltre 1 miliardo di euro. Se gra­zie all’amministrazione digita­le recuperiamo un 5% di produt­ti­vità dell’intero sistema econo­mico, il Pil cresce di almeno lo 0,5%. Non è un caso se nella Re­lazione della Corte dei Conti sul pubblico impiego del mag­gio 2012 si legge: «Dopo una pa­rentesi positiva registrata nel 2010, la produttività riprende un trend negativo». Da qui la seconda mossa: bloccate le riforme, garantire continuità a un percorso all’in­dietro. Non basta fermare il tre­no in corsa: occorre anche smantellare le rotaie per essere certi che ripartirà con grande fa­tica. Tra le infrastrutture fonda­mentali disegnate nell’ultimo decennio una importanza par­ticolare riveste il «Sistema pub­blico di connettività ( Spc)». È la base principale su cui immagi­nare e costruire servizi innovati­vi della pubblica amministra­zi­one e per la pubblica ammini­strazione. Con una serie di decreti, la cui urgenza a questo punto è per lo meno sospetta, i ministri della triade hanno di fatto smantellato tutto. Risultato: ognuno per sé. E via libera alle imprese di vendere a tutte le am­ministrazioni in modo disarti­colato e a costi ben superiori. Le imprese sembrano conten­te, ma la loro è una visione mio­pe: il vantaggio di oggi si tradur­rà presto in una crisi di domani. Allora la terza mossa: concen­trare in fantomatiche «centrali di committenza» la responsabi­lità degli acquisti sotto il falso ombrello del risparmio di spe­sa. Se vengono meno i punti di raccordo si rischia infatti di ave­re troppi interlocutori. E que­sto a qualcuno non piace. Il cerchio si chiude con la quarta mossa: confondere i pe­rimetri che separano le società partecipate da amministrazio­ni pubbliche e le imprese che operano su un mercato compe­titivo, creando allo stesso tem­po spazi di privilegio per le pri­me a danno delle seconde. Per questo si rincorrono testi nor­mativi, emendamenti, appunti riservati, puntualmente pubbli­cati sul web, che dicono come le grandi società pubbliche si candidano a spazzare via il mer­cato e a ricostruire una sorta di nuova Finsiel al quadrato. La stagione delle imprese pubbliche di informatica l’ab­biamo già vissuta. E non sono in molti a rimpiangerla. In con­clusione, un’eredità non facile da digerire: buco di bilancio per mancati investimenti in tec­nologie; ritardo nella moderniz­zazione; rimozione delle infra­strutture digitali; ricostruzione di nuovi centri di potere attra­verso società pubbliche a cui af­fidare contratti e servizi in bar­ba alle regole degli appalti pub­blici. La discussione sul decre­to crescita 2.0 potrebbe essere l’occasione per limitare i dan­ni. Cari ministri, se il Paese vi sembra addormentato, sappia­te che così non è. E che in gene­re vince la saggezza popolare quando insegna che tutti i nodi, prima o poi, vengono al petti­ne. VANTAGGI