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 2012  novembre 12 Lunedì calendario

Anna, l’ex pm che sogna il Csm azzoppata dal marito inquisito - Peggio di così non poteva andare ad Anna Finoc­chiaro nell’affannosa ri­cerca di una poltrona sostituti­va di quella che perderà nel 2013

Anna, l’ex pm che sogna il Csm azzoppata dal marito inquisito - Peggio di così non poteva andare ad Anna Finoc­chiaro nell’affannosa ri­cerca di una poltrona sostituti­va di quella che perderà nel 2013. La piacente senatrice del Pd, da sei anni capogruppo a Pa­lazzo Madama, dovrà infatti la­sciare il Parlamento nel quale piantò le tende cinque lustri fa. Vi arrivò trentaduenne facendo strage di cuori con la sua pro­rompente- ma distante - bellez­za all’antica, se ne va cinquanta­settenne statuaria e severa co­m’era venuta, ma più furbastra e rotta ai sotterfugi di Palazzo. Con sette legislature alle spal­le, Anna ha stracciato il limite di tre fissato dallo statuto del parti­to. Né può sperare in un’eccezio­ne per i suoi meriti, poiché due calibri più grossi e di pari anzia­nità parlamentare, Walter Vel­troni e Max D’Alema, hanno de­ciso di ritirarsi, rinunciando a trattamenti di favore. Risoluzio­ne che l’ha spiazzata togliendo­le ­ogni illusione di rivestire il lati­clavio ancora qualche annetto, giusto per toccare la sessantina, spruzzare di grigio i folti capelli e tornare pacificata nella sua Ca­tania profumata di zagare. L’im­provvida alzata d’ingegno dei due dioscuri, è stato il primo ostacolo contro cui ha cozzato la sua ferma volontà di sedere comunque su una bella poltro­na nei prossimi anni. Il secondo intoppo è più per­sonale. Sfumata la possibilità di Palazzo Madama, Anna ha pen­sato di trasmigrare al Csm quale membro eletto dal Parlamento. Si garantirebbe quattro anni di auto blu, un buon appannaggio e il presentat’arm del piantone all’ingresso.Come ex magistra­to, ne ha la capacità tecnica; co­me onorevole di lungo corso, la caratura politica. Per la riuscita del piano, si è affidata a Pier Lui­gi Bersani, segretario del partito e maestro di trattative sottoban­co. È il suo faro da quando, Max D’Alema, l’idolo d’antan, si è sfa­rinato. Tutto pareva filare liscio fin­ché, a fine ottobre, la magistratu­ra catanese le ha rinviato a giudi­zio il marito, Melchiorre Fidel­bo, per abuso di ufficio e truffa. Inquietante da parte degli ex col­leghi l’incriminazione del con­giunto in coincidenza con la candidatura al Csm. Segnale di non gradimento o atto dovuto non rinviabile? Chissà. E anco­ra: è opportuno per una signora che ha sotto processo l’amato consorte (Fidelbo e Finocchia­ro sono coppia affettuosa e affia­tata) l’ingresso nell’organo di controllo dei giudici o, invece, la nomina rischia di apparire una pesante interferenza nella causa? È un brutto pasticcio, senatri­ce, e non le sarà facile decidere appropriatamente alla luce del­la sua storia. Ricordo, da fervido ascoltatore delle sue intemera­te in tv, quante volte con la sua voce dalle profonde risonanze baritonali ha condannato a spa­da tratta­chiunque sia stato sfio­rato dal sospetto. Ferrigna e im­pietosa, ha giudicato il ministro Bossi, caduto in disgrazia, «in­compatibile col ruolo che rico­pre»; ha ingiunto a Tremonti di «dimettersi»,per un presunto af­fitto di favore; su Claudio Scajo­la, che già si era dimesso, ha vo­luto egualmente infierire rile­vando che la situazione «era in­sostenibile »; per tacere dei reite­rati liscio e busso al Cav, tra epi­teti ( «nano della politica») e ana­temi («deve farsi da parte, è in­compatibile »). Quindi, per tor­nare al suo dilemma se insistere o desistere dal Csm, dovrà ora mostrarci se la sua implacabili­tà, finora applicata ad altri, vale anche per sé. L’imputato Mel­chiorre è un bravo ginecologo, un ottimo compagno e il primo fan della moglie. Incoraggiò An­nuzza a entrare in Parlamento nonostante fosse incinta e ha ac­cudito la p­rima quanto la secon­da bambina mentre lei si faceva strada a Roma. Per un quarto di secolo è rimasto pressoché invi­sibile finché, un annetto fa, è bal­zato alle cronache per avere ot­tenuto - in favore di Solsamb srl cui è cointeressato - un appalto regionale di 1,7 milioni per infor­matizzare il presidio sanitario di Giarre. Forse è stato preso di mira a causa della moglie illu­stre, fatto sta che il giorno del­l’inaugurazione dei lavori un ti­zio inalberò un cartello con la scritta: «Anna Finocchiaro, ver­gognati ». Con un balzo, lei gli fu addosso. «Vergogna di che?», si­bilò. La scena fu ripresa, un pe­riodico di Catania pubblicò il vi­deo, Finocchiaro minacciò que­rele e la faccenda divenne pub­blica. La Regione mandò ispet­tori che sentenziarono la viola­zione delle regole e l’appalto fu revocato. Emerse che, per otte­nerlo, Melchiorre avrebbe fatto indebite pressioni e aleggiò il so­spetto - maligno e non provato­che la potente consorte ci aves­se messo lo zampino. Di qui, il processo e l’antipatica impasse che ora costringe Annuzza a ri­vedere i programmi futuri. La senatrice è senza dubbio un’ambiziosa carrierista che ce­la le mire personali col paraven­to del femminismo. Non riven­dica gli onori per sé - sostiene ­ma per affermare il diritto della donna a raggiungere i massimi traguardi che la lobby maschile le preclude. «Il fenomeno - ha so­stenuto - si chiama soffitto di cri­stallo: le donne vedono le cari­che più alte, ma un soffitto di cri­stallo impedisce loro di salire». Finocchiaro parla per esperien­za. È stata infatti candidata alle supreme sfere, ma poi lasciata con un palmo di naso da un uo­mo. Nell’aprile 2006, doveva di­ventare ministro dell’Interno di Prodi. La spuntò invece Giulia­no Amato. Il mese successivo, circolava il suo nome come ca­po dello Stato, dopo che Prodi aveva bofonchiato: «Ci vuole un segno di novità. Magari una don­na ». Al Quirinale salì invece Na­politano. Lei, che si era illusa, di­chiarò indispettita al Corsera : «Un uomo col mio curriculum l’avrebbero già nominato presi­dente della Repubblica». Esage­rava. All’epoca, il suo curri­culum erano cinque legislature da ciompo e un ministero senza portafoglio (Pari opportunità) nel 1996. In realtà, è stata più vit­tima di se stessa che della ma­schia prepotenza. Esemplare la vicenda della candidatura nel 2007 alla segreteria del nascen­te Pd. Nell’ultimo congresso dei Ds a Firenze, maggio 2007, Fi­nocchiaro fece un divino discor­so, interrotto da ventuno ap­plausi. Aveva il partito in pugno e le vele al vento. D’Alema, suo mentore, la benedisse: «Sei tu la mia candidata» alla guida del fu­turo Pd. Invidiosetta ma profeti­ca, la collega Livia Turco osser­vò acidula: «D’accordo su una donna. Ma non strumentalizza­ta dagli uomini». Annuzza fece spallucce e, poiché su Max avrebbe messo la mano sul fuo­co, si cullò nell’attesa dell’inco­ronazione. Era ancora impalata alla promessa, quando in giu­gno Fassino e D’Alema, in com­butta con l’interessato, si accor­darono su Veltroni capo del Pd. Finocchiaro seppe del bidone a cose fatte. Non sbatté il pugno sul tavolo, né sul grugno di D’Alema. Si accucciò all’istan­te, prona e obbediente, con il ti­pico riflesso comunista di sogge­zione al capo. Ecco perché, a fu­ria di inghiottire rospi, è ancora inappagata e tuttora ingorda di pubbliche prebende. A noi pa­gare il conto delle sue frustrazio­ni.