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 2012  novembre 11 Domenica calendario

Stragi e Br, quei depistaggi tra Bologna e Brescia - Bologna-Brescia, andata e ritorno. Due stragi, un lungo filo rosso costella­to ( e inesplorato) di coinciden­ze

Stragi e Br, quei depistaggi tra Bologna e Brescia - Bologna-Brescia, andata e ritorno. Due stragi, un lungo filo rosso costella­to ( e inesplorato) di coinciden­ze. Sugli incroci arabo-brigati­sti intorno alla strage alla sta­zione del 2 agosto 1980, rimasti indecentemente nei cassetti per un quarto di secolo, il 6 set­tembre rivelammo che la notte precedente l’esplosione, in un hotel a 200 metri dalla stazione di Bologna, dormì Francesco Marra, personaggio vicino alle Br poi accusato dal capo Fran­ceschini di essere un infiltrato( Marra ha sempre negato). Que­sto signore, definito all’epoca della strage dalla Digos di Mila­no «esponente di estrema sini­stra e simpatizzante Br», nel gennaio 1981 riferì a verbale di essere stato in quell’albergo per turismo con un’amica. Quella stessa notte dormì in un altro hotel vicino un terrorista della rete filo palestinese di Car­los lo Sciacallo, sospettata d’aver avuto un ruolo nella stra­ge come ritorsione all’arresto del leader palestinese del Fplp Abu Saleh e di alcuni esponen­ti dell’autonomia operaia cui quest’ultimo aveva commis­sionato un trasporto di missili sequestrati a Ortona. Si tratta­va dell’esperto di esplosivi Tho­mas Kram. Con lui probabil­mente c’era Krista Margot Frohlich, moglie del capo della colonna romana delle Br San­dro Padula, riconosciuta da un testimone di un altro albergo. Come se non bastasse un altro brigatista, stando a rapporti dei servizi, era considerato un «anello di collegamento con l’organizzazione terroristica comunista di Carlos»: Alessan­dro Girardi. A tutte queste coincidenze (nascoste) si aggiungono il si­lenzio sull’estremista di sini­stra Mauro Di Vittorio tra le vit­time dell’esplosione e la circo­stanza che la presenza di Mar­ra a Bologna è rimasta segreta per oltre trent’anni nonostan­te la Digos di Milano ne avesse informato i magistrati di Bre­scia che all’inizio indagavano sull’eversione rossa forse per­ché il comizio dei sindacati bre­sciani era «contro il fascismo delle Br».Le indagini si blocca­rono anche per l’intervento del ministro dell’Interno Taviani che invitò il pm cambiare pista perché «la strage era chiara­mente fascista »(lo ha racconta­to con amarezza l’allora pubbli­co ministero Arcai in commis­sione Stragi). Marra abitava e frequentava il quartiere milanese di Quarto Oggiaro. Proprio come un bri­gatista della prima ora, Arialdo Lintrami, il cui numero di tele­fono di un altro suo apparta­mento in via Inganni (zona Giambellino Lorenteggio, al­tro santuario Br nel capoluogo lombardo) comparve, a mo’ di sicuro despistaggio,nell’agen­da del neofascista pazzo Buzzi condannato e poi assolto (da morto) per l’eccidio di piazza della Loggia, a Brescia. Se Marra era sicuramente ac­canto alla stazione di Bologna il giorno della strage del 2 ago­sto 1980, Lintrami era certa­mente a Brescia quando scop­piò la bomba del 28 maggio 1974. Disse di essere stato lì il giorno della bomba insieme al­la consorte per far visita ai pa­renti della moglie che viveva­no lì. Aggiunse pure che solo successivamente si era recato nella piazza per sincerarsi di ciò che era accaduto. La mo­glie e il cognato, ascoltati, han­no invece dichiarato che quel­la visita a Brescia avvenne sì, ma il giorno successivo alla strage, il 29 maggio, quando Lintrami si mise in malattia al­la Breda sino all’8 giugno, per poi il 20 entrare in clandestini­tà. A dirla tutta s’è poi scoperto che per il giorno della strage Lintrami prese un permesso in fabbrica per fare un colloquio di lavoro proprio a Brescia, col­loquio mai avvenuto. Sarà forse questa doppia coincidenza sull’asse Brescia-Bologna a stuzzicare l’interes­se del Ros che dai capi storici delle Br, Curcio e Franceschi­ni, non otterranno conferma sulla presenza di Lintrami a Brescia. Qualche anno dopo, però, a febbraio del 1997, i Ros intercettano Lintrami che rac­conta a Franceschini di essere stato nuovamente interrogato dal capitano dei carabinieri Gi­raudo su piazza della Loggia. Riferisce che oltre a parlargli di Marra «infiltrato», fuori inter­rogatorio, mangiando un pani­no «il capitano mi fa sottovoce: cosa ne penserebbe lei se io le dicessi che Marra, che il giorno della strage di piazza (stazio­ne, ndr ) Bologna era a duecen­to metri dalla stazione?». Lin­trami commenta con France­schini: «Nella mia testa ho avu­to un fulmine, così... mi sono ri­cordato delle cronache dei giornali (...) che c’era un teste sulla strage di Bologna che ave­va visto uno biondo dalla fac­cia da tedesco. E Marra, voglio dire... se si metteva i baffetti sembrava, no? Un nazi, pro­prio, di quelli veri. Però me lo sono tenuto per me...». Anche quest’intercettazio­ne del 1997 s’è persa nei­fascico­li di Brescia e se il nome di Mar­ra è uscito fuori lo si deve solo al parlamentare Enzo Raisi, auto­re di un libro sugli incroci rossi col gruppo Carlos. Perché il ca­pitano lanciò questo amo fuori interrogatorio? Perché se la strage di Brescia era nera inda­gò a sinistra? Perché alla fine nessuno sentì il bisogno di sca­vare su quella pista che da Bolo­gna porta a Brescia, via Quarto Oggiaro e soprattutto in via In­ganni dove abitava un altro compagno della vecchia guar­dia Br, Pierino Morlacchi (membro del «nazionale» con Curcio, Franceschini e Mara Cagol) che scappò all’estero poco dopo Brescia e di cui si oc­cuparono i Serviz­i della Germa­nia dell’Est in un report scoper­to negli archivi della Stasi dal bravo Antonio Selvatici dove si dava parere negativo a conce­dere ospitalità nella Ddr a Mor­lacchi e alla sua signora (figlia di un dirigente del partito co­munista, secondo Franceschi­ni) perché coinvolto in un «at­tentato dinamitardo» delle Br in Italia «dove ci sarebbero sta­ti numerosi morti e feriti». Si potrebbe poi parlare della foto del capo Br Renato Curcio a Brescia. Comparve su un gior­nale. I carabinieri ne erano cer­ti, la mostrarono al pm Arcai che girò lo scatto al collega Gian Carlo Caselli a Torino, il quale escluse fosse Curcio. An­ni dopo, racconterà Arcai, da giudice a Milano, riconobbe Curcio dietro le sbarre. Diver­sa la versione che ne dà oggi Ca­selli al Giornale : «Sembrava ef­fettivamente Curcio ma poi fa­cemmo accertamenti, sbobi­nammo l’intero rullino, e appu­rammo che non era lui». Cur­cio o non Curcio, resta quest’in­crocio brigatista lungo l’asse Milano-Brescia-Bologna. Se non c’era niente da nasconde­re­perché occultare scientifica­mente tutto? Forse perché le stragi dovevano essere, a pre­scindere, di chiara marca fasci­sta?