Alessia Guerrieri, Avvenire 15/11/2012, 15 novembre 2012
I 388 CONFLITTI CHE IL MONDO NON VEDE
Più guerre nel mondo, ma non per i nostri media che ne parlano sempre meno. Internet ha aiutato ad alzare il livello di consapevolezza degli italiani, ma ancora troppi connazionali conoscono poco dove gli innocenti muoiono. Il 2011 ha segnato il record negativo di conflitti nel globo – 388 – 18 in più dell’anno precedente, e di guerre vere e proprie: da 6 nel 2010 si è passati a 20. Una situazione mai così grave dalla fine del secondo conflitto mondiale. A salire, poi, è anche la spesa militare degli Stati che in 4 anni è aumentata del 26 per cento attestandosi a 1.630 miliardi di dollari; solo il nostro Paese è in controtendenza con 25 miliardi di euro, una cifra comunque pari all’1,5 per cento del Pil. Il quarto rapporto sui teatri di battaglia dimenticati e sul legame tra finanza, povertà e ambiente nei 43 Paesi più fragili della terra, realizzato da Caritas Italiana insieme a Famiglia Cristiana e Il Regno , mostra un’emergenza umanitaria complessa a cui solo un cambio di rotta culturale può far fronte.
Materie prime, acqua, energia, cibo: sono queste le principali ragioni che mettono i popoli gli uni contro gli altri, motivazioni che portano dritto ai salotti economico-finanziari che contano. Ma anche la religione è tra le prime cinque cause di scontro tra le popolazioni. Negli ultimi tempi, il mondo umanitario ha dirottato aiuti nei Paesi lacerati dai conflitti per 40 miliardi di dollari l’anno, senza che però questo portasse a una stabilità politica. E così oggi ancora oltre un miliardo di bambini è costretto a crescere in guerra.
Nonostante ciò, in Italia i conflitti risultano ancora dimenticati: meno della metà degli italiani, il 46 per cento, ricorda la guerra in Afghanistan e ancora meno persone rammentano le lotte legate alla Primavera araba (Libia, 37 per cento; Siria 10). Il 12 per cento addirittura non sa indicare alcun conflitto, una cifra tuttavia dimezzata rispetto al 2008. In più, il 79 per cento considera la guerra un “elemento evitabile”, l’8 in più del passato. Educare alla fratellanza oggi è sempre più difficile, dice però il direttore di Caritas Italiana don Francesco Soddu, perché il ricorso alle armi è ormai considerato «un’opzione tra le altre, senza troppe remore morali ». C’è una cultura ostile alla non violenza che, aggiunge, ci chiama tutti «a impegnarci per una catechesi di pace e quindi a un grande sforzo educativo».
Anche da parte dei media, che spesso spengono i riflettori sui conflitti più atroci. L’informazione, quando c’è, è cannibalizzata (87 per cento) dai conflitti più noti di Libia e Afghanistan; appena il 12 per cento delle news in tv e radio riguardano al contrario gli scontri in Somalia, Colombia e Filippine. Un’informazione addomesticata o silente, sottolinea don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana, «può aiutare chi vuole la guerra, una stampa non asservita è il peggior nemico di chi commette crimini contro l’umanità». Ecco perché serve un’inversione di tendenza, anche concettuale, secondo il direttore de Il Regno, Gianfranco Brunelli, «superando l’idea di guerra giusta e risemantizzando il tema dei diritti umani e morali».