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 2012  novembre 15 Giovedì calendario

Solo un momento di follia, non sono un drogato»: dall’entourage di Lanfranco Dettori è tutto quanto filtra dopo che il suo avvocato Christopher Stewart-Moore ha laconicamente confermato che il 42enne italiano jockey di galoppo, unanimemente ritenuto il miglior fantino del mondo, è stato trovato positivo a un test antidroga effettuato a sorpresa all’ippodromo parigino di Longchamp domenica 16 settembre dopo la fine delle corse di preparazione al Prix de l’Arc de Triomphe del 7 ottobre

Solo un momento di follia, non sono un drogato»: dall’entourage di Lanfranco Dettori è tutto quanto filtra dopo che il suo avvocato Christopher Stewart-Moore ha laconicamente confermato che il 42enne italiano jockey di galoppo, unanimemente ritenuto il miglior fantino del mondo, è stato trovato positivo a un test antidroga effettuato a sorpresa all’ippodromo parigino di Longchamp domenica 16 settembre dopo la fine delle corse di preparazione al Prix de l’Arc de Triomphe del 7 ottobre. Il peggio è che l’unica cosa che l’avvocato si premura di precisare è che la sostanza alla quale il fantino è stata trovato positivo (ufficialmente non comunicata) «non ha un effetto migliorativo sulla performance». Traduzione: non è uno di quei diuretici o anfetamine ai quali a volte i fantini sbagliano a ricorrere perché non riescono a restare nei chili del peso assegnato nei Gran Premi (intorno ai 58 chili). Il che, se può essere una chance per il Dettori-fantino che spera di schivare una lunga squalifica sportiva, è una pessima notizia per il Dettori-persona, visto che sembra preludere alla possibile ammissione di essere ricascato nel consumo di cocaina. Gli era già successo nel 1993, come Dettori stesso aveva raccontato al Corriere l’anno scorso in occasione del suo record di 500 Gran Premi di «gruppo 1» vinti per oltre 100 milioni di euro in carriera, uno dei tanti primati del tre volte campione dei fantini in Inghilterra, del primo allievo a sfondare i 100 successi in un anno dai tempi di Lester Piggott, dell’artefice dell’exploit che nel 1996 ad Ascot lo vide trionfare in tutte e 7 le corse disputate: «A 20 anni mi era venuto tutto troppo facile e troppo in fretta: successo, soldi, casa, auto, pensavo a divertirmi piuttosto che lavorare, facevo il gradasso, il bulletto. Quando vivi una vita da rockstar, anche se non la vuoi, è lei che ti viene addosso lo stesso. Poi, per carità, non è che abbia ammazzato qualcuno: però capitò che con alcuni amici in auto comprassimo della cocaina, e la polizia ci fermò. Fu il calcio nel sedere di cui avevo bisogno». Solo che adesso sembra non essere bastato. E proprio nell’anno peggiore per Dettori: quello nel quale ha appena sciolto il contratto con la sua scuderia «storica» dello sceicco del Dubai, di cui per 18 anni era stato l’indiscussa prima «monta» ma il cui allenatore Mohammed al Zarooni aveva ora cominciato a preferirgli il giovanissimo francese Mickael Barzalona. In un ambiente dove un muso di differenza sul traguardo può spostare centinaia di milioni di euro nell’industria stalloniera come nell’universo del gioco, il mestiere del fantino è uno strano ibrido che incrocia l’ispirazione e la fantasia dell’artista (nell’«interpretare» il purosangue) con la fatica e i sacrifici fisici del pugile, con i pericoli del pilota e lo stress del top manager di una multinazionale. Anni fa l’americano Pat Valenzuela, non reggendo la pressione alla vigilia di un Gran Premio, scomparve e fu ritrovato tre giorni dopo obnubilato di droga in un hotel. Il collega Chris Antley, acclamato quand’era a un passo dall’impresa nella «Triplice Corona» negatagli solo dalla sfortuna dell’infortunio a pochi metri dal traguardo del suo campione Charismatic, precipitò in un abisso di solitudine sfociato in overdose in una casa sulle cui pareti aveva vergato struggenti invocazioni di aiuto a Dio. E uno dei grandi rivali di Dettori, l’inglese Kieren Fallon, dopo aver rimediato 6 mesi di squalifica in Inghilterra nel 2006, l’anno dopo è stato pizzicato di nuovo ma stavolta in Francia, al costo di altri 18 mesi di stop. Luigi Ferrarella lferrarella@corriere.it