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 2012  novembre 15 Giovedì calendario

ROMA —

Fino a poco tempo fa, la risposta era sempre la stessa: aspettiamo Madrid. Ma ora neppure questo sembra più un punto fermo quando si discute della necessità/opportunità che l’Italia ricorra allo scudo salva-spread. Tanto che un ex ministro del Tesoro come Vincenzo Visco (Pd) pensa sia meglio non attendere la Spagna, ma chiedere subito l’intervento dei fondi europei Esm e Efsf per l’acquisto dei titoli pubblici e ridurre così lo spread, il differenziale con i bund tedeschi, che viaggia sopra 350 punti. «Anzi, forse è già troppo tardi», dice Visco, e non ha senso mettersi nella scia di Madrid per entrare nel mirino della speculazione un secondo dopo che il premier Mariano Rajoy avrà chiesto lo scudo, magari dopo il 25 novembre, passate le temutissime elezioni in Catalogna. Sarebbe stato meglio, insiste l’economista, aver già chiesto «un intervento a fini precauzionali».
È una tesi, dice Enrico Letta, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, che scommette sul fatto che a calmare i mercati basti la sola attivazione del nuovo meccanismo varato lo scorso giugno grazie proprio all’impegno di Mario Monti: una sorta di effetto annuncio. In realtà nessuno sa che cosa succederebbe perché nessuno, finora, ha usato lo scudo. E quindi, dice Letta, «il Pd sta valutando la situazione per capire le conseguenze delle possibili scelte, visto tra l’altro che ci sono molte variabili in campo: la posizione della Spagna, il negoziato sul bilancio europeo, l’andamento dello spread», per non parlare della variabile prioritaria in politica: la campagna elettorale, di fatto già iniziata e che potrebbe subire un’accelerazione in caso di elezioni anticipate. Chiedere ora lo scudo significherebbe dare la stura all’antieuropeismo montante. Non chiederlo rischia di trasferire la patata bollente al prossimo governo. E nessun governo, compreso quello Monti, vuole associare il suo nome alla richiesta di aiuti.
L’esperienza greca pesa negativamente. «La Grecia — osserva l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti — stava meglio prima degli aiuti e dell’assistenza europea». Ma lo scudo per il quale si è battuto Monti è diverso dal classico meccanismo di aiuti concessi ad Atene: prestiti in cambio del commissariamento della politica economica. Lo scudo è un meccanismo di intervento flessibile sui mercati in cambio della firma di un Memorandum d’intesa che, nelle intenzioni di Spagna e Italia, non sarebbe lesivo della sovranità. Lo stesso Monti, nel libro «Le parole e i fatti» (Rizzoli) uscito ieri, rispondendo alle domande di Federico Fubini, afferma: «L’arrivo del podestà, la colonizzazione sono assolutamente da evitare». Invece, continua il premier, l’eventuale Memorandum dovrebbe riflettere «l’adempimento già in corso delle condizioni richieste per un intervento» assicurando che esso «continui nel tempo». «Un accordo del genere — continua — mi riesce più difficile considerarlo colonizzazione». Nonostante ciò, «completamente distinta è la questione se l’Italia se ne avvarrà, o quando».
I mercati scommettono sulla richiesta d’aiuto di Spagna, Italia e forse anche Francia. Il presidente della Bce Mario Draghi, ripete in ogni occasione che l’Eurotower è pronta a intervenire, ma «spetta ai Paesi» chiedere l’attivazione dello scudo. Il ministro del Tesoro, Vittorio Grilli, è contrario, convinto che non sia né «necessario» né «auspicabile». Il suo predecessore, Tremonti, non si sbilancia, ma vede un peggioramento del quadro, «tanto più dopo questa legge di Stabilità. Il deficit viaggia verso il 3% e così il calo del prodotto interno lordo. Parlare di pareggio di bilancio "al netto del ciclo" non ha più senso perché non c’è un ciclo, ma una crisi che dura da 5 anni e durerà ancora altri 5, secondo la Merkel. Per i mercati sono i dati reali che contano». Vede nero anche Visco, una volta tanto d’accordo con Tremonti: «Gli obiettivi del 2012 e 2013 non saranno raggiunti».
Se l’aiuto fosse chiesto, dice Tremonti, «il controllo non sarebbe più solo quantitativo — maggiore e ulteriore rigore — ma qualitativo, con un controllo di effettività sulle riforme: quanti taxi in più hai, quanta burocrazia in meno e quante imprese e occupati in più?». Senza considerare che l’eventuale richiesta di aiuti dovrebbe ricevere il via libera dal Bundestag, il parlamento tedesco, che non si accontenterebbe certo di impegni generici, dice Tremonti. Che però è ormai un ex rispetto al Pdl. Basta sentire Renato Brunetta, relatore alla legge di Stabilità, per avere una diagnosi diversa: «Non abbiamo bisogno dello scudo perché, al netto della crisi che colpisce tutta Europa, i nostri fondamentali sono buoni. Sarebbe un segno di debolezza e le conseguenze sarebbero negative sui mercati».
Enrico Marro