Gabriella Greison, SportWeek 3/11/2012, 3 novembre 2012
UN SET TRA PADRE E FIGLIO
Ecco, si cresce anche così, facendo il lavoro dei sogni, con affianco i genitori che ti solcano la strada. Succede nello sport, nel cinema come in qualsiasi altro ambito. Succede a Pietro Castellitto protagonista di Venuto al mondo, nelle sale dall’8 novembre con la regia di papà Sergio e la sceneggiatura di mamma Margaret (Mazzantini, che è pure la scrittrice del libro omonimo da cui è stato tratto). Pietro, che era già stato lanciato dal padre nel 2010 in La bellezza del Somaro, e poi ha affiancato Luciana Littizzetto in È nata una star, oggi ha 21 anni, frequenta l’università e sogna di fare l’attore: «Sono iscritto al terzo anno di Filosofia e conto di finirla... Nel frattempo, sto provando a fare quello che fa papà, per vedere se ci riesco». Succede: stesse passioni, stesse motivazioni. «Ma non è detto che tutto sia più semplice. Non leggo mai i libri di mamma, perché ci trovo dentro i retropensieri, i suoi modi di dire, eppure questo l’ho divorato durante le riprese e così sono cresciuto con il personaggio che interpreto, come se lei mi avesse preso per mano e portato a conoscere il mondo». Siamo nello studio romano della famiglia Castellitto, in zona Parioli. Un salone grande, un divano di pelle, un computer acceso dietro il quale è seduto Castellitto senior. Le foto di padre e figlio su ogni tavolino. Poi i poster, i quadri. «Manca solo lo zerbino della Roma, ma quello lo teniamo in camera. Come scendiletto...», dice Sergio (e nella chiacchierata che segue, i due non smettono un attimo di beccarsi, così, come si può immaginare che avvenga nel loro salotto di casa).
Dai geni di Sergio Castellitto a quelli di Pietro che cosa è passato?
SERGIO «Abbiamo in comune i tratti del viso e il tormento interiore. E poi la passione per il pallone. Si vede anche nel film: il calcio rappresenta qualcosa di più di una partita, è una metafora della vita, sono due schieramenti che entrano in guerra. Come diceva Desmond Morris in La tribù del calcio, i riferimenti agli attacchi bellici in una partita sono tanti: c’è la slealtà, il fallo, la simulazione, la tragedia. Nel film c’è una scena in cui Pietro gioca contro dei ragazzi di Sarajevo e poi scatta la rissa: avviene la stessa cosa nella realtà. Anche se la Roma, beh, è un’altra cosa. In casa la tifiamo come dei matti: la prima volta lo portai allo stadio per vedere Roma-Fiorentina, segnò De Rossi e...».
PIETRO «No, hai poca memoria! La prima partita che mi hai portato a vedere fu Roma-Torino di dieci anni fa, gol di Tommasi (in realtà anche Pietro ricorda male: Tommasi non ha mai segnato ai granata; ndr). Ma il calcio è bello se lo vivi praticato al campetto oppure a casa guardando la televisione, per il resto è diventato tutto troppo finto, un mondo ipocrita che non merita la nostra attenzione. Invece, i tratti del viso che mi fanno sembrare lui mi piacciono: qualcuno all’università crede che io sia il figlio di Fausto Coppi».
Ma lei Sergio, per molti italiani, "è" Fausto Coppi, grazie alla fiction che la Rai trasmise a metà Anni 90.
S «E ne sono fiero, Coppi è stato un grande atleta, con una passione incredibile. Il ciclismo è il vero sport, io vado tutt’ora a fare grandi giri in campagna e, appena ci riuniamo, mi porto pure tutta la famiglia. Con il ciclismo misuri realmente te stesso e la tua capacità di stare in silenzio: grande dono, che non tutti hanno. Ma le vicende di Armstrong mi hanno fatto disamorare dei campioni di oggi, non seguo nemmeno più il Giro. Dopo Pantani, c’è stato il vuoto assoluto».
P «Dopo Pantani, dovevi appassionarti al tennis! Ora il mio eroe indiscusso è Roger Federer, lui sì che rappresenta il lato bello dello sport. Anche per lui la famiglia è sacra e inviolabile, avere la moglie manager è una cosa riservata ai grandi, ai colossi indistruttibili».
Ma papa è stato anche Enzo Ferrari, pure lui era forte, no?
S «Sì, e con Ferrari si può parlare anche dei giorni nostri e di come viviamo il passaggio di consegne ai nostri figli. Ferrari concluse la carriera quando nacque Dino e fu memorabile la frase; "Mio figlio poteva contare su un modesto benessere, frutto della mia complessa attività. Ma mio figlio aveva il diritto di aspettarsi da me anche altro". Ecco, Pietro rifletti...».
P «Comunque mamma fa finire il libro, e quindi il film, con una domanda: "qual è la parola che ti piace di più?". Io rispondo: tennis. Capito? Tennis, proprio per la mia passione per Roger Federer».
Pietro, quanto è difficile lavorare con papa?
P «È faticoso perché è un perfettino e vuole che tutto fili come fila nella sua testa. Sul set è stato esigente, un po’ rompiscatole. Ma lavorare in famiglia è bello, perché quelli che hai vicino vogliono il tuo bene».
Si è mai sentito un raccomandato?
P «Beh, sì, per il cognome pesante che porto. Però è anche più complicato mostrare la mia personalità, far capire quanto valgo. Loro non mi stanno molto addosso e questo è un bene. Io vorrei essere messo alla prova per quello che sono, a prescindere da chi è mio padre».
Sergio, le dà più soddisfazione dirigere suo figlio o un altro attore?
S «È il massimo che un padre-regista possa chiedere dalla vita. E lui è sveglio, positivo, voglioso di crescere e cambiare il mondo, ti fa venire l’adrenalina. Tutto questo mi ha fatto rinascere dal punto di vista professionale. Anche se è molto, molto, molto più faticoso intellettualmente».
Che difetti trova in suo figlio-attore? In cosa deve ancora migliorare?
S «Lui ha questa caratteristica: si butta. Ha la spensieratezza e la sfrontatezza come segni distintivi. Ma naturalmente è agli inizi e ne ha ancora tanta di strada da fare, ma proprio tanta. Vediamo, stiamo a guardare, se gli piace e se vuole proseguire».
E lei, Pietro, riesce veramente a lasciarsi andare sul set, con suo padre dietro la macchina da presa?
P «I miei piccoli spazi di libertà me li creo comunque, l’importante è che ci sia il dialogo. Per esempio, posso anche dire che mi piace Robin Williams. Oppure posso anche non ricordare i film di Truffaut davanti a lui, non importa. Posso anche, addirittura, citare altri attori italiani che mi fanno impazzire, come...».
S «No, quelli no, dai, su...».