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 2012  novembre 14 Mercoledì calendario

UN GIGANTE CHE NON FA OMBRA


DI FRONTE ALLE MIE FINESTRE, nel centro di Berlino, c’è una chiesa di Karl Friedrich Schinkel, l’architetto che si ispirava a una candida e classica Grecia, dove non era mai stato, contornata da lampioni a gas che risalgono al 1888, anno in cui Jack the Ripper terrorizzava Londra. Ne esistono ancora a migliaia nella capitale, sopravvissuti a due guerre e alle smanie degli urbanisti e dei politici comunali. Sorprendente in una metropoli che continua a divorare se stessa, cancellando le tracce del passato, da sempre, da prima del Muro. Si innova di continuo, i cantieri ancora aperti sono oltre 3mila, si buttano giù palazzi costruiti neanche 20 anni fa, dopo la riunificazione, per costruirne altri uguali. Si distrugge il passato, rischiando di perdere l’anima, oppure si difende la tradizione nelle piccole cose del proprio quartiere, senza una logica apparente. Il Nobel per la letteratura (1999) Günter Grass ha scritto una poesia per difendere la Grecia, o meglio l’Ellade di Johann Wolfgang von Goethe, di Lord Byron o di Ugo Foscolo, culla della nostra Europa, suscitando un dibattito nazionale. Platone e Omero contro i conti in rosso dell’Atene di oggi, che preoccupano la cancelliera Angela Merkel e milioni di risparmiatori tedeschi.
La Germania è un sistema coerente di contraddizioni. Ed è il Paese più sconosciuto d’Europa, vittima di pregiudizi, schiacciato dal peso della storia recente. Eppure soltanto un tedesco su cinque ha un ricordo del nazismo e della guerra: a causa dell’età non può avere avuto un ruolo di comando, una responsabilità personale. Gli si possono imputare gli orrori del III Reich, scomparso da 67 anni? Chi ancora alla fine dell’Ottocento rinfacciava alla Francia le colpe di Napoleone, sconfitto a Waterloo nel 1815? Nelle caricature ritraggono Frau Angela con i baffetti del Führer, le pongono sui capelli biondi l’elmo chiodato di Otto von Bismarck, simbolo di arroganza e militarismo, che invece qui è simbolo delle antiche virtù prussiane, forse in gran parte scomparse, la generosità, lo spirito di accoglienza, la laboriosità, l’onestà. Sempre i vecchi, insopportabili, ingombranti tedeschi? Dalla fine della guerra, la Germania è spesso il Sündenbock, il capro espiatorio, che fa comodo a noi tutti, per non vedere i nostri errori, ad Atene, Roma, Parigi. Gli inglesi, quando vogliono attaccare l’Unione europea, prendono di mira Berlino: è un’unione alla tedesca. Questo basta per averne timore.
Per decenni si è rimproverato alla pacifica Repubblica federale, con capitale la provinciale Bonn, una cittadina universitaria sul Reno, di essere un gigante economico e un nano politico. Ma quando, dopo la riunificazione, Berlino ha cominciato a prendere sue decisioni, abbiamo accusato i tedeschi di cadere nell’antico nazionalismo, di isolarsi dal consesso internazionale. Il punto di svolta fu il nein secco del cancelliere Gerhard Schröder alla guerra di George W. Bush contro l’Iraq, come meno di dieci anni dopo la Merkel fu l’unica a non voler seguire la Francia e gli Stati Uniti nella campagna contro la Libia di Muammar Gheddafi. È uno sbaglio rimanere da soli, se si ha ragione? Iniziata la grande crisi, nel 2008, provocata dalle banche americane, Frau Merkel si guadagnò il soprannome di "Madame Non", perché non andava d’accordo con i partner europei, e alla fine decise di fare per conto suo, «mentre cercate di trovare un accordo tra voi». La Germania è uscita per prima dalla crisi, la sua economia conosce un nuovo boom. E i francesi l’accusano sempre di egoismo, le rimproverano di esportare troppo mettendo in crisi gli altri Paesi dell’Unione: dovrebbero cercare di vendere meno e comprare di più dall’estero, dicono. E come? E la cancelliera è stata l’unica leader a rispondere a Barack Obama che rimproverava l’Europa per la crisi: «Ma se è colpa vostra!». Un’arrogante signora teutonica? Nel 2010, il presidente della Repubblica Horst Köhler (in carica dal 2004) fu costretto a dimettersi per aver detto la verità: nel volo di ritorno, dopo una visita a Kabul, si lasciò sfuggire che i soldati tedeschi combattevano e morivano in Afghanistan, fianco a fianco degli italiani, per difendere gli interessi economici della Germania, e non in nome della libertà e degli ideali democratici. Avrebbe potuto sostenere di essere stato frainteso, erano tutti disposti a far finta di niente pur di evitare una crisi istituzionale, ma Köhler con dignità non volle smentire se stesso.
La Costituzione tedesca, quasi identica alla nostra, perché imposta a noi e a loro dalle potenze vincitrici, non consentirebbe la guerra. L’esercito tedesco, che non fa sfilate, è il più democratico al mondo. Vige il principio della Innere Führung, come dire la guida interna, introdotta dal generale Wolf van Baudissin (1907-1993). Ogni militare ha il diritto di agire secondo coscienza e di non obbedire a un ordine che ritenga ingiusto. Nel commentare quanto avviene a casa di Frau Angela, prima o poi quasi a tutti sfugge un Deutschland über alles, anche se questi versi non si cantano più da quando è nata la Repubblica federale. La Germania conserva all’estero un’immagine cupa, opprimente, un popolo antiquato e noioso. Eppure, è il Paese dove sono arrivati per la prima volta al potere i "verdi" già negli Anni Ottanta, e il loro leader Joschka Fischer, da taxista a Francoforte è giunto alla poltrona di vicecancelliere e di ministro degli Esteri, apparendo in Parlamento in scarpe da tennis.
Ha avuto un cancelliere come Gerhard Schröder, orfano di guerra e figlio di una donna delle pulizie. Oggi al vertice troviamo Angela Merkel, figlia di un pastore luterano, e un presidente della Repubblica, Joachim Gauck, a sua volta ex pastore protestante. Per aggiungere una nota di costume, Bettina, la moglie del suo predecessore Christian Wulff, costretto alle dimissioni per peccati che da noi sarebbero stati considerati veniali, è una bionda alta un metro e 85, con un appariscente tatuaggio sull’omero destro. Il solo fatto che si possa scrivere "ex" fa capire come viene intesa qui la missione religiosa. Il ministro degli Esteri, il liberale Guido Westerwelle, omosessuale dichiarato e orgoglioso, mette in imbarazzo il protocollo durante gli incontri internazionali, presentando il suo partner, con cui si è di recente sposato. Si può pensare quel che si vuole, ma non che la patria di Angela sia un Paese grigio e noioso.Lo sanno i giovani che invadono Berlino, giungendo da tutta Europa, in particolare dal Sud. La metropoli prussiana è quello che fu Parigi negli anni Venti, un richiamo per gli artisti sconosciuti e squattrinati alla ricerca di una chance di successo. O semplicemente di un posto di lavoro. È una città povera, dove si vive abbastanza bene con poco, si trova sempre un alloggio economico, e si mangia con pochi euro senza rischiare la salute. A tutti, artisti o no, viene offerta almeno la possibilità di mettersi alla prova, poi con franchezza si dice anche «nein», non hai talento, almeno non si perde tempo. Una giovane regista toscana, diplomata all’Accademia d’arte drammatica di Roma, da noi passava da un teatrino off all’altro, sempre come assistente, mal pagata. È venuta a Berlino, si è iscritta ai corsi di teatro, dopo un paio di mesi da studentessa l’hanno promossa insegnante, «ne sai più di noi». Dopo sei mesi le hanno offerto la direzione di un teatro. Nei lontani anni Sessanta, Giuseppe Vita, giovane medico siciliano, giunse con una borsa di studio alla Schering, che era l’unica grande industria nella Berlino divisa dal Muro. Rimase, e divenne il capo della società farmaceutica. Oggi, in pensione, è nel consiglio di sorveglianza della Springer Verlag, e noi gli abbiamo affidato l’Unicredit, la nostra banca più importante. È l’italiano che stimano di più in Germania.
SAREBBE STATO POSSIBILE per un giovane tedesco diventare capo della Fiat? Certamente, il sistema si difende contro le scalate internazionali, evitando che vengano conquistate imprese come la Continental, o la Opel, ma si aprono le porte a chi ha talento, o abbia solo voglia di lavorare, da qualunque parte del mondo arrivi. Berlino, al di là della retorica, è veramente un centro multikulti, come si dice. Oltre il dieci per cento degli abitanti è straniero. Con i suoi 250mila emigrati dal Bosforo, Berlino è di fatto la più grande città turca del continente. Nella cattolica Baviera, la Vandea tedesca, non si sono opposti alla costruzione di centinaia di moschee, hanno solo pregato di evitare i minareti, per non turbare il panorama regionale. Un compromesso accettato pacificamente. Ognuno conserva le sue abitudini pur convivendo tutti insieme. I tedeschi, nonostante i luoghi comuni, sono meno arroganti di britannici o francesi, e si sforzano di capire chiunque, anche se conosce appena un paio di parole nella lingua di Goethe. Ognuno viva democraticamente come desidera. La vita colorata nei quartieri di Prenzlauerberg o di Kreuzberg non è solo folclore per i turisti. È una prova della mentalità e del carattere dei tedeschi cresciuti dopo la guerra. Un paradiso per i giovani: la disoccupazione per chi ha meno di 25 anni è in Germania del 5,5 per cento, un decimo di quella spagnola. In Baviera si scende intorno al 3 per cento. In Francia siamo al 25, in Italia al 33, perfino nei Paesi del Nord Europa la percentuale è almeno tripla.
I corsi del Goethe-Institut per imparare il tedesco sono esauriti ovunque, a Roma come a Lisbona. Mentre noi tagliamo i fondi ai nostri istituti di cultura all’estero, come se fossero un lusso, il Goethe apre nuove sedi, anche in Kazakistan, ricco di risorse naturali. Un domani, l’ingegnere kazako che parla tedesco forse preferirà servirsi di macchine utensili made in Germany. Berlino spende per la cultura più di Washington ed è anche l’unica capitale europea il cui reddito medio sia inferiore a quello del Paese.
IL 20 PER CENTO dei suoi 3,5 milioni di abitanti vive grazie all’assistenza pubblica, un terzo dei bambini si trova sulla soglia di povertà, eppure chi visita la metropoli non avverte una forte tensione sociale. Gli abitanti non saranno felici, ma non sono disperati. Non si avvertono problemi come nelle banlieue di Parigi o nei sobborghi di Londra. Appena una ventina d’anni fa, nella neonata Unione europea, la Germania rischiava di diventare il fanalino di coda. Perché si rialza sempre? Ridotta in rovine dopo la tragedia nazista, già all’inizio degli anni Sessanta ha conosciuto una Wunderwirtschaft, un miracolo economico che sorprese l’Europa. Prima si ricostruirono le fabbriche, poi gli alloggi per i lavoratori, d’intesa con i sindacati. L’inaspettata riunificazione nel 1990 la mise in gravi difficoltà. La Repubblica federale era una specie di grande Svizzera, ma dovette affrontare il compito di ricostruire un intero Paese, la scomparsa Ddr comunista, con 17 milioni di abitanti, in cui le strutture erano rimaste indietro di almeno 30 anni. All’Est non si versavano contributi per pensioni, mutue, disoccupazione, e la nuova Germania fece fronte a tutto. Persino i generali ricevettero la pensione come se avessero servito sotto la bandiera della Repubblica federale.
Quelle migliaia di miliardi, allora di marchi, non vennero sprecati. Furono commessi errori, ci fu anche corruzione, ma contenuta entro limiti sopportabili. E oggi le regioni della ex Ddr sono tra le più moderne del continente. Noi non abbiamo ancora risolto la questione meridionale. I tedeschi dell’Est sono i più vitali, e innovativi, e allo stesso tempo hanno la percentuale di disoccupazione più elevata. La trasformazione è stata compiuta con pragmatismo. Non si sono lasciate in vita imprese che non avrebbero potuto reggere la concorrenza, preferendo pagare sussidi di disoccupazione piuttosto che aiuti a vuoto per le aziende. Al momento dell’unità, il cancelliere Helmut Kohl promise che a nessuno sarebbe andata peggio. È vero, ma a milioni di sopravvissuti alla dittatura rossa fu tolta la dignità di un lavoro. Furono spietati con se stessi, in nome delle leggi di mercato, giuste o sbagliate, e oggi pretendono di applicare le stesse regole ai greci o agli spagnoli. O, un domani, a noi italiani. A Götschendorf, paesino del Brandeburgo, un’ottantina di chilometri a nord di Berlino, esisteva una fabbrica di cemento con 5mila operai. Dopo la riunificazione, fu chiusa, riaperta, venduta, chiusa e rivenduta, alla fine ci si arrese. Oggi, tutti ricevono l’assegno sociale di 368 euro al mese, il cosiddetto Hartz IV, più l’alleggio: in città si sopravvive a stento, ma qui si vive con dignità, arrotondando con caccia e pesca di frodo. Anche la legge chiude un occhio. Non hanno alcuna chance di trovare un’occupazione se non fuggendo all’Ovest. Se ne vanno i giovani. A una ventina di chilometri, si trova la cittadina di Templin, dove è cresciuta Angela Merkel. Il padre, pastore luterano, condusse la famiglia dalla ricca Amburgo nella Ddr, che considerava terra di missione. Lei aveva pochi mesi. La decisione di un folle? Alla piccola Angela il padre ha trasmesso un forte senso morale e sociale. Lei non è affatto la "Thatcher prussiana", come per pigrizia si continua a definirla.
La Merkel e il marito, Joachim Sauer, possiedono una dacia nelle vicinanze, a Hohenwalde. Una villetta in cemento, in una radura nel bosco. Se volete diventare suoi vicini, ne potete acquistare una per circa 40mila euro. Questo è uno dei lussi della donna più potente al mondo. La sua "paga" annuale è di 201mila euro che, con alcuni benefit, arrivano a 240mila, ossia quanto riceve un nostro qualunque deputato. Con la politica in Germania non ci si arricchisce. Caso mai, i più abili fanno i soldi dopo, ma lasciando ogni carica. Come l’ex cancelliere Gerhard Schröder, tornato a fare l’avvocato, o il suo ministro degli Esteri, Joschka Fischer, diventato socio di Madeleine Albright in una società di consulenza finanziaria. Vengono pure criticati perché il passaggio dalla politica al mondo degli affari è stato troppo repentino. Si vorrebbe stabilire una pausa di qualche anno, per evitare sospetti di collusioni. I luterani sono pragmatici, sanno che i peccati pubblici sono inevitabili, non pretendono la perfezione come i cattolici. Da noi chi sgarra viene perdonato, qui i peccati sono per sempre: fino a poco tempo fa la corruzione di un deputato non era neanche un reato. A punirlo, caso mai, ci avrebbero pensato gli elettori. Ma un funzionario pubblico (e vengono considerati tali anche i ministri e il presidente della Repubblica) non può ricevere regali superiori a 20 euro. Un premier della Bassa Sassonia accettò i barilotti di birra offerti dai fabbricanti della zona per la sua festa di nozze. Scoperto, si dimise in 24 ore. Carriera finita.
Il segreto del modello tedesco è rispetto del patto sociale tra Stato e cittadini. Da noi, lo Stato viene visto da sempre, per svariate ragioni storione, come nemico e oppressore. In Germania, ogni individuo si sente parte della società, e sa che il bene pubblico gli appartiene. Pagare le tasse non sarà bellissimo, ma è inevitabile, e viene considerato un dovere. Il 67 per cento dei cittadini l’anno scorso si è dichiarato contrario a diminuire le imposte: sapevano che sarebbero peggiorati i servizi. L’evasione fiscale non è un Kavaliersdelikt, una cosa da niente. L’evasore, se colto sul fatto, perde la stima di parenti e amici. Denunciare chi evade è considerato un dovere, si fa la spia smascherando i vicini per il bene di tutti. Nel mio cortile ho una decina di bidoni per la spazzatura, per le bottiglie bianche, verdi o marroni, per la carta di giornali e per quella da pacchi, e così via. Se dovessi violare l’ordine un vicino mi riproverebbe, e se mi ostinassi a violare le regole mi denuncerebbe. Una mattina, mentre parcheggiavo l’auto in centro, mi ha avvicinato un signore gentile: «Guardi», mi ha avvertito, «se parcheggia dietro l’angolo, invece di un euro all’ora, potrà pagare la metà». Non mi aveva mai visto, ma riteneva suo dovere farmi risparmiare 50 cent, e per non deluderlo dovetti spostare l’auto. Margot Käßmann fu la prima donna vescovo a essere eletta a capo della Chiesa luterana, come dire, con una certa esagerazione, la papessa protestante. Una notte di maggio del 2010 fu sorpresa ubriaca al volante per le strade di Hannover. Perse la patente, il giorno dopo si dimise nonostante le proteste dei fedeli: «Rimani, vogliamo te, tutti commettono un errore». Lei non si lasciò convincere: «Non posso predicare bene e comportarmi male, ho perso la mia autorità». Ma non la stima e il rispetto: scrive libri che diventano best seller, e non perde occasione per denunciare le scelte per lei sbagliate del governo, come l’intervento in Afghanistan. Frau Margot non tentò di convincere il poliziotto a chiudere un occhio o due, e l’agente a sua volta, pur avendola riconosciuta, non guardò da un’altra parte. I cittadini rispettano le regole e sanno che verranno rispettati dallo Stato. Il patto sociale va onorato, le leggi non vengono cambiate mentre si gioca.
Le riforme valgono da domani. Qui non si potrebbero mai avere esodati all’italiana. Si è aumentata l’età pensionabile da 65 a 67 anni, lentamente di un mese all’anno: la riforma sarà completa in 20 anni. I pensionati fino a ieri pagavano le tasse su metà dell’imponibile: anche questo privilegio sparirà, ma non per chi già ne godeva. Le tasse per gli altri aumenteranno lentamente del due per cento all’anno. Il socialdemocratico Schröder ha tagliato lo Stato sociale, d’intesa con l’allora opposizione cristianodemocratica che non si limitò solo a criticare. In effetti qualcosa da tagliare c’era: il sussidio di disoccupazione, finanziato con le trattenute pagate dai lavoratori, oggi dura di meno. Ma non si è toccato l’assegno sociale, il minimo vitale, versato anche a chi decida di non lavorare neppure un giorno nella vita. Si è riformato il sistema sanitario, senza abolire nessuna prestazione importante, e chiedendo un ticket di dieci euro a trimestre. Oggi le mutue hanno un attivo accumulato in pochi anni di quasi 22 miliardi di euro. Che farne? Il governo voleva impadronirsene, i responsabili delle Casse si sono opposti: sono soldi che appartengono ai nostri clienti, cioè agli assistiti. Si sono introdotte o aumentate le tasse universitarie (la materia è di competenza dei Länder, e le norme variano di regione in regione), fino a un massimo di 600 euro a semestre. Chi non può non paga. Dopo la laurea, rimborserà lo Stato pagando un supplemento sulle tasse per qualche anno.
I PATTI SI RISPETTANO tra i partiti, e anche tra i privati. I liberali, entrati al governo insieme con Frau Merkel con il 15 per cento dei voti, oggi rischiano di non superare il 5 per cento, minimo necessario per entrare in Parlamento. Avrebbero potuto provocare una crisi ed elezioni anticipate, addossando le colpe alla cancelliera. Hanno mantenuto l’impegno preso con l’alleata e con gli elettori, anche a rischio di scomparire. Negli anni di crisi, i dipendenti hanno rinunciato agli aumenti salariali e agli straordinari pagati, e a volte si sono ridotti lo stipendio e l’orario, d’intesa con gli imprenditori, per salvare i posti di lavoro.
Quando è cominciata la ripresa, i contratti sono stati rinnovati prima della scadenza, e lo scorso dicembre, per esempio, le case automobilistiche hanno concesso premi fino a 5mila euro a testa, uguali per tutti, dall’operaio al dirigente. Non si tradisce la fiducia concessa. Una morale sociale che risale a Martin Lutero. Accumulare ricchezze non è visto con sospetto, non è un peccato. Quel che conta è che vengano spese anche per il bene sociale. Si ha il dovere di aiutare chi è meno fortunato. Un principio che sta alla base della cosiddetta economia sociale di mercato. Un imprenditore deve preoccuparsi anche del bene dei suoi dipendenti. Aumentare i profitti non basta. Non è un caso che le prime misure sociali, mutue, pensioni furono introdotte in Europa da un conservatore come Bismarck. Certamente, dietro questo comportamento si nasconde il paternalismo. Se un operaio sarà tranquillo e non avrà paura per il futuro, lavorerà meglio e renderà di più.
Il sistema sociale tedesco è stato modificato, tagliato, e pur con molti difetti, con il distacco tra privilegiati e meno fortunati che continua ad aumentare, rimane il migliore del mondo. Invece di sentirci minacciati dalla Germania potente e invadente, perché non tentiamo di imitare qualcuna delle sue piccole virtù?