Franco Bechis, Libero 14/11/2012, 14 novembre 2012
IL FALLIMONTI: 90 MILIARDI DI DEBITO IN PIÙ
[Bilancio di un anno di governo tecnico: il Prof passerà alla storia per aver superato i 2.000 miliardi di rosso. Le troppe tasse hanno fatto crollare il Pil e la fiducia dei consumatori. Come quella degli investitori esteri: i detentori di titoli di Stato si sono dimezzati] –
Manca davvero nulla: 4,9 miliardi, una banale tranche di prestiti erogati agli organismi europei, e il debito pubblico italiano sfonderà la quota di duemila miliardi di euro. Forse ci è vicinissimo, a fine settembre è comunque salito a 1.995,1 miliardi di euro. Lo ha certificato ieri il bollettino statistico della Banca d’Italia. È uno dei principali record del governo di Mario Monti, che probabilmente passerà alla storia proprio per essere l’esecutivo che ha sfondato quella soglia storica. Dall’inizio dell’anno a quella data il debito pubblico è aumentato di 88,4 miliardi di euro. In media 9,8 miliardi di euro al mese. Il debito pubblico è schizzato anche percentualmente: è al 126% del Pil, e anche questo è un record del governo Monti.
Perché sia accaduto è semplice: il debito cresce, la ricchezza del Paese diminuisce. Il rapporto fra le due variabili è cresciuto di sei punti percentuali sotto il governo Monti, che questa settimana (il 16 novembre) compirà il suo primo e unico anno di vita. Alla fine del 2011 il debito/Pil, una delle variabili fondamentali per i parametri europei, era del 120,1%. In Italia è salito di sei punti, ma nell’area dell’euro la crescita è stata la metà, essendo passato il rapporto debito/Pil dall’87,1 al 90%. Quando il governo dei tecnici ha preso in mano le redini del Paese, il vento di recessione si faceva già sentire. Il terzo trimestre 2011 il Pil infatti era caduto dello 0,9%, poco più della media europea. Quella forbice sotto il governo Monti si è allargata paurosamente: il primo trimestre 2012 il Pil è sceso del 3,2% e il secondo trimestre del 3,3%. La recessione è europea, ma l’Italia è sempre più distante dagli altri Paesi competitori. Questo significa che la congiuntura è stata uguale per tutti, ma le scelte di politica economica italiana prese dal dicembre 2011 ad oggi sotto il governo Monti hanno peggiorato in molti indicatori fondamentali la situazione economica del paese.
È accaduto ad esempio con il tasso di disoccupazione. Nel settembre 2011 secondo Eurostat l’Italia aveva una disoccupazione dell’8,8%, mentre l’area dell’euro (i 17 paesi che la compongono) aveva un tasso decisamente più elevato: 10,3%. Un anno dopo - è l’ultima rilevazione Eurostat - la disoccupazione nell’area euro è cresciuta di 1,3 punti (è all’11,6%), quella dell’Italia è cresciuta di 2 punti tondi: è al 10,8%. Gli indicatori macroeconomici offrono tutti la stessa chiave di lettura: quando sono negativi sono più negativi della media dell’area dell’euro, e quando qualcosa migliora accade in Italia molto più lentamente che negli altri paesi competitori. A un anno di distanza è evidente che qualcosa non ha funzionato nelle politiche adottate. E se c’è un indicatore che lo dimostra più di altri è il clima di fiducia dei consumatori italiani, che sotto il governo Monti è crollato di dieci punti, da 96 ad 86 in soli 11 mesi. Alla vigilia dell’estate 2011 nonostante si sentisse già la tempesta finanziaria che avrebbe agitato i mercati, quell’indice era stabilmente sopra quota 100.
Ad essere cresciute in Italia sono invece le entrate, sia in valore assoluto che in percentuale del Pil. A perimetro costante l’aumento è stato del 4,2%, ed è ovviamente dovuto all’inasprimento della pressione fiscale sia diretta che indiretta. Se non aumenti le tasse, quando scende il prodotto interno lordo di un Paese ovviamente scendono anche di pari passo le entrate fiscali. Con una caduta del 3%, avrebbero dovuto essere in linea. La crescita di oltre quattro punti è dovuta essenzialmente alle misure del governo Monti nel decreto salva-Italia oltre che all’aumento di un punto dell’aliquota ordinaria Iva deciso per l’ultimo scampolo del 2011 dall’esecutivo precedente, quello guidato da Berlusconi. Quello però non ha funzionato: invece di fare aumentare le entrate, le ha fatte diminuire. Secondo i dati forniti dal dipartimento delle Finanze qualche giorno fa infatti gli incassi Iva nei primi nove mesi del 2012 sono ammontati a 78,7 miliardi di euro, oltre un miliardo meno di quelli dell’analogo periodo del 2011, quando però l’aliquota base Iva era al 20%. Da una tassa sui consumi infatti i cittadini si possono difendere: consumando meno di prima. Così danno una mano ad accelerare la recessione, e si instaura il peggiore dei circoli viziosi.
Da altre tasse invece non ci si può difendere, come è capitato con la sostanziale patrimoniale che Monti ha inserito toccando imposte di bollo e registro sulle attività finanziarie nel dicembre 2011. Così nei primi nove mesi dell’anno pure con mercati altalenanti il gettito delle imposte sulle transazioni è cresciuto del 32,5%. La sola imposta di bollo è più che raddoppiata: in nove mesi ha dato 5,3 miliardi di euro, vale a dire 3 miliardi di euro in più dell’anno precedente.
Quel che è migliorato - ed è da riconoscere - è certamente lo spread, che per i conti pubblici significa la spesa per interessi sul debito. Ci sono trecento punti in meno rispetto a un anno fa, ma la stabilizzazione di questa discesa è dovuta quasi esclusivamente dalla protezione messa in campo da Mario Draghi con la Bce. Solo da allora si è andati stabilmente sotto quota 400. E per quello che riguardava solo Monti emerge un’altra verità: dall’estero sono sempre meno convinti della bontà dei titoli pubblici italiani. I loro investimenti nell’ultimo anno sono crollati: in mano straniera (esclusi fondi le cui quote poi sono piazzate in Italia) c’è il 28% dei titoli pubblici italiani. Un anno fa quella quota era al 47%.