Marco Nozza, L’Europeo 26/10/2012 (n°10 Ottobre), 26 ottobre 2012
LOURDES ALLA BERGAMASCA
[Dopo la morte di Papa Roncalli il suo paese natale fu invaso dai pellegrini. Cominciò così a fiorire una zona depressa tra Adda e Brembo. E si moltiplicarono le dispute egli affari] –
Il più ricercato è Alfredo perché assomiglia al Papa. Tutti vogliono vederlo, stringergli la mano, parlargli, farsi raccontare qualcosa che ricordi il fratello Papa, e c’è pure chi arriva con un pezzo di carta, per l’autografo. Alfredo, un po’ in dialetto un po’ in italiano, chiede che lo si lasci in pace: la domenica, quando esce da messa alta, a percorrere i 300 metri dalla chiesa a casa sua impiega due ore, tanta è la gente che gli si affolla intorno. «Pare d’essere a Lourdes», è il commento generale. L’altro ieri è arrivato un pullman di Boston che portava scritto: Fatima-Lourdes-Sotto il Monte.
L’incredibile afflusso incomincia nelle prime ore della domenica. Pullman svizzeri, spagnoli, tedeschi, francesi. Pullman venuti da tutte le regioni d’Italia, particolarmente dal Veneto. Invadono la piazza di Brusicco, che è la frazione natale di Giovanni XXIII, e la intasano. Domenica scorsa ne sono stati contati ben 75. Le automobili vanno e vengono, formano una coda lunghissima che parte dalle scuole di Carvico e arriva al monumento dei caduti di Sotto il Monte, sulla strada che porta a Bergamo. Ognuno si sforza di raggiungere la piazza di Brusicco, che è l’unico parcheggio di Sotto il Monte, ma che ormai è insufficiente. Ha ragione il sindaco: il più grosso problema di Sotto il Monte, zona depressa, sono i parcheggi. Come a Milano. Pier Carlo Carissimi, primo cittadino di Sotto il Monte, lo si vede in piazza, la domenica, a dirigere il traffico, con i carabinieri di Carvico e due agenti della stradale. L’altro ieri ha scritto quattro lettere e le ha spedite al prefetto, al questore, all’amministrazione provinciale e all’ente per il turismo. «Segnalo la grave situazione», ha scritto, «a scanso di ogni responsabilità e per quei provvedimenti che ognuno degli enti in indirizzo ritiene di poter adottare nella sfera della propria competenza per migliorare le condizioni di ospitalità da offrire ai pellegrini. Il comune non ha i mezzi finanziari per predisporre un organico servizio d’ordine pubblico ed è già tanto se il consorzio di vigilanza urbana, del quale il comune stesso fa parte, assegni spesso uno dei suoi agenti in servizio a Sotto il Monte».
A Ca’ Mattino, residenza estiva del Papa, monsignor Loris Capovilla ha allestito il museo degli oggetti più cari a Giovanni XXIII. Lo custodiscono le suore Poverelle, un ordine fondato da un prete che Roncalli ha beatificato: don Luigi Palazzolo. C’era molto verde una volta, qui, che piaceva tanto al Papa, ma il riabbellimento predisposto dalle suore lo ha eliminato. Adesso c’è molto cemento. Appena entrati, sotto il portico, troneggia un busto di Papa Giovanni, opera di Enrico Manfrini; la gente fa la fila per baciargli la guancia e toccargli il naso, che è già lucidissimo. Dentro, nella stanza che fu di Roncalli, si conservano il materasso e il guanciale sui quali esalò l’ultimo respiro; si può vedere anche il crocefisso che raccolse il suo sguardo morente. In altre stanze sono conservati molti doni personali che Roncalli ricevette durante i cinque anni del suo pontificato, e anche prima, quand’era a Venezia, a Parigi, a Istanbul, a Sona. La medaglia per la pace donatagli da Giovanni Gronchi il 10 maggio 1963 è accanto a un cofanetto giunto dall’India, che contiene minuscoli e preziosi stendardini.
Poi ci sono chiavi d’oro del Messico, medaglie delle Hawaii, bricole dei gondolieri veneziani, cappelli del Texas, una pianeta d’oro della principessa Eudossia di Bulgaria, la piccozza del Cai di Mandello Lario, il messale dei carcerati di Regina Coeli, lettere di Konrad Adenauer, di John Fitzgeraid Kennedy e dei più importanti uomini politici del mondo, lettere sue, di Papa Giovanni, nonché qualche pagina delle encicliche: la Mater et Magistra e la Pacem in Terris.
Le suore accompagnano i pellegrini nella visita al museo e indicano gli oggetti più preziosi, i documenti più importanti; dicono «qui dormiva», «qui mangiava», «qui leggeva», «qui studiava», «da qui guardava il sole tramontare». A calpestare le stesse mattonelle che per tanti anni calpestò Papa Giovanni, la gente si commuove, i più s’asciugano gli occhi con il fazzoletto, s’inginocchiano sui banchi della cappella privata, pregano.
Quando esce, scendendo la stradicciola che porta in paese, la gente parla a voce alta di miracoli: un paralitico ha ripreso a camminare, un muto ha acquistato la parola, una donna aveva una malattia inguaribile e adesso è in piedi, va a fare le spese, va in chiesa, i medici sono strabiliati. Si fanno nomi e cognomi. Si citano città, paesi, vie, case, numeri.
Le voci sono tante. Si parla di un pullman arrivato dalla Brianza pieno di gente, un intero gruppo famigliare venuto a ringraziare Papa Giovanni per la guarigione del nonno: il nonno in persona guidava il corteo.
Le suore, interrogate, invitano alla cautela: in queste cose la Chiesa procede con i piedi di piombo, avvertono.
Il sabato è il giorno degli sposi, che giungono a rendere omaggio al Papa subito dopo la cerimonia nuziale. Le spose indossano ancora l’abito bianco e lo sollevano fin sopra le caviglie nel percorrere la strada in forte pendenza che conduce a Ca’ Maitino. Depongono mazzi di fiori nei luoghi cari al Pontefice. Le seguono i mariti, dietro ai quali viene la frotta del nuovo clan famigliare al completo, scaricato dal pullman con il cartello "servizio riservato".
Intere plaghe, soprattutto del Comasco, hanno già catalogato la visita a Sotto il Monte come indispensabile nel lungo programma delle cerimonie nuziali. In molti casi, anzi, il banchetto si svolge a Sotto il Monte, al Bar Sport, che è quindi costretto a far miracoli per dar da mangiare a tanta gente. «Domenica scorsa», confida la cameriera, «80 coperti e 8 mila lire di mance». Da qualche tempo è invalso pure l’uso di celebrare la cerimonia direttamente nella parrocchiale di Sotto il Monte, in tal modo lo sposo evita di bere l’amaro calice della liturgia religiosa davanti agli occhi del prete di casa e davanti a quelli, ancora più ironici, dei compagni di fede.
La meta preferita dagli sposi e in genere dai pellegrini è la casa natale di Papa Giovanni, a Brusicco, che è diventato il vero centro del paese. Qui l’afflusso è sbalorditivo. Si entra da una galleria, scura, e in fondo c’è un cortile, un quadrato con dieci metri di lato. Frecce indicano dov’è la camera natale di Papa Giovanni: di sopra, al primo piano. Ma la coda comincia di solito nel cortile, sotto il portico, accanto a un tavolino sul quale sono allineati mazzetti di immaginette di Papa Giovanni. Un giovane sta al banco, a vendere, dalla mattina alla sera. Non c’è da avere fretta: la coda si muove infatti molto lentamente. Un ampio cartello indica in quattro lingue: «CAMERA dove nacque il 25-11-1881 Angelo Giuseppe R.»; «CHAMBRE où est ne le 25-11-1881 Ange Joseph Roncalli»; «BEDROOM in which Angelo Giuseppe Roncalli was born 1881»; «DAS HAUS wo Angelo Giuseppe Roncalli im 25-11-1881 ist geboren». Dentro, un cicerone spiega. Dice che la camera è ancora tale e quale come allora. Il pavimento è di mattoni rossi, le pareti sono rosa, il soffitto è di legno. «Lì nacque Papa Giovanni», precisa il cicerone, e indica un lettone di noce, scuro, con una coperta verde. «Qui sulla sinistra potete invece vedere la fotograna di Giovanni Battista Roncalli e Marianna Giulia Mazzola, padre e madre del Papa, che nacque quarto di 13 figli, primo maschio». Un grande quadro della Madonna sovrasta il letto, mentre ai due lati, contro le pareti, ci sono due cassettoni con sopra crocefissi, candele, fiori. Sulla destra si nota il segno di una porta murata.
I coetanei di Angelo Roncali! ricordano che era quella la porta dalla quale il Papa, fanciullo, entrava e usciva; la porta dava su un’altra scala, che non è quella che si percorre adesso. Ma il cicerone non rivela il mistero della porta murata. Dice soltanto che tutto è tale e quale, e tutto rimarrà tale e quale. Per ritornare dabbasso, è stato disposto un itinerario fisso, che porta in uno stanzone, più largo della camera natale dove la gente s’accalca. Qui si vendono gli oggetti ricordo. Le prime cose che si notano sono in alto sul muro, e sono piatti. Piatti di ceramica e piatti di rame. Il Papa vi è ritratto in diverse grandezze e in diversi colori. Ma Giovanni XXIII non è raffigurato solo sui piatti. Il suo volto sorridente compare da tutte le parti: su quadretti, posacenere, anelli, portachiavi, medagliette, braccialetti, barchette con vela. Sorride da un’enorme quantità di scatolette, munite di prezzo, ben visibile. Quando la stanza è affollata, all’improvviso, si sente la sua voce, tremolante: «Fratelli...». È un disco: La voce del Papa.
Tutte le domeniche è così, da cinque mesi a questa parte, da quando è morto il Papa. Spiegano i cartelli: «Le offerte vanno al seminario missionario di Sotto il Monte caro al cuore di Papa Giovanni». Infatti, attraverso una porta, si esce dal cortile e si vede una gru accanto a una grossa costruzione. È lo scheletro del prossimo seminario, che sarà pronto, almeno in parte, per l’autunno prossimo.
La prima pietra è stata posta nella primavera di quest’anno, dopo che era stata benedetta dallo stesso Papa Giovanni, a Roma, nella mattina del 18 marzo. La gente di Sotto il Monte dice che questa data, 18 marzo 1963, sarà ricordata a lettere d’oro dai missionari del Pime, Pontificio istituto missioni estere. Quel giorno, essi celebrarono la loro vittoria definitiva nella gara per l’acquisto della casa natale di Papa Giovanni. Non fa, certo, una gara facile. Fin da quando Roncalli era in vita, erano infatti molti coloro che desideravano entrare in possesso della «cascina che sarebbe diventata preziosa».
Lo stesso Pontefice, per troncare sul nascere ogni possibile forma di speculazione, aveva fatto sapere ai missionari del Pime che, se avessero avuto intenzione di comprare la cascina, potevano farlo. C’è chi dice, anzi, che a tal punto caldeggiò l’acquisto da offrire lui stesso i soldi al Pime, traendoli dal proprio fondo personale. E il Pime, nel gennaio 1962, provò a sondare il terreno presso i proprietari della cascina. I proprietari erano tre sorelle, di nome Chiappa: Maria vedova Redaelli, Marcella vedova Roncalli (ma non parente del Papa), Pierina in Bonanomi. I primi approcci non portarono a nessun risultato, perché le sorelle dissero di essere troppo legate sentimentalmente a quel luogo. Naturalmente i missionari non si diedero per vinti e tornarono alla carica con proposte più sostanziose. Allora le tre sorelle fecero capire che, se si usavano quegli argomenti, si poteva trattare.
E nel marzo 1963 le ultime resistenze crollarono. Concluso l’accordo e firmate le carte, i missionari deposero la prima pietra benedetta a Roma dal Papa e cominciarono a costruirvi sopra un grosso edificio. Ma avevano fatto i conti senza l’oste, e l’oste in questo caso erano quelle persone che, pagando l’affitto, abitavano in alcuni locali della cascina. Esse fecero capire che sarebbero uscite solo con la forza. Vennero usate tutte le maniere, ma non ci fu niente da fare.
Ed eccoci al giugno 1963, mese della morte del Papa. Nelle giornate che immediatamente seguirono il 3 giugno, avvennero nella casa natale del Papa episodi incredibili, che trovano peraltro la loro giustificazione nel clima particolare del momento. Due di questi episodi riguardano un certo Sandro Roncalli (non parente del Papa), un operaio che la notte lavorava a Bergamo e che riposava di giorno, nella sua stanza situata accanto alla casa natale. Quando la fiumana di gente devota cominciò ad arrivare, Sandro Roncalli non ebbe più pace. Un giorno si vide capitare in camera due suore, mentre era a letto. Un altro giorno uscì lui, sul ballatoio, imbracciando un fucile da caccia. «Volete lasciarmi dormire sì o no?», si mise a urlare. Ci fu un fuggi fuggi dei pellegrini giù per le scale.
Poi scoppiò la febbre degli oggetti ricordo e delle cassette per le offerte. Una mattina un grosso salvadanaio fece la sua apparizione sul sagrato della chiesa parrocchiale, con il cartello: «Offerte per la costruzione del seminario caro al cuore di Papa Giovanni». Il cartello non specificava se il seminario in parola fosse quello del Pime oppure quello diocesano di Bergamo, che da parecchi anni è in via di costruzione in Città Alta. Qualche giorno dopo i fedeli trovarono la risposta al quesito, scritta da mano ignota: il seminario era quello diocesano. Sorse allora una sotterranea ed elegante disputa per stabilire quale fosse il seminario «caro al cuore di Papa Giovanni». Le parti, è ovvio, avevano ragione tutt’e due, si trattava comunque di stabilire quale avesse più ragione; in altre parole, al cuore del Papa era più caro il seminario missionario oppure quello diocesano di Bergamo? Una mattina, misteriosamente, il salvadanaio scomparve dal sagrato della chiesa. E, da allora, il Pime ebbe partita vinta.
A questi avvenimenti, che li toccano direttamente, gli abitanti di Sotto il Monte assistono con una certa passione. Da secoli era un paese depresso, anzi era il paese più depresso di una zona depressa, l’Isola, che è quella specie di triangolo che si stende tra l’Adda, il Brembo e il Canto Basso. Nello spazio di pochi anni i suoi abitanti, che erano quasi tutti mezzadri, sono diventati coltivatori diretti oppure operai, più operai che coltivatori diretti. Adesso sono in 700, su un totale di 1.400, che la mattina prendono d’assalto Milano, Lecco, Bergamo, Sesto San Giovanni. E la domenica si vede questo spettacolo; ex mezzadri di cinque anni fa si costruiscono la propria casa su una fetta di terreno che sono riusciti a comprarsi.
A Sotto il Monte non c’è un’industria. E non c’è scuola al di sopra delle elementari, non c’è corso di qualificazione, non c’è cinema, non c’è campo sportivo. Le Adi recentemente hanno fatto un’inchiesta e hanno denunciato una situazione molto preoccupante. Due anni fa pareva arrivasse il toccasana, una grossa industria che avrebbe assorbito 700 persone. L’idea era stata di un ingegnere comasco, che arrivò a Sotto il Monte di giovedì e per la domenica aveva già organizzato la posa della prima pietra, con autorità civili e religiose, con discorsi, ricevimento, eccetera. Sui due piedi si fondò una specie di società. Alcuni soci sborsarono soldi. Ma, da allora, l’ingegnere comasco non si è fatto più vivo.
Fu, questo, il più grosso bidone della storia di Sotto il Monte. Perciò adesso gli abitanti sono molto cauti, sospettosi. Stanno aspettando altre occasioni, ma tengono gli occhi ben aperti. Sanno che la loro terra fa gola a molti per una ragione ben precisa, che nessun altro paese al mondo può vantare. E sanno che, aspettando, la zona sale di prezzo, così come è salita la cascina delle sorelle Chiappa. In segreto, ma nemmeno tanto in segreto, si aspetta un miracolo, un miracolo vero.
Allora tutto si muoverà. In questa attesa, le botteghe sono piene zeppe di ritratti di Papa Giovanni, sui piatti di porcellana, sui piatti di rame, sulle medagliette, sui posacenere, sui portachiavi, sui braccialetti. «Prenda questo Papa Giovanni», mi invoglia una ragazza esibendomi un piatto di porcellana, «costa soltanto 950 lire. Il Pime lo fa pagare mille».