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 2012  novembre 14 Mercoledì calendario

GIULIANA, CAMPIONESSA SPAZZINA “DAI RECORD AI RIFIUTI, E ALLORA?”

[Vittorie, denunce, povertà, l’avventura della Salce] –
Quel giorno, a Cassino. «Un meeting di distanze anomale. Corro i tremila di marcia, al passaggio sul miglio stabilisco la miglior prestazione mondiale. Poi tocca a Pietro. Pietro Mennea. Anche lui fa il record del mondo, sui 150 metri piani. È il 1983, l’atletica è ancora l’atletica. All’uscita dallo stadio Comunale mi vengono incontro delle suore, vogliono un autografo sulle mani ». Giuliana Salce, squadra 9A. Tredici operatori ecologici, tutte donne, zona di competenza Appio- Tuscolano. Lei guida il furgone della differenziata, le altre raccolgono cartoni e bottiglie di plastica da riciclare. Sono popo-larissime: c’è il signore che si presenta con la mela tagliata a spicchi, la vecchietta con le caramelle di cioccolato. «Oggi faccio la raccolta porta a porta, mi sveglio alle 4,30 del mattino per 700 euro al mese. Sono spazzina, come si dice a Roma, ed è bellissimo per tutta la gente che ti fa incontrare. Tra i miei record di allora e la differenziata di oggi ho messo un po’ di tutto. Un’Olimpiade persa per un documento contro la Fidal, un figlio pugile che ha scelto il mio cognome, una nuova vita nel ciclismo amatoriale, l’epo e il gh, un tumore alla tiroide, le pulizie in un centro commerciale, la povertà, la campagna per arrivare a queste albe sulla strada. E mi sento più viva che mai».
La campionessa spazzina vive al pianterreno di una palazzina popolare di Ostia Antica, laddove Roma si rilassa tra mare, pinete e siti archeologici. Prepara il caffè, offre il ciambellone, assistita da Cesare, il compagno del liceo che l’ha ritrovata dopo mille avventure. «Vengo da una famiglia di marciatrici, ho vinto dodici titoli italiani, un mondiale indoor a Parigi nell’85, un argento iridato a Indianapolis nell’87. Non mi sono mai dopata nell’atletica, anche se soffrivo di bulimia, anoressia, non mangiavo pasta, vincevo con la testa e Conconi mi faceva “Ma che hai l’acqua nel sangue?”. Capirai, 34 di ematocrito. Ho smesso dopo due record del mondo, per aver firmato un documento contro ogni tipo di illecito nella Fidal del salto truccato di Evangelisti. Eppure, con Nebiolo stavamo benissimo. Sono rimasta nove anni ferma, a insegnare ginnastica a signore di Ostia che si vergognavano, arrivano in palestra nascondendo la tuta sotto il cappotto. Altri tempi. Ma la gara mi mancava».
«Nel ’99, a 43 anni, decido di passare al ciclismo, categoria master. E qui, comincio a respirare un’altra aria. “Sei stata male, devi curarti”, la frase ricorrente, un lavaggio del cervello attuato soprattutto da un consigliere della federciclismo che sarà inibito a vita. Ho vinto il campionato italiano senza doping, ma lui decide per me sostanze, dosi di eritropoietina e ormone della crescita. Quando entra in ritiro e apre il frigo fa: “Solo doping qua dentro? Niente Coca Cola?”. All’inizio mi sento onnipotente, l’ematocrito sale a 40. Ma dopo quattro mesi smetto, perché sto male. Infatti sarò operata per un tumore alla tiroide, quasi sicuramente provocato dall’epo, e sulla coscia mi viene un’infezione che attribuisco al gh: probabilmente mi hanno dato quello estratto dai cadaveri».
«La morte di Pantani mi sconvolge. Decido di autodenunciarmi, dopo essermi consultata con mio figlio Barnaba, che fa il pugile e ha tatuata addosso una canzone degli Articolo 31 dedicata alla mamma. Soprattutto ai ragazzi penso, l’unica lotta antidoping che funziona è il dialogo coi bambini. Ai Carabinieri del Nas di Firenze dico tutto. Il consigliere viene mandato a processo, nel centro sportivo in cui lavoro mi riducono le ore da 16 a tre. Per sopravvivere faccio le pulizie nelle case o ai Granai, alle quattro di mattina per trecento euro al mese. Quando mi arrivano le scatole della Croce Rossa a casa, piene di pasta, olio, latte, è una festa. Ora faccio la spazzina, e allora? La Fidal mi ha offerto di attaccare i manifesti del Golden Gala. Meglio la differenziata. Meglio la collaborazione offerta dalla Maratona di Roma. Meglio ripulire il parco di Ostia Antica dalle siringhe, e portarci i bambini a correre. Glielo spiego bene, ai piccoli, nel giardinetto delle suore dove insegno atletica: il doping è come l’alcol e la droga. Loro capiscono. Ma mai nessuno che mi spieghi perché la gente non butta la spazzatura nei cassonetti».