Marco Fortis, Il Sole 24 Ore 13/11/2012, 13 novembre 2012
COL PAREGGIO SI RISCHIA LA SCONFITTA
Abbiamo già più volte sottolineato il paradosso dell’Italia, che dal fallimento di Lehman Brothers fino all’estate dell’anno scorso ha sempre avuto non solo il più basso debito privato del mondo sviluppato ma anche un debito pubblico che, pur essendo storicamente alto in rapporto al Pil, era tra quelli decisamente più sotto controllo.
Fino a quel momento il nostro Paese aveva reagito alla più grave crisi economica internazionale degli ultimi 80 anni con un saggio mix omeopatico di seria ma non eccessiva disciplina fiscale (presentando il miglior avanzo statale aggiustato per il ciclo dopo Singapore sul totale delle trenta economie avanzate censite dall’Fmi), di discreta tenuta dei consumi delle famiglie italiane (in quanto poco indebitate) e di contenimento della crisi occupazionale (con un notevole sforzo sugli ammortizzatori sociali).
Ma con l’allargarsi del contagio greco e il crescente discredito del precedente governo in carica la situazione è rapidamente precipitata e vi è stato un pauroso allargamento del nostro spread rispetto ai bund decennali tedeschi. A quel punto, i mercati e l’Europa hanno irrazionalmente imposto a un malato debole ma non grave come l’Italia la stessa cura da cavallo applicata a Paesi sostanzialmente falliti come la Grecia e l’Irlanda o economicamente disastrati come la Spagna. Una cura che nel nostro caso è stata applicata, se possibile, persino con maggiore accanimento e che si è declinata nel famoso obiettivo del pareggio di bilancio anticipato al 2013: un vero e proprio esperimento da laboratorio di politica economica che ha provocato una recessione senza precedenti nel Dopoguerra e di cui l’Italia è oggi l’unica cavia al mondo in questa particolare fase della storia. Ma, agli occhi del commissario Ue Olli Rehn, che pure si meraviglia della nostra bassa crescita (si è mai visto che dall’austerità sgorghi la crescita?), nemmeno il pareggio anticipato pare ora sufficiente, sicché egli già si preoccupa di che cosa potrà accaderci nel 2014.
Cosa dicono i numeri.
Quanto sia stata sbagliata la terapia del rigore estremo applicata all’Italia emerge chiaramente dalle statistiche trimestrali dell’Eurostat su consumi privati, disoccupazione e rapporto debito pubblico/Pil. Abbiamo esaminato i dati dei quattro maggiori Paesi Ue (Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia) e di una decina tra i Paesi europei più colpiti dalla crisi immobiliare-finanziaria e dall’escalation dei debiti privati o pubblici (cioè i quattro Pigs più Cipro, i tre Paesi baltici, Ungheria, Olanda e Danimarca). Dalla nostra analisi risulta che dal quarto trimestre 2007 al terzo trimestre 2011, cioè in 15 trimestri, l’Italia aveva sperimentato la minor caduta dei consumi privati (-0,8%) dopo Germania e Francia (due economie in cui la spesa era addirittura aumentata), mentre in tutti gli altri Paesi considerati si erano verificati autentici crolli dei consumi delle famiglie (da -5,7% in Gran Bretagna e Danimarca a -6,4% in Spagna, sino a -10,1% in Irlanda e oltre -21% in Lettonia e Islanda).
Quanto al tasso di disoccupazione, in Italia era aumentato di meno in termini di punti percentuali (+2,3) dopo quelli di Germania, Francia e Olanda, contro incrementi ben più elevati negli altri Paesi (dove si erano registrati peggioramenti in un intervallo da +3,2 punti per la Gran Bretagna a +4 per la Danimarca sino a +9,8 per l’Irlanda, a +10,3 per la Grecia e a +13,3 per la Spagna).
Infine, per ciò che riguarda il debito pubblico, il nostro era quello cresciuto di meno insieme a quello tedesco (rispettivamente, +16,6 e +15,7 punti percentuali di Pil), mentre nelle altre economie analizzate si erano registrati veri e propri cataclismi delle finanze statali (con incrementi del debito pubblico tra i 30/40 punti di Pil in Spagna, Lettonia e Regno Unito, di oltre 40 e 50 punti, rispettivamente, in Portogallo e Grecia e addirittura di 79 punti in Irlanda).
L’economia reale.
Ma con la cura del pareggio di bilancio anticipato, l’Italia, invece di conservare i decorosi risultati fino a quel momento conseguiti, dal terzo trimestre 2011 sino al secondo trimestre 2012 è andata indietro visibilmente. Nei consumi privati, in soli nove mesi siamo crollati del 3,2% (il peggior risultato dopo il Portogallo): in pratica i consumi delle famiglie italiane sono diminuiti negli ultimi tre trimestri 3 volte di più che in tutti i tre anni e mezzo precedenti di crisi. Nel tasso di disoccupazione in nove mesi siamo saliti di 2,1 punti, mentre nel rapporto debito pubblico/Pil, nonostante il rigore, siamo cresciuti di ben 6,2 punti, collocandoci per incrementi nel periodo più recente alle spalle solo di Spagna, Irlanda e Portogallo (i dati della Grecia degli ultimi trimestri non sono raffrontabili con i precedenti).
Nel sito internet del nuovo manifesto politico dell’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti è scritto che fu il premier Silvio Berlusconi a farsi imporre l’obiettivo del pareggio di bilancio anticipato al 2013 anziché al 2014. Mentre Mario Monti in diverse occasioni ha ricordato che egli ha ereditato dal precedente Governo questo rigido impegno assunto con la Ue e che, non avendo alternative (considerata anche la crisi reputazionale in cui versava il nostro Paese) si è semplicemente adoperato per rispettarlo. La storia, a dire il vero, ormai conta abbastanza poco perché sono altri fatti a contare ben di più. L’obiettivo del pareggio di bilancio anticipato all’anno prossimo ha costretto l’Italia a un giro di vite fiscale assolutamente controproducente. Infatti, l’economia è peggiorata e purtroppo con essa anche il rapporto debito/Pil. Per centrare un obiettivo ne abbiamo sbagliati due.
È noto che nel calcio giocare per il pareggio spesso è pericoloso. Se prendi un gol negli ultimi minuti, poi è difficile rimontare e rischi di perdere la partita. Ma anche in economia il pareggio non basta e forse sarebbe ora che l’Italia inizi a giocare di più all’attacco. Proprio perché Monti ha riportato credibilità al nostro Paese sul piano internazionale, egli oggi può reimpostare la nostra tattica di gioco imponendola agli altri.
Quel che occorre fare.
Monti ha tempo solo pochi mesi, prima degli esiti elettorali incerti che sono all’orizzonte, per convincere i mercati, la Ue e Angela Merkel che troppa austerità fa male all’Italia (ed anche all’economia tedesca, visto che nei primi 8 mesi del 2012 gli italiani hanno importato dalla Germania 1,6 miliardi di euro in meno di autovetture). Monti può rinegoziare con la Ue una strategia fiscale per l’Italia che, pur mantenendosi sempre rigorosa e anzi diventando più capace di aggredire la spesa e gli sprechi di quanto non sia stato fatto sinora, sia un po’ meno recessiva nel breve termine e meno infarcita di tasse. I risultati di bilancio del nostro Paese parlano chiaro: sono ottimi. Ma quelli economici, purtroppo, sono molto negativi. Se i secondi non migliorano rapidamente rischiano di mettere a repentaglio i primi. Con il paradosso che il pareggio ci farà perdere la partita. A quel punto dovremo ricominciare a fare altri sacrifici per abbattere il livello del debito/Pil anche se il nostro debito da tempo sta crescendo monetariamente assai di meno dei debiti degli altri Paesi.