Nicol Degl’Innocenti, Il Sole 24 Ore 13/11/2012, 13 novembre 2012
PETROLIO, USA PRIMI PRODUTTORI
Un’Europa sempre meno competitiva rispetto a Stati Uniti e Cina in fase ascendente, con imprese e cittadini europei costretti a pagare prezzi molto più elevati per l’energia: questo il quadro tracciato dal World Energy Outlook 2012, le previsioni annuali dell’autorevole Agenzia internazionale dell’energia (Aie), presentate ieri a Londra.
Il cambiamento più radicale nel nuovo panorama energetico mondiale riguarda gli Stati Uniti, che secondo l’Aie diventeranno il maggiore produttore mondiale di petrolio entro il 2017, superando l’Arabia Saudita. Il progresso sarà tale che dal 2018 gli Usa inizieranno a esportare gas, nel 2030 potranno diventare un esportatore netto di petrolio e si garantiranno l’autosufficienza, facendo un percorso diametralmente opposto alla maggior parte dei Paesi del mondo, sempre più dipendenti dalle importazioni per il loro fabbisogno energetico.
L’inversione di tendenza degli Usa è dovuta in gran parte all’aumento della produzione di biocarburanti negli ultimi anni e alla cosiddetta "shale revolution", il boom dell’estrazione di gas e greggio presenti nel sottosuolo utilizzando il "fracking", una tecnologia di frammentazione idraulica della roccia. La crescita media della produzione di greggio è stata di 500mila barili al giorno.
Non bisogna però sottovalutare un altro fattore, ha sottolineato ieri Fatih Birol, chief economist dell’Aie e autore dell’Outlook: «Le misure di efficienza energetica imposte dalla prima amministrazione Obama hanno avuto grande successo nel ridurre i consumi e quindi la domanda». L’evoluzione degli Stati Uniti «non è sorprendente, - ha sottolineato Birol, - ma trovo sconcertante come l’Europa sembri pensare che non la riguardi. In realtà sta già avendo un forte impatto e cambia gli scenari non solo energetici ma anche geopolitici: basti pensare alle conseguenze del fatto che gli Usa non dovranno più dipendere dal Medio Oriente per il petrolio».
Una conseguenza dell’autosufficienza degli Usa sarà lo spostamento del commercio globale di petrolio verso l’Asia. La Cina, in particolare, dipenderà sempre di più dalle importazioni dal Medio Oriente, assorbendo ad esempio l’80% della produzione irachena in rapidissima espansione.
Un’altra conseguenza sarà sui costi dell’elettricità: imprese e cittadini europei si troveranno a pagare il 50% in più degli Stati Uniti e tre volte tanto la Cina. «L’impatto negativo sulla competitività delle imprese e sul potere d’acquisto dei cittadini d’Europa sarà significativo», ha detto Birol.
L’unica soluzione possibile è puntare su una sempre maggiore efficienza energetica. Di recente Usa, Giappone, Cina e Unione europea hanno fatto passi significativi, ma l’Aie propone una serie di misure economicamente sostenibili che dimezzerebbero l’aumento della domanda globale di energia e renderebbero raggiungibili gli obiettivi di riduzione delle emissioni nocive.
Il piano energetico nazionale del Governo italiano va nella direzione giusta, ha detto Birol a «Il Sole-24 Ore»: «Punta sull’efficienza ed è realistico, quindi lo considero un passo molto positivo. Ovviamente l’implementazione e un costante monitoraggio saranno cruciali. Approvo in pieno anche la strategia di Roma di fare dell’Italia un hub del gas, che porterà benefici economici non solo al Paese ma all’Europa tutta».
La domanda globale di energia aumenterà di un terzo da oggi al 2035: sarà pressoché invariata nei Paesi industrializzati ma crescerà in modo esponenziale in Cina, India e Medio Oriente. Particolarmente forte la domanda di gas, che aumenterà del 50% a 5mila miliardi di metri cubi entro il 2035. Nonostante la rapida espansione delle fonti rinnovabili, solare in testa, i combustibili fossili restano dominanti nel mix energetico mondiale, sostenuti da sussidi che lo scorso anno hanno raggiunto i 523 miliardi di dollari, sei volte superiori agli incentivi a favore delle fonti rinnovabili.