Glauco Maggi; Carlo Nicolato, Libero 13/11/2012, 13 novembre 2012
IL SOSPETTO: «CHI HA NASCOSTO IL CASO PETRAEUS?»
[due pezzi: Glauco Maggi; Carlo Nicolato]
C’è una seconda donna, Jill Kelley, nell’affaire Petraeus, l’ex direttore della Cia che si è dimesso venerdì confessando una storia extramatrimoniale con la sua biografa Paula Broadwell, autrice di un libro sulla vita del generale a 4 Stelle eroe della contro insurrezione in Iraq. Kelley, 37 anni, sposata con un medico e madre di tre figli, è un’amica di famiglia dei Petraeus, conosciuti 5 anni fa a Tampa, dove vivono, e che è città sede del comando congiunto delle Forze Armate, frequentemente visitato da Petraeus fin quando è stato nell’esercito (estate 2011).
LA TERZA DONNA
La donna non avrebbe avuto una relazione sessuale col sessantenne David, ma frequentandolo nella sua veste di informale donna di relazioni pubbliche tra il dipartimento di Stato di Hillary Clinton e l’esercito aveva fatto ingelosire Paula, che le mandò nel maggio scorso una decina di email anonime di minaccia («so che cosa stai facendo… lascia stare il mio tipo… »). Jill, spaventata, avvisò un amico dell’Fbi. Così è partita l’in - chiesta, nel corso della quale, individuata la mittente Paula, gli agenti sono risaliti alle lettere scambiate tra Paula e David, ricche di piccanti riferimenti alla relazione tra i due. Il risultato finale si sa: Paula è stata interrogata il 21 ottobre dagli agenti dell’Fbi e ha ammesso tutto. Sette giorni dopo è stato interrogato Petraeus, che ha ammesso il rapporto con la donna, 20 anni più giovane di lui. E infine, tre giorni dopo il voto e qualche giorno prima dell’audizione in Congresso in cui doveva chiarire il ruolo della Cia sul caso Bengasi, il direttore s’è dimesso.
Ecco, questo il breve riassunto. Ma è qui che inizia il vero giallo politico, col balletto del chi sapeva che cosa durante i lunghi mesi delle indagini dell’Fbi sul capo della Cia. È accertato che il General Attorney Eric Holder, a capo del ministero della Giustizia, afroamericano e amico di Obama dai tempi dell’università, sapeva del legame tra le email e Petraeus a fine agosto. Che non abbia avvertito in qualche modo la Casa Bianca è offendere la sua intelligenza, e chi lo crede offende la propria. Nulla è arrivato, invece, alla presidente della Commissione dei Servizi Segreti del Senato, la democratica Dianne Feinstein, che l’ha saputo dai cronisti solo qualche ora prima delle dimissioni e, inviperita, ha annunciato un’indagine del Congresso su come l’Fbi ha gestito l’intera operazione. Più che perplessa è l’intera opinione pubblica. «Perché aspettare settimane per avvertire la Casa Bianca se un capo della Cia è compromesso ad un punto tale che può essere forzato a dimettersi?», si chiede il Wall Street Journal. Tra l’altro, a fine ottobre, il capo dei Repubblicani alla Camera, Eric Cantor, era stato avvertito delle voci sulle email del fedifrago Petraeus da un funzionario dell’Fbi, a conoscenza dell’istruttoria avviata mesi prima e preoccupato per le implicazioni sulla sicurezza nazionale dello scandalo al vertice della Cia. Da perfetto uomo delle istituzioni, Cantor ha girato l’informazione a Robert Mueller, direttore dell’Fbi, e niente più. «Cantor merita il plauso per aver mostrato discrezione e buon giudizio nel mezzo di una campagna elettorale. Ma lo stesso credito non va agli ufficiali dell’amministrazione se hanno tenuto sotto vuoto la notizia finché Obama è stato rieletto» continua il Wall Street Journal. Insomma, il pasticcio è destinato a infittirsi nelle prossime settimane.
La vicenda potrebbe riservare sviluppi clamorosi, e lo stesso padre di Paula ha dichiarato alla versione on line dell’inglese Daily Mailche «questo è l’inizio di un processo, non posso dire altro ». In precedenza al Daily News aveva detto che «la questione è totalmente diversa, la verità verrà fuori», lasciando trasparire chissà quali scenari.
LOTTA DI SUCCESSIONE
Senza contare che l’affaire Petraeus s’interseca con altre indagini sull’operato di un governo che ha dimostrato di manipolare fatti e informazioni senza scrupolo, se si tratta di ottenerne vantaggi politici. Su Bengasi importante era arrivare al 6 novembre senza dare risposte a domande-chiave:perché non sono state rafforzate le misure di difesa dell’ambasciata, malgrado gli Sos arrivati al Dipartimento di Stato? Perché per settimane è stata usata la bugia dell’inesistente corteo di protesta? E ora riuscirà il Congresso ad avere la versione di Petraeus? Poi c’è stata la storia del missile iraniano sparato cinque giorni prima del voto contro un drone Usa nei cieli internazionali: ma la notizia è stata data solo il 7 novembre. Infine la bomba Petraeus, che se fosse scoppiata nel mese prima del voto avrebbe gettato un’altra luce molto negativa Tornando a Petraeus: il suo addio è definitivo? Nell’America che ora giudica Bill Clinton - coi suoi trascorsi di traditore di Hillary e spergiuro davanti al Gran Giurì –come il politico più raffinato, oltreché utilissimo nel rieleggere Obama, perché privarsi del talento militare del generale? In ogni caso per la sua sostituzione girano i nomi di Michael Morell, suo vice che regge ora l’interim e che aveva lavorato sotto George Bush, e di John Brennan, ora top adviser di Obama per i servizi segreti e braccio destro alla Cia di George Tenet dal ’97 al 2004. Altre possibilità:Tom Donilon,consigliere per la sicurezza, Mike Rogers, deputato repubblicano a capo della commissione dei servizi segreti della camera, Michael Leiter, ex direttore del Centro nazionale del Controterrorismo.
Glauco Maggi
«QUEL GIORNO A BENGASI LA CIA TRATTENEVA DUE PRIGIONIERI LIBICI»–
Che qualcosa non tornasse nella vicenda di Bengasi del’11 settembre scorso, quando alcuni islamisti attaccarono il consolato americano uccidendo l’ambasciatore Chris Stevens e altri tre statunitensi, si era capito subito. Si era capito che la semplicistica versione della reazione per il film anti- Maometto («L’innocenza dei musulmani») non reggeva, e soprattutto non ci si capacitava di come proprio il giorno dell’anniversario dell’attacco alle Twin Towers un ambasciatore statunitense in un Paese islamico in guerra, o quasi, come la Libia sene potesse andare da Tripoli a Bengasi, città particolarmente calda, senza un’adeguata protezione. Una spiegazione dei fatti, pur sommaria, era in effetti arrivata il 26 ottobre scorso proprio da Paula Broadwell, la presunta amante dell’ormai ex capo della Cia David Petraeus, e causa - secondo una versione quasi ufficiale - delle dimissioni di quest’ultimo. Ricostruzione invero clamorosa, di cui si ritrovava tracci - e la si trova ancora - in un video su YouTube. Versione dei fatti che lascia ancor più dedurre come le cause dell’abbandono di Petraeus non siano legate soltanto ad affari di sesso e di corna, masi colleghino a ben altre e più importanti situazioni, magari riguardanti quella zona torbida a cui spesso si fa cenno quando si parla di servizi segreti e della politica ad essi connessa. (Con in più l’aggravante che Obama, durante la sua prima campagna elettorale, aveva promesso che su tali questioni ci avrebbe messo una pietra sopra, ma tant’è: chiamasi balla elettorale).
LA CONFERENZA A DENVER
EdunquePaula Broadwell, in tempi non sospetti e invitata all’università di Denver quale esperta di cose militari e biografa dello stesso Petraeus, parla di circostanze mai rivelate, di terroristi prigionieri e allarmi ignorati. Elementi che riferisce citando
esplicitamente il capo della Cia Petraeus. Di cui, come si sarebbe poi saputo dalle parole dell’ex capo Cia, sarebbe stata l’amante. A Bengasi dunque, prima dell’attacco dell’11 settembre, la Cia - in quella che, stando alla versione della Broadwell, era evidentemente una sua sede operativa - avrebbe tenuto prigionieri una paio di pericolosi terroristi -o di miliziani libici come li chiama la stessa Broadwell. La Cia avrebbe anche fatto richiesta di rinforzi, un gruppo di militari della Delta Force - «i nostri soldati con più talento» aggiunge Paula - senza però ottenere alcuna risposta. «Petraeus sapeva tutto - sottolinea la Broadwell - era in contatto con il capo del distaccamento Cia in Libia, ma la sua posizione non gli permette di parlarne con la stampa». Insomma, la Broadwell rivela che «c’era una falla nel sistema ». Falla che, se così fosse, sarebbe la causa della morte dell’ambasciatore. Peraltro, la scrittrice cerca anche di stemperare le sue dichiarazioni concedendo alibi alla Clinton - quel giorno «c’erano decine di migliaia di persone in piazza in 22 Paesi diversi» - e anche a Obama, al momento della conferenza nel pieno della sfida elettorale. Il discorso per intero, la cui sostanza rimane esplosiva, è come detto rintracciabile su Youtube alla voce “Alumni Symposium 2012 Paula Broadwell”.
I VERTICI NEGANO
Dal canto suo, la Cia d nega di aver mai avuto prigionieri in Libia, e così pure Greg Miller, esperto in materia del Washington Post. L’intelligence americana non nega invece che fosse arrivata una richiesta di militari Delta Force, ma risponde in proposito, attraverso uno dei suoi portavoce, che «nessuno a nessun livello della Cia ha ordinato a chicchessia di non aiutare chi ne avesse avuto bisogno». Una risposta piuttosto sibillina, che non smentisce nulla e lascia invece aperta la porta a qualsiasi supposizione. Specie dopo le dimissioni di Petraeus.
Carlo Nicolato