Antonio Pascale, Corriere della Sera 13/11/2012, 13 novembre 2012
LE STRADE DIVENRARE TORRENTI. PULIRE CANALI, RIPARARE CREPE, QUEI PICCOLI GESTI QUOTIDIANI CHE EVITEREBBERO LE TRAGEDIE
L’Italia è un Paese a rischio crollo. Lo si dice da anni e a ogni pioggia la tensione aumenta. Ma c’è una particolarità, attratti come siamo dalla patologia preferiamo commentare il danno già fatto: strilliamo, titoliamo in corsivo, ci lagniamo, oppure, accusiamo qualcosa di grande e imponderabile, come il cambiamento climatico. Eppure, se guardassimo la questione da un punto di vista fisiologico — e con uno sguardo umile, oserei dire banale — la prospettiva cambierebbe.
Per esempio, un (fisiologico) caso specifico: la legge che regola il settore calamità in agricoltura è davvero ben fatta. I funzionari ministeriali come me sono orgogliosi di applicarla. La legge stabilisce che, per esempio, una strada danneggiata può essere riparata con soldi pubblici se e solo se, prima dell’evento avverso, la strada era in buone condizioni. Cioè, usando un gergo tecnico: fosse ben manutenuta. Giusto: se la strada è ben costruita, se ci sono canalette per lo scolo delle acque, e se queste sono pulite, se, insomma, queste condizioni sono soddisfatte, allora, una pioggia di modesta o forte intensità, non può danneggiare la strada. Solo se la pioggia è stata davvero eccezionale, fuori norma, solo allora, davanti alla sfortuna climatica, possiamo distribuire contributi.
Ora, purtroppo, la storia è sempre la stessa, in Italia nessuno pratica una normale manutenzione. Perché basterebbero gesti quotidiani comuni e medi, poco creativi, riparare una canaletta o assestare una crepa. E poi tecnici che operano sul nostro territorio sono bravi, attenti, conoscono i problemi e sanno dirti con molto anticipo se una frana verrà giù, o se l’acqua di un fiume romperà gli argini. E allora? E allora la verità è che soldi per praticare la normale manutenzione non ce ne sono. I tecnici lo ripetono spesso. Certo, dovevamo pulire queste canalette, certo dovevamo fermare queste crepe, ma a noi i soldi chi ce li dà? Ci dobbiamo arrangiare. E dunque? E dunque ci arrangiamo, cioè esageriamo con la patologia.
È l’unica possibilità per ottenere soldi e riparare i danni — vecchia storia: tutti chiediamo soldi allo Stato italiano (ci sentiamo in debito) ma non siamo propensi a ritenerci Stato quando ci tocca praticare ordinari lavori di manutenzione (che eviterebbero di produrre il debito). Quindi non ci resta che dichiarare che la pioggia è stata eccezionalissima. Un superlativo forzato ma che è diventato ordinario (voglio dire, è una tendenza, poi ci sono davvero eventi eccezionali come questi ultimi). È vero, la manutenzione non è stata praticata: «ma dottore carissimo, quel giorno cadeva tanta di quella pioggia che mai a memoria d’uomo se ne ricorda una così». Mai a memoria d’uomo. È la frase tipica che come funzionario ascolto da 22 anni. Ogni volta che cade una pioggia c’è qualcuno che dichiara: mai a memoria d’uomo! Che so, vado in un posto per stimare i danni e mi dicono: ad aprile 2008, dottore carissimo, qui è caduta tanta di quell’acqua che mai a memoria d’uomo... Poi ci torno nel 2009, stesso posto, stesso tecnico che mi dice: «dottore carissimo, è un evento eccezionalissimo, è caduta tanta di quell’acqua che mai a memoria d’uomo».
Ora, davvero, i tecnici regionali devono arrangiarsi. Sono i soli che possono farlo, i politici non ci pensano proprio. Ed è il problema più serio che dobbiamo affrontare. Un politico non ricava niente impegnandosi a finanziare dei lavori ordinari: riparare piccole crepe o pulire una canaletta di bonifica. La sua immagine — e i voti a questa legata — non migliora se si occupa di manutenzione. Troppo banale. Troppo poco creativo. A giudicare dalla pessima condizione del nostro territorio ci vorrebbe una sorta di piano Marshall per la manutenzione, così articolato e serio, così poco italiano, che mai a memoria d’uomo se ne ricorda uno simile.
Antonio Pascale