Mirella Serri, la Stampa 13/11/2012, 13 novembre 2012
DAL TRAVASO A ZA-BUM: COSÌ IL FUTURISMO DIVENTÒ POPOLARE
Il Parlamento che cosa è? «È quella cosa / che ci vanno tutti quanti, / i più bischeri e birbanti / vanno pure al minister». E il moralista chi è? «È quella cosa / che del fico vuol la foglia, / ma se poi gli vien la voglia / vuole il frutto e al femminil»: così ci spiega l’ Almanacco purgativo . E i futudisti (sic) chi sono? Stando al Birichin , settimanale umoristico di Turin in vernacolo piemontese, sono proprio loro, i pazzerelloni della poesia e dell’arte, a cui viene dedicata una lunghissima poesia in dialetto.
Sono passati solo pochi anni dalla prima pubblica apparizione di quel manipolo di avanguardisti che tra le proprie file annovera Filippo Tommaso Marinetti, Umberto Boccioni, Carlo Carrà e Giacomo Balla ma il movimento in breve tempo si è incredibilmente e impensabilmente ampliato. Guidate da Capitan Marinetti, la «caffeina d’Europa», le falangi di adepti e simpatizzanti sono cresciute a dismisura e lo Stivale, dal Piemonte a Cefalù, è pieno di futuristi in crescita e in erba. Come si sono fatti conoscere gli aereopoeti e i pittori «elettrici» oltre che con le scazzottature, le provocazioni e le serate in cui si sbertuccia il potere e la tradizione? Attraverso fogli, pubblicazioni, periodici spuntati come funghi, a cui collaborano egualmente intellettualigrandi firme e comuni mortali che si dilettano di letteratura o di pittura.
Molti di questi meravigliosi reperti che inondarono l’Italia degli Anni Venti-Trenta, connotati da una grafica eccezionale, con disegni e testi dei grandi padri del futurismo, e per decenni dimenticati, sono entrati a far parte della collezione futurista della studiosa Claudia Salaris e dell’artista Pablo Echaurren. Saranno un pezzo forte della mostra in allestimento per il 2014 presso il Guggenheim di New York, dedicata al movimento che cambiò il volto dell’arte non solo nella Penisola ma nel mondo. Ora è in uscita un’opera monumentale della Salaris, Riviste futuriste. Collezione Echaurren-Salaris (Gli Ori editore, pp. 1.755, € 100) con una rassegna degli oltre 200 esemplari di riviste messi insieme dalla coppia di sofisticati segugi impegnati per anni a seguire piste tra bouquinistes e antiquari.
Da quel grande affresco futurista che emerge dalla raccolta - a cui ha dedicato di recente un lungo articolo The Times Literary Supplement - si percepisce l’incredibile successo dell’avanguardia che attirò nella sua orbita soprattutto i ventenni o giù di lì, attraverso quel facebook d’antan che furono i periodici prima della seconda guerra mondiale. Numerosissime furono le associazioni goliardiche, i liceali, gli universitari che diedero vita a settimanali, mensili, pubblicazioni sporadiche che si modellavano sul gioco, lo scherzo, il doppio senso spesso audace (per l’epoca naturalmente) e che andavano dal Cip!... Cip!... Gorgheggio unico dei goliardi milanesi al Ciapà chilü di Pavia, numero unico del Gruppo Universitario Fascista, al Za-bum. Rivista coi capelli alla garçonne, antiletteraria, di tutte le arti e della mondanità .
Soldati semplici e ufficiali, invece, i futuristi se li conquistarono con i primi fascicoli de La Ghirba del 1918, arricchiti dai magnifici disegni di Soffici, dagli schizzi del «soldato Carrà» e «del caporale De Chirico», con piazze d’Italia e porticati che costituiranno il suo leit-motiv. Casalinghe, signore e signorine furono sedotte dal famosissimo Il Travaso che, diffuso in 300mila esemplari, dedicò la copertina al dibattito inaugurato dal manifesto della cucina futurista che sollecitava l’abolizione dell’italianissima pasta.
A Torino nacque il primo ristorante marinettiano, con menu che comprendeva antipasto intuitivo, brodo solare, tuttoriso e a lungo si discusse se si doveva rinunciare per sempre a maccheroni e trenette al pesto. «Entrato nel vissuto quotidiano degli italiani con l’esortazione a un’esistenza accelerata, dinamica, moderna, con l’attenzione per l’arredo, l’abbigliamento, l’alimentazione, il futurismo è stato censurato e rimosso per anni per il suo legame con il fascismo», spiega Echaurren. «Ma proprio Gramsci aveva spiegato, al contrario, che Marinetti era un vero progressista.Era un punk antelitteram, il cantore di un’arte fatta da tutti e per tutti». Un punk che sviluppò tutte le sue energie nel campo della comunicazione. «Non c’è dubbio, per questo siamo ancora suoi figli», osserva la Salaris, «Oggi il futurismo è un polo d’attrazione anche a livello internazionale perché ha saputo lanciare un messaggio globale in sintonia con i nostri tempi. La sua notorietà è più viva che mai». Fu quasi una vendetta della storia, dunque, la grande popolarità del gruppo che si era fatto un vanto di aver adottato come principale slogan lo «schiaffo al gusto del pubblico».