Silvia Zanardi, la Stampa 13/11/2012, 13 novembre 2012
MOSE, UNA CORSA CONTRO IL TEMPO PER SALVARE VENEZIA
Se il Mose fosse già in funzione - e questo, come vedremo, sarà possibile solo a partire dal 2016 - l’acqua alta dell’11 novembre si sarebbe ridotta a qualche pozzanghera in Piazza San Marco. Venezia sarebbe rimasta all’asciutto e la nave da crociera che alle nove e trenta del mattino, con il picco di alta marea a 149 centimetri, transitava serena a pochi metri da Palazzo Ducale - mentre alcuni turisti nuotavano in costume davanti alla Basilica - avrebbe atteso in mare l’abbassamento delle dighe mobili. In alternativa, e solo dopo le attente valutazioni dell’armatore, sarebbe entrata in laguna attraversando la conca di navigazione alla bocca di porto di Malamocco con la sola possibilità di ormeggiare a Marghera. Delle tre bocche – i varchi che collegano la laguna con il mare e attraverso i quali si svolge il flusso e riflusso della marea – quella di Malamocco (le altre due sono quelle di Lido e di Chioggia) è infatti l’unica a disporre di una conca per permettere alle grandi navi di raggiungere il porto anche con l’alta marea. Escluso, in ogni caso, il dolente passaggio per Bacino San Marco.
Spiegando per filo e per segno cosa sarebbe accaduto se l’infinito e contestatissimo Mose – l’immensa opera ingegneristica che salverà Venezia e la laguna dalle mareggiate – fosse già in funzione, i tecnici del Consorzio Venezia Nuova (il concessionario che ne segue i lavori e funge da interfaccia con il Ministero delle infrastrutture e il Magistrato alle acque), assicurano che, all’alba della scorsa domenica, i commercianti veneziani avrebbero potuto dormire sonni tranquilli, lasciare a casa gli stivali e non sforzarsi di sollevare da terra scatoloni, mobili e merce per salvarli dalle acque. «Il Mose si sarebbe alzato alle 4.30 per fermare la marea, alle 13.00 sarebbe stato riaperto e tutto sarebbe tornato come prima – spiegano dal Consorzio – La città sarebbe dunque rimasta all’asciutto, protetta dall’ennesima acqua alta che, puntualmente, ricorda l’urgenza e la necessità di portare quest’opera a compimento».
Sulle piattaforme, gli operai lavorano incessantemente per ultimare l’opera, il cui cantiere si è aperto nel 2003. Dopo le polemiche sulla sua utilità, sui costi (in tutto 5,5 milioni di euro) e dopo i ritardi causati dalla burocrazia e dalla crisi, solo eventuali problemi di finanziamento potrebbero fare slittare l’inaugurazione. Ma al Consorzio assicurano che non sarà così: nel 2013 arriveranno 50 milioni di euro, e nei tre anni successivi il miliardo necessario per consegnare l’opera.
Il Mose, secondo i tecnici, è in grado di respingere l’avanzare violento della marea anche in caso di previsioni sbagliate. Basta prendere come esempio proprio l’11 novembre: inizialmente era stata annunciata una marea di 120 centimetri ma poco dopo, toccati i 149 centimetri con forti raffiche di scirocco, si è trasformata in un evento dalla portata eccezionale. E il tutto a pochi giorni da un’altra giornata bagnata per Venezia: quella del 1° novembre scorso, quando la marea ha sommerso la città arrivando a quota 143 centimetri. «Il funzionamento del Mose – spiegano i tecnici – non dipende solo dalla previsione dei colmi di marea ma dalla misurazione in tempo reale dell’innalzamento del livello delle acque di fronte alla bocca di porto di Lido. È un sistema flessibile che può prevedere la chiusura, in base alle necessità, anche di una sola bocca».
Il Mose è programmato per fronteggiare eventi di alta marea che, da previsioni, superano i 110 centimetri sul medio mare e arrivano a un massimo di tre metri. Ma una volta scattata l’allerta, la manovra di chiusura viene gestita in base all’evoluzione del livello marino. «Le paratoie mobili – spiegano dal Consorzio – scattano molto prima che la marea raggiunga il picco». Nel caso dell’acqua alta di domenica, le dighe mobili si sarebbero dunque alzate all’alba mantenendo, in laguna, un livello di marea non superiore ai 90 centimetri, innocuo per il resto della città.