Filippo Ceccarelli, la Repubblica 13/11/2012, 13 novembre 2012
E SULLO SCHERMO BERLUSCONI DIVENTA LEADER DEL PASSATO
NON ancora ufficialmente uscito di scena, ma già consegnato alla storia delle parole e delle immagini con la potenza della grafica pop e la malinconia di un pianoforte che suona in lontananza. Sintomatico il destino di Silvio Berlusconi sul quale proprio in questi giorni, a un anno esatto dal congedo o cacciata che sia, va in scena al festival del cinema di Roma un docu- film di Giacomo Durzi e Giovanni Fasanella dal titolo: «S. B. io lo conoscevo bene».
Là dove il tempo all’imperfetto, oltre a riecheggiare un triste film del 1965, indica che l’avventura berlusconiana si è ormai a tal punto consumata da costituire essa stessa, con il senno di poi e la drammaticità dell’oggi, una risorsa narrativa e cinematografica.
Sia pure comprensibilmente lontana da quel film che la scorsa primavera il Cavaliere in persona voleva dedicare a se stesso — e si venne a sapere che aveva già scartato quattro registi, tutti giudicati privi della «mano giusta» per rappresentarlo.
Ecco, Durzi e Fasanella fanno parlare solo quei tanti che in questi anni hanno creduto in Berlusconi e/o che in qualche modo erano entrati nella sua sfera d’influenza,
amicale politica ed anche economica, nel senso che alcuni di loro lo hanno anche avuto come generosissimo cliente, datore di lavoro e finanziatore. E quindi, convenientemente invecchiato, l’avvocato Dotti, l’ex sindaco Paolo Pillitteri con occhiali sulla testa, Giuliano Ferrara in maglione, Paolo Guzzanti che fa anche un paio di azzeccatissime imitazioni, e Paolo Cirino Pomicino molto lucido, Gabriella
Carlucci a braccia incrociate, l’onorevole psichiatra Meluzzi trasognato, l’ex pm e poi parlamentare di Forza Italia Tiziana Parenti piuttosto in forma, e altri tra cui anche il responsabile di Gladio Francesco Gironda, pure lui seriamente deluso.
Pregevole si diceva l’animazione tipo Roy Lichtenstein a cura di Giacomo Nanni; forse un po’ troppo lugubri le immagini di una maschera del Cavaliere che
si aggira di notte; poco viste e quindi divertenti le ricerche d’archivio di Luca Martera che restituiscono un giovane Berlusconi faccia da schiaffi, capellone con riporto formato esportazione in Francia, ai tempi de La Cinq.
L’uomo, comunque, dell’Impossibile. Curioso è notare come ciascuno ricordi soddisfatto di aver sconsigliato Berlusconi: di scendere in campo o battezzare il suo partito con quel nome. Eppure
lui andava dritto per la sua strada, e quei personaggi anche smaliziati a lungo l’hanno seguito, «credevamo», dicono oggi, «ci aspettavamo la rivoluzione liberale ».
Meluzzi racconta i provini per futuri onorevoli che si tennero nei sotterranei di Arcore, dove poi ebbero luogo i rovinosi sollazzi del bunga bunga. Pomicino, che è anche un medico, appare molto convincente nel negare che fossero tali saldando la vitalità ferita dalla malattia che si fa ossessione. Sul crollo dell’impero berlusconiano, di cui non si è visto che un pallido preludio, il film si arresta. Ma non perché «realizzato con il sostegno della Regione Lazio», che è una sorpresa — e con l’aria che tirava da quelle parti nemmeno delle peggiori.