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 2012  novembre 13 Martedì calendario

Notizie tratte da: Francesco Bogliari (a cura di), Chi comanda è solo: Sergio Marchionne in parole sue, Rizzoli Etas 2012, pp

Notizie tratte da: Francesco Bogliari (a cura di), Chi comanda è solo: Sergio Marchionne in parole sue, Rizzoli Etas 2012, pp. 220, 16 euro.

CANADESE «Questa è la cosa che mi fa incazzare di più. “Manager canadese”, è l’ultima di tutta una serie che arriva a dipingermi come anti-italiano, pur di minare la mia identità di manager. Io ho il passaporto italiano, esattamente come lei» (a Ezio Mauro, la Repubblica, 18 gennaio 2011).

NERO È seduto davanti a un portacenere, gioca con l’accendino e porta il solito maglione blu.
«Nero. Io posseggo solo maglioni neri. Ma siete tutti daltonici? Nero con una rifinitura speciale di cui nessuno si è ancora accorto» (a Massimo Gramellini, La Stampa, 4 luglio 2007).

MAGLIONE «Io sono così. Il tizio con il maglione. Almeno non mi confondo la mattina nell’armadio. I miei maglioni hanno un piccolo tricolore sulla manica. E lo porto con orgoglio, io» (a Massimo Gramellini, La Stampa, 4 luglio 2007).

PARTITA «Quello che ho imparato da tutte le esperienze di amministratore delegato negli ultimi dieci anni è che la cultura aziendale non è solo un elemento della partita, ma è la partita stessa. Le organizzazioni, in sintesi, non sono null’altro che l’insieme della volontà collettiva e delle aspirazioni delle persone coinvolte» (assemblea dell’Unione Industriale di Torino, 12 giugno 2006).

PRIVILEGIO «Il diritto a guidare l’azienda è un privilegio e come tale è concesso soltanto a coloro che hanno dimostrato o dimostrano il potenziale a essere leader e che producono risultati concreti di prestazioni di business» (Gruppo dirigenti Fiat, discorso di fine anno, Torino, 12 dicembre 2006).

SOLITUDINE «La scissione del Gruppo e la creazione di due entità distinte, Fiat e Fiat Industrial, è efficace dal 1 gennaio di quest’anno. Anche questa scelta ha a che fare con il dovere che abbiamo di stare al passo con i tempi e di valorizzare la nostra azienda. La sfida è molto più grande e molto più complessa e richiede una soluzione strategica. Nell’ultima conference call con gli analisti, in occasione della presentazione dei risultati 2010, abbiamo scelto un titolo che credo riassuma molto bene il senso di questa operazione: “La fine di 111 anni di solitudine”» (audizione alla commissione Attività produttive della Camera, Roma, 15 febbraio 2011).

LEGAMI «Ho letto in questi anni molti libri sul legame tra la Fiat e l’Italia. La tesi generale è che se la Fiat va bene, l’economia italiana tira, aumentano le esportazioni, aumenta il reddito, crescono i posti di lavoro. Insomma, ciò che è bene per la Fiat è bene anche per l’Italia. Credo sia vero, perlomeno in parte, e comunque ci impegneremo perché ciò accada. Ma credo sia ancora più vero il contrario: ciò che è bene per l’Italia è bene per la Fiat» (conferimento laurea ad honorem in Ingegneria gestionale, Politecnico di Torino, 27 maggio 2008).

INFERNO «Come diceva Bruce Springsteen, siamo solo a un miglio dall’inferno. In passato, noi costruttori abbiamo ampiamente dimostrato, in tutte le parti del mondo, come gestire questo business nel modo sbagliato. Abbiamo tentato tutti i trucchi possibili. Abbiamo venduto alle banche i servizi finanziari e poi li abbiamo ricomprati. Abbiamo affidato attività a terzi e poi le abbiamo riportate a casa. Abbiamo accumulato perdite e distrutto valore. La nostra industria si è avventurata in acquisizioni, fusioni e incursioni in altri settori. Ha consolidato il marchio, consolidato le società e consolidato i consolidamenti» (Assemblea generale Anfia, Roma, 25 ottobre 2011).

SANGUE «L’industria automobilistica europea è in una crisi che non ha precedenti e la politica di sconti aggressivi messa in atto da Volkswagen è un bagno di sangue sui prezzi e sui margini. Non l’ho mai vista così difficile. La Commissione europea dovrebbe coordinare una razionalizzazione del settore in tutte le compagnie. Quelli che davvero non si sono mossi in questo senso sono i francesi e i tedeschi, che non hanno ridotto minimamente la capacità» (all’International Herald Tribune, 26 luglio 2012).

ABRUZZO «L’Abruzzo è la mia terra. Sono nato qui, a Chieti. Qui ho fatto i miei primi otto anni di scuola. E forse, se non fossi emigrato in Canada con la mia famiglia all’età di quattordici anni, avrei frequentato anche questa università. Sono dovuti passare quarant’anni e altre due nazioni – la Francia e la Svizzera – prima che la vita mi riportasse in Italia» (cerimonia di consegna della Minerva, Università degli studi Gabriele D’Annunzio, Chieti, 27 gennaio 2007).

SEMPLIFICARE «In Europa nel 1964 il mercato contava 58 marchi. Oggi ne sono rimasti 22. Eppure, le operazioni di unione tra più marchi non hanno prodotto i benefici attesi. Hanno solo dato vita ad agglomerati più grandi con una catena di brand sempre più lunga. Nel giro di una ventina di anni, nella sola Europa occidentale, siamo passati da un’offerta di 72 modelli diversi a oltre 200, con infinite varianti. Questi numeri sono la testimonianza che non siamo stati in grado di operare una vera semplificazione» (assemblea degli azionisti Fiat, Torino, 27 marzo 2009).

WAL-MART «Considerando gli investimenti necessari allo sviluppo di ogni singola piattaforma, riteniamo che il livello minimo di volumi, per raggiungere una redditività adeguata, sia un milione di vetture a piattaforma per le auto di massa. Per fare questo ogni costruttore deve adottare un approccio alla Wal-Mart nelle fasi di sviluppo e produzione e, allo stesso tempo, deve essere in grado di garantire al cliente, nel front end, un’ampia gamma di prodotti. È l’unica soluzione praticabile, che permette adeguati ritorni senza intaccare la varietà dell’offerta» (assemblea azionisti Fiat, Torino, 27 marzo 2009).

ANTI-ITALIANO «Le accuse di anti-italianità che ho spesso sentito sono semplicemente assurde. Anti-italiano semmai è chi abbandona il Paese, chi decide di non investire. Anti-italiano è chi non vuole prendere atto del mondo che ci circonda e preferisce restare isolato nel proprio passato. Anti-italiano è chi perde tempo a discutere e rinviare i problemi, chi non si assume la responsabilità di cambiare le cose, di guardare avanti e agire» (convegno internazionale Make in Italy, Unione Industriale di Torino, 24 ottobre 2011).

APPLE La Apple è il suo pallino. Come mai preferisce Steve Jobs a Bill Gates?
«È underdog, quello che vede il mondo in maniera diversa e capisce che c’è spazio anche per quelli come lui. Apple è un insieme di valori e di cose eleganti e coerenti. Voglio che la Fiat diventi la Apple dell’auto. E la 500 sarà il nostro iPod»(a Massimo Gramellini, La Stampa, 4 luglio 2007).

SUCCESSO «Nel 2005 la General Motors era la più grande industria automobilistica del mondo, un’azienda che poteva permettersi di pagare due miliardi di dollari per non acquistare il settore auto della Fiat. Quattro anni dopo è fallita, così come è fallita la Chrysler. Questo dice molto su quanto il successo sia temporaneo e fugace» (Alma Graduate School, Bologna, 7 aprile 2011).

BUFFETT «Vi ricordate il consiglio di Warren Buffett: “Quando un management con una buona reputazione incontra un business con una cattiva reputazione, è la reputazione del business che rimane intatta”. In altre parole, quando un bravo manager e un business malmesso si incontrano, vince sempre il business malmesso. Ma come disse Mark Twain: “L’annuncio della mia morte è stato ampiamente esagerato”. E così è stato per la Fiat» (assemblea dell’Unione Industriale di Torino, 12 giugno 2006).

BUSTA PAGA «Leggere una busta paga, oggi, è un esercizio bizantino. L’elenco delle voci, molte delle quali spesso incomprensibili agli stessi lavoratori, è il risultato di accordi, grandi e piccoli, che si sono sovrapposti» (audizione alla commissione Attività produttive della Camera, Roma, 15 febbraio 2011).

TOPOLINO Ricorda la prima volta in cui entrò al Lingotto da amministratore delegato?
«Nella pancia della balena. Sentivo puzza di morte. Morte industriale, intendo. Un’organizzazione sfinita, pronta ad appigliarsi a qualsiasi chiodo, anche a questa specie di Topolino che arrivava dalla Svizzera, chissà che fumetti avrebbe portato» (a Massimo Gramellini, La Stampa, 4 luglio 2007).

MIRAFIORI/1 «Per un mese sono andato ogni domenica a Mirafiori. Era come una casa dimenticata dalla sua famiglia, i costumi da bagno sbattuti assieme agli scarponi da sci, i libri in terra, il cibo con la muffa nel frigorifero. Siamo riusciti a ricreare una cultura della produzione che Fiat aveva perduto, a smentire chi diceva che le nostre auto era più facile comprarle che farle» (a Dario Cresto-Dina, la Repubblica, 15 ottobre 2007).

MIRAFIORI/2 «Mi ricordo i primi 60 giorni dopo che ero arrivato qui, nel 2004: giravo tutti gli stabilimenti e poi, quando tornavo a Torino, il sabato e la domenica andavo a Mirafiori, senza nessuno, per vedere quel che volevo io, le docce, gli spogliatoi, la mensa, i cessi. Cose obbrobriose, stia a sentirmi. Ho cambiato tutto: come faccio a chiedere un prodotto di qualità agli operai e farli vivere in uno stabilimento così degradato» (a Ezio Mauro, la Repubblica, 18 gennaio 2011).

CAOS «Ho cercato di organizzare il caos. Ho visitato la baracca, le fabbriche. Ho scelto un gruppo di leader e ho cercato di ribaltare gli obiettivi per il 2007. Allora non pensavo di poter arrivare al livello dei migliori concorrenti, mi sarei accontentato della metà classifica. Nessuno ci credeva, pensavano che avessi fumato qualcosa di strano» (a Dario Cresto-Dina, la Repubblica 15 ottobre 2007).

CLASSE Un consiglio ai politici?
«Li ho visti coinvolti in certe risse… Ci vuole classe. Quando un politico si alza a parlare, deve farlo con competenza e credibilità. Il carisma non è tutto. Come la bellezza nelle donne: alla lunga non basta» (a Massimo Gramellini, La Stampa, 4 luglio 2007).

COMPROMESSI «Storicamente, in Italia, per accontentare tutti, abbiamo sempre accettato compromessi e mediazioni, e abbiamo esaltato forme di attività corporative che hanno minimizzato il cambiamento. È questo atteggiamento che ha frenato l’Italia nel diventare un Paese competitivo. È questo atteggiamento che rende gli investimenti stranieri in Italia scarsi e rari. È questo atteggiamento che, perlomeno in parte, continua a tenere l’Italia in posizione difensiva e imbarazzata verso il resto dell’Europa» (convegno internazionale Make in Italy, Unione Industriale di Torino, 24 ottobre 2011).

CONFINDUSTRIA «Abbiamo deciso di uscire da Confindustria per ottenere la necessaria libertà contrattuale di trattare direttamente con i sindacati e concordare insieme una serie di condizioni che ci permettano di ricomporre la capacità di competere dell’industria dell’auto italiana» (assemblea degli azionisti Fiat, Torino, 4 aprile 2012).

CALMO «Quando uno si alza, il contegno è molto importante. Bisogna alzarsi dal tavolo facendo valere il punto, ma lasciando capire che alla fine ti risiederai. Ti devi alzare calmo, anche se sei incavolato» (a Marcello Sorgi, La Stampa. Intervista citata in Marchionne, la Fiat e gli altri di Riccardo e Maria Ludovica Varvelli, 2009).

ROTTURA «Perché avrei dovuto volere la rottura? Quel che volevo rompere era questo sistema ingessato, dove tutti sanno che noi imprese italiane siamo fuori dalla competitività: non possiamo farcela, eppure tutti fanno finta di niente. Ho tirato avanti per quasi sette anni, poi una notte, ad aprile, mi sono detto basta. Io metto sul piatto 20 miliardi, accetto la sfida, ma voglio che quei soldi servano» (e Ezio Mauro, la Repubblica, 18 gennaio 2011).

ITALIA «Senza l’Italia Fiat farebbe meglio, ma il Lingotto nel Bel Paese ci vuole stare ed è disposto a monetizzare con aumenti salariali l’incremento di efficienza nelle fabbriche, ritenuto come l’anello debole del sistema» (a Fabio Fazio, Che tempo che fa, 25 ottobre 2010).

PANDA/1 «Decidere di portare nuova Panda a Pomigliano non è stata una scelta basata su principi economici e razionali. Non era – e non è – la soluzione ottimale da un punto di vista puramente industriale. Lo abbiamo fatto considerando la storia della Fiat in Italia, quello che da sempre rappresenta e il rapporto privilegiato che ha con il Paese. Lo abbiamo fatto perché, nel limite del possibile, riteniamo sia nostro dovere privilegiare il Paese in cui Fiat ha le proprie radici» (Pomigliano d’Arco, 14 dicembre 2011).

PANDA/2 «Portare la Panda a Pomigliano ci costa centinaia e centinaia di milioni di euro in più che lasciare le cose come stanno e confermare la futura produzione in Polonia» (assemblea degli azionisti Fiat, 26 marzo 2010).

CRISI «La crisi è iniziata ben prima dei problemi legati al debito degli Stati sovrani. Nel 2012, per il quinto anno consecutivo, la domanda di autovetture farà di nuovo registrare un segno meno. I volumi in Italia sono precipitati a livelli che non si vedevano da decenni. Il mese di marzo, addirittura è stato il peggiore dal 1980. Nell’immediato futuro, le prospettive non sono destinate a migliorare. Restare legati a quel modello di business, del tutto sbilanciato verso un mercato in difficoltà, non ci avrebbe portati molto lontano. Per questo, già alla fine del 2008, abbiamo fatto una scelta chiara, quella di allentare il focus dell’Europa e di concentrarci sul Nord America e sull’America Latina. Era l’unica in grado di preservare il futuro della Fiat» (assemblea degli azionisti Fiat, Torino, 4 aprile 2012).

MERCATO «Quello che il mercato ha dimostrato, in questa come in altre occasioni, è che agisce alla sua maniera, brutalmente, facendo pagare il conto alle forme degenerate di capitalismo» (consiglio direttivo di Confindustria, Milano, 15 ottobre 2008).

CLIENTE «La prima linea guida è una specie di ossessione, quella per il cliente. È un elemento che in qualche modo era stato perso in Fiat, come si era perso il senso della competizione. Oggi il cliente è tornato al centro della nostra strategia di business. Ce l’abbiamo in testa in ogni momento della nostra vita in azienda» (Amma – Assemblea generale degli associati, Torino, 28 maggio 2007).

VOTI «Dei miei collaboratori faccio valutazioni continue, ogni giorno do loro i voti. Oggi è otto, domani magari cinque. Ho promosso ragazzi che erano qui da tempo ma che erano soffocati dai loro capi, e non credo assolutamente alla regola che più sono giovani più sono bravi» (a Dario Cresto-Dina, la Repubblica, 15 ottobre 2007).

NIETZSCHE «Quando studiavo filosofia all’università sono rimasto colpito da quella frase da La Gaia Scienza di Nietzsche: Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un dèmone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: “Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente grande e piccola cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione – e così pure questo chiaro di luna tra gli alberi, e anche questo momento e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello di polvere!”» (Amma – Assemblea generale degli associati, Torino, 28 maggio 2007).

DOMANDE «Quando abbiamo preso le redini dell’azienda, la Fiat stava attraversando la peggiore crisi della sua storia. All’inizio ci siamo posti due domande. La prima era se il prodotto e il mercato avevano un futuro. La risposta fu chiaramente sì. La seconda domanda era se avevamo il minimo di risorse umane per competere. Abbiamo trascorso un periodo iniziale di valutazione del management e abbiamo determinato in maniera relativamente veloce che avevamo nell’organizzazione le competenze e i valori idonei per apportare la necessaria trasformazione culturale nel Gruppo. E molti non ce l’hanno fatta» (assemblea dell’Unione Industriale di Torino, 12 giugno 2006).

VERITA’ «Due verità fondamentali governano la nostra industria. La prima è che si tratta di un settore ad alto impiego di capitale. Sviluppare una nuova vettura significa fare una scommessa da quasi un miliardo di euro. Questo vuol dire che non ci è permesso fallire. La seconda verità è che questo business è molto sensibile alla leva operativa. C’è un punto in cui si inizia a perdere denaro, e si tratta di perdite copiose. È molto facile fare ampi profitti quando la leva operativa è alta. È relativamente facile perdere grandi quantità di denaro se il break-even si trova al punto sbagliato della curva» (assemblea generale Anfia, Roma, 25 ottobre 2011).

DOLLARO «Non si investirà un dollaro di troppo in business non redditizi» (Austin, Texas, 17 giugno 2012).

AGNELLI «Io non ho mai conosciuto l’Avvocato ma mi sono letto per bene la storia della Fiat. E le dico che se c’è un momento in cui la famiglia fa le cose giuste è proprio questo» (a Ezio Mauro, la Repubblica, 18 gennaio 2011).

AVVOCATO «Lo trovavo una persona affascinante. Mi interessava soprattutto il suo contorno, ciò che riusciva a muovere con una parola, un gesto» (a proposito di Gianni Agnelli a Dario Cresto-Dina, la Repubblica 15 ottobre 2007).

FILOSOFIA «Quando ho iniziato l’università, in Canada, ho scelto filosofia. L’ho fatto semplicemente perché sentivo che, in quel momento, era una cosa importante per me. Poi ho continuato studiando tutt’altro e ho fatto prima il commercialista, poi l’avvocato. E ho seguito tante altre strade, passando per la finanza, prima di arrivare a occuparmi di imballaggi, poi di alluminio, di chimica, di biotecnologia, di servizi e oggi di automobili. Non so se la filosofia mi abbia reso un avvocato migliore o mi renda un amministratore delegato migliore. Ma mi ha aperto gli occhi, ha aperto la mia mente ad altro» (Alma Graduate School, Bologna, 7 aprile 2011).

CATTEDRA «Se anche mi hanno messo in cattedra, io non sono un professore e non ho ricette accademiche da darvi oggi. Faccio un altro mestiere, lontano dalle aule. Mi occupo di industria» (Alma Graduate School, Bologna, 7 aprile 2011).

SINDACATO «Abbiamo incontrato circa mille persone – tra grandi e medi gestori di capitali e analisti finanziari delle principali banche di investimento mondiali – che significano trilioni di dollari di capitale disponibile, per cui la Fiat è in concorrenza con altre imprese globali. La cose più difficile che ho dovuto fare durante tutti quegli incontri è stato spiegare la complessità delle relazioni sindacali in Italia e l’atteggiamento ostativo di una parte minoritaria del sindacato nel creare le condizioni per lo sviluppo del Paese» (Gruppo dirigente Fiat, discorso di fine anno, Torino, 21 dicembre 2010).

FIOM/1 «La posizione della Fiom è sempre stata preconcetta, anacronistica, alimentata da un antagonismo a priori, e più preoccupata di tutelare il proprio potere che gli interessi collettivi. È sempre stata molto più politica che sindacale» (convegno internazionale Make in Italy, Unione Industriale di Torino, 24 ottobre 2011).

FIOM/2 «La realtà è che un sindacato al quale è iscritto circa il 12 per cento dei nostri lavoratori, poco più di uno su dieci, continua a rifiutarsi di accettare la volontà della maggioranza e ad attaccare in maniera indiscriminata la Fiat, il suo operato e i suoi prodotti. Non esistono paralleli nel mondo Fiat al di fuori dell’Italia» (convegno internazionale Make in Italy, Unione Industriale di Torino, 24 ottobre 2011).

LICENZIARE «Non è licenziando che si diventa più efficienti. Non è il costo del lavoro di per sé che fa la differenza tra un’azienda competitiva r una relegata ai margini del mercato» (convegno internazionale Make in Italy, Unione Industriale di Torino, 24 ottobre 2011).

RAPPRESENTANZA «Un conto è parlarne da fuori, politicamente, un conto è parlarne in fabbrica. La rappresentanza, oggi, un lavoratore su due sceglie di non averla non iscrivendosi ad alcun sindacato» (a Ezio Mauro, la Repubblica, 18 gennaio 2011).

GHIGLIOTTINA «Modelli sbagliati, colori sbagliati, rete di vendita sbagliata, investimenti sbagliati, pubblicità sbagliata, marchi sbagliati, azionisti di riferimento sbagliati, forse anche i leader sbagliati… Nulla di quello che avevamo fatto, facevamo o pianificavamo di fare era corretto. L’Economist, la ghigliottina editoriale inglese, si è fatto in quattro per sentenziare la Fiat: “the last chance saloon” (la taverna dell’ultima opportunità), “a basket case” (un caso irreparabile), “running on empty” (i soldi sono finiti), “the party’s over” (la festa è finita)» (assemblea dell’Unione Industriale di Torino, 12 giugno 2006).

GIORNALI «Mi sveglio di solito alle cinque del mattino e per un paio d’ore leggo i giornali. Prima il Financial Times e il Wall Street Journal, poi quelli italiani: Repubblica, Corriere, Il Sole, La Stampa. I quotidiani italiani hanno articoli bellissimi, straordinari pezzi culturali, ma resto sempre perplesso sulle troppe pagine dedicate alla politica, soprattutto a un certo tipo di politica» (a Dario Cresto-Dina, la Repubblica, 15 ottobre 2007).

PAROLE «La lingua italiana è troppo complessa e lenta: per un concetto che in inglese si spiega in due parole, in italiano ne occorrono almeno sei» (intervista a Mario Calabresi, la Stampa, citato in Marchionne, la Fiat e gli altri di Riccardo e Ludovica Varvelli, 2009).

RAGAZZE «Sono cresciuto parlando un inglese con marcatissimo accento italiano. Ci ho messo più di sei mesi a perderlo, ma sono stati sei mesi persi con le ragazze» (intervista a Mario Calabresi, la Stampa, citato in Marchionne, la Fiat e gli altri di Riccardo e Ludovica Varvelli, 2009).

IDROGENO «Per tanti anni l’idrogeno ci è stato presentato come il rimedio per tutti i mali dell’ambiente. Per molto tempo il nostro settore è stato accusato di non compiere sforzi a sufficienza nello sviluppo di questa trazione alternativa. Può anche darsi che in un futuro viaggeremo a idrogeno. Ma fino a quando non troveremo una soluzione sostenibile allo stoccaggio, l’idrogeno resterà una pura illusione. […] Adesso che l’idrogeno è passato di moda, è la volta dell’elettrico» (assemblea generale Anfia, Roma, 27 settembre 2010).

METODO «Se ho un metodo è un metodo che si ispira a una flessibilità bestiale con una sola caratteristica destinata alla concorrenza: essere disegnato per rispondere alle esigenze del mercato. Se viene meno a questa regola è un metodo che non vale un tubo» (a Dario Cresto-Dina, la Repubblica, 15 ottobre 2007).

MILITARE «Sono figlio di un militare. Mio padre era un maresciallo dei Carabinieri. Ma non è solo per questo che sento l’Accademia così vicina a me. Quando avevo quattordici anni pensavo di andare alla Nunziatella di Napoli e poi qui, a Modena» (conferimento del titolo Cadetto ad honorem, Accademia militare di Modena, 26 luglio 2007).

TAVOLO «Io pago il prezzo di tutti quelli che hanno mangiato al tavolo prima di me» (Salone dell’auto di Detroit, gennaio 2010).

UTILI «Quanto alla partecipazione dei lavoratori agli utili, sì, e le dico che ci arriveremo. Voglio arrivarci. Ma prima di parteciparli, gli utili dobbiamo farli» (a Ezio Mauro, la Repubblica, 18 gennaio 2011).

TUNNEL «Ho paura che la luce alla fine del tunnel sia quella di un treno. La luce in fondo al tunnel si vedrà quando i problemi dell’Unione europea verranno risolti in maniera collettiva e non per singoli Paesi» (a Kragujevac, in Serbia, durante la visita allo stabilimento che produce la 500 L, 4 settembre 2012).

FUTURO «Incontro politici soltanto per lavoro, non frequento salotti torinesi, milanesi, romani. Non sono megalomane. Con tutta sincerità, non riesco neppure a vedere un mio futuro dopo la Fiat» (a Dario Cresto-Dina, la Repubblica, 15 ottobre 2007).

SOLO «La leadership non è anarchia. In una grande azienda chi comanda è solo. La collective guilt, la responsabilità condivisa, non esiste. Io mi sento molte volte solo» (a Dario Cresto-Dina, la Repubblica 15 ottobre 2007).