Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  novembre 13 Martedì calendario

IL DOPING DILAGA. FOLLIA DI MASSA

Dopo tante parole sul doping in Ita­lia ora arrivano anche i numeri: 371 milioni di dosi (per un costo di cir­ca 425 milioni di euro) assunte da circa 254 mila sportivi, fra i quali 69mila praticanti il body building. Sono le cifre impressionan­ti, relative al 2011, stimate da “Libera” e presentate ieri insieme al nuovo libro di Sandro Donati (“Lo sport del doping. Chi lo subisce, chi lo combatte”) da don Luigi Ciotti, presidente nazionale dell’associazione, e del ge­nerale Cosimo Piccinno, comandante nazionale dei ca­rabinieri del Nas. Ma le cifre ufficiali si fermano ai 105 milioni di dosi se­questrate dal 2000 a oggi, circa 8 milioni l’anno. Una porzione molto modesta dei far­maci realmente utilizzati che si ba­sa sui risultati dei controlli antido­ping, sulle 100 inchieste giudiziarie e sui sequestri di sostanze dopan­ti, effettuati dai carabinieri del Nas e dalle altre Forze di Polizia.
«Si tratta certamente di una sotto­stima – spiega una nota di Libera – determinata dal fatto che l’assun­zione di molti farmaci non è rile­vabile nei controlli anti-doping per cui sfugge a qualsiasi valutazione. E questi casi sono molto più diffusi tra gli atleti di elevato livello che, però, per una serie di ragio­ni, non traspare dai risultati dei controlli».
È significativo il fatto che a fronte del 4,5% di casi posi­tivi rilevati nello sport amatoriale dai controlli della Com­missione anti-doping del ministero della Salute, la per­centuale dei casi positivi nei controlli attuati dal Coni sugli atleti di alto livello si attesta intorno allo 0,70%. Senza considerare, sottolinea ancora Libera, «che il Co­ni ha smesso nel 2007 di pubblicare sul suo sito i risul­tati dei propri controlli». Le ragioni della “debolezza” di tali controlli sugli atleti di alto livello sono diverse: «La coincidenza controllori-controllati che rappresenta un freno estremamente rilevante; la pressoché totale as­senza di controlli a sorpresa, molto più efficaci di quel­li programmati nelle gare e quindi prevedibili; la debo­lezza delle analisi anti-doping che nelle urine non rie­scono a rintracciare numerose sostanze; l’evidente “bu­co nero” dei controlli nel calcio e, più in generale, sui pro­fessionisti (delle diverse discipline) di elevata valenza economica».
Accuse pesanti rafforzate da Donati che nel libro parla anche di «alterazione dei risultati delle maggiori com­petizioni, favorito da dirigenti che guardano solo al nu­mero delle vittorie e da una parte della stampa sporti­va che preferisce non vedere e non sentire. Pochi san­no, invece, che tutto questo ha fatto scuola e che molti praticanti di livello amatoriale affollano gli ambulatori dei medici dei campioni per farsi prescrivere la “cura” miracolosa che può consentire lo­ro di battere in gara il collega di uf­ficio ». Inoltre, in Italia non si è riu­sciti a «spezzare la contraddizione tra controllori e controllati, e sono pressoché assenti i controlli a sor­presa: la Wada dovrebbe diventare pubblica e indipendente come tut­te le altre agenzie antidoping, com­presa quella italiana che, invece, è di casa al Foro Italico».
Il doping è diventato, dunque, un fenomeno «con mol­ti punti di contatto con la droga e sta generando traffi­ci internazionali manovrati dietro le quinte dalle mul­tinazionali farmaceutiche e con gli interessi della cri­minalità organizzata». Indicativo anche il fatto che dal 2006 al 2009 siano state condannate 683 persone: 253 per accuse generiche di doping e 430 per commercio il­legale in sostanze dopanti. Inevitabile l’amarezza nelle parole di don Luigi Ciotti: «Ti accorgi che dietro molte belle storie di vittorie c’è in­vece l’umiliazione dello sport. Specchio di un coma e­tico e di deriva della società in cui domina la cultura del­la prestazione e del successo».