Nanni Delbecchi, il Fatto Quotidiano 11/11/2012, 11 novembre 2012
BENVENUTO NELLA COMPAGNIA DEI PREFERIREI DI NO
Nemesi. È difficile resistere alla tentazione di mettere in relazione il titolo dell’ultimo libro di Roth con la decisione di appendere la penna al chiodo. In un’epoca in cui scrivono tutti, ma proprio tutti, e un romanzo non si nega a nessuno, c’è almeno una categoria che dovrebbe sentirsi in dovere di smettere, quella degli scrittori. Nemesi, o se vogliamo, contrappasso storico. In realtà, come lo stesso Roth ha detto, “Non c’è nulla di strano”. La tentazione di smettere accompagna da sempre i veri scrittori e almeno da questo punto di vista l’ottantenne Roth è un dilettante. Incredibile a dirsi, si può anche scegliere di tacere, ma, certo, bisogna saperlo fare, perché il silenzio è più esigente della parola. I nomi più illustri li ha riuniti Enrique Vila-Matas nel suo Bartleby e compagnia (Feltrinelli). Ammirevoli professionisti dell’assenza che sull’esempio dello scrivano di Melville “hanno preferito di no”, facendo di quel no il loro capolavoro. Basta pensare ai quasi invisibili microgrammi di Robert Walser (che ai medici del sanatorio di Herisau obiettò dolcemente “Io non sono qui per curarmi, sono qui per impazzire”), oppure alla partenza per Aden di Rimbaud (“Scrivere? Non penso più a questo”). Ma impazzire non è da tutti; si può sempre ripiegare sulla vaporizzazione (vedi Salinger) o sulla spiegazione che non ammette replica. La più geniale, riferisce Vila-Matas, resta quella del messicano Juan Rulfo: “È che è morto lo zio Celerino, quello che mi raccontava le storie”.