Roberto Faenza, il Fatto Quotidiano 11/11/2012, 11 novembre 2012
PETRAEUS, FBI CONTRO CIA: BENGASI PIÙ CHE ADULTERIO
Se date uno sguardo alla stampa americana di queste ore, troverete che ben pochi credono alla versione del tradimento coniugale per le dimissioni del capo della Cia, il generale David Petraeus, mitico stratega della guerra in Iraq e in Afghanistan. Nominato da Bush ed ereditato da Obama, l’uomo si è venduto alla grande, dichiarando al mondo di aver vinto in entrambe le occasioni. Però lo stato di guerra permanente non sembra trovare conferma. Quanto allo scandalo appena deflagrato, è probabile che vi siano altre spiegazioni, le quali per ragioni di opportunità vengono, almeno al momento, minimizzate. Tra queste, sicuramente il coinvolgimento della Cia nella morte dell’ambasciatore americano in Libia, Chris Stevens. Mentre all’indomani dell’assassinio di Bengasi si era parlato di una rappresaglia diplomatica, si è poi scoperto che la delegazione con a capo Stevens avrebbe dovuto essere sotto tutela della stessa Cia. Di qui, l’accusa all’agenzia di non aver saputo difendere adeguatamente il personale americano.
Come se non bastasse, in questo guazzabuglio di pseudoverità si è messo di mezzo anche l’Fbi. Come è noto, il Federal Bureau of Investigation è da sempre parente serpente della Central Intelligence Agency. A rigori di statuto, la Cia dovrebbe operare solo fuori dai confini Usa. Mentre l’Fbi solo all’interno del territorio americano. Nei fatti i due “rivali” operano dove i loro capi ritengono più opportuno intervenire.
Più di una volta hanno evidenziato di fregarsene del mandato per cui sono stati istituiti. Prova ne è, per esempio, che proprio in queste ore l’Fbi sta indagando sull’operato della Cia in Libia, dove i punti oscuri in relazione alla morte dell’ambasciatore sono ancora tutti sul tavolo. E non è tutto. L’Fbi stesso stava indagando sulla sicurezza del sistema informatico del generale Petraeus e ha scoperto – dopo la denuncia di un’altra donna che sarebbe stata minacciata proprio dall’amante del militare –, già alcuni mesi fa, la sua relazione extraconiugale con Paula Broadwell, autrice di una biografia autorizzata dallo stesso generale, dal titolo All In: The Education of General David Petraeus. Suggerisco di sostituire la parola education nelle future edizioni, visto cos’è poi successo.
LA FOTOGRAFIA della Broadwell rivela un profilo determinato e non poco aggressivo. Tipica donna in carriera, laureata a West Point, dove aveva studiato anche Petraeus. Secondo l’Fbi, la Broadwell avrebbe tentato di accedere alle mail personali dell’amante, mettendo a rischio la stessa sicurezza nazionale. Lo scandalo era sotto le ceneri già da alcune settimane, ma Petraeus (o la Casa Bianca?) ha atteso la vittoria di Obama per annunciare le dimissioni. Sottinteso che il presidente sapeva. Ecco perché non ha aspettato un minuto ad accettare la dolorosa decisione del capo della Cia. Sapeva anche il contendente di Obama, Mitt Romney? Dubito che se avesse saputo non avrebbe sparato la notizia, mettendo certamente in crisi il presidente, accusandolo di non essere capace di vigilare sulla sicurezza del Paese.
UN FATTO di tale portata avrebbe persino potuto fargli perdere le elezioni. Questa storia di donne in carriera, eroi di guerra, tradimenti, computer del direttore della Cia craccati dagli uomini dell’Fbi… è talmente spettacolare che mi attendo presto un film alla Robert Redford. Ci sono dentro tutti gli elementi del grande spettacolo che ha sempre portato un fiume di dollari a Hollywood . C’è la moglie fedele che la sera attende invano il ritorno a casa del marito infedele. Marito che non è un uomo qualunque, bensì il capo dei servizi segreti della potenza più militarizzata del mondo. C’è la scrittrice di grido che mentre stende la biografia del supergenerale lo trascina sotto le lenzuola. C’è il tentativo, se l’Fbi riuscirà a dimostrarlo, di craccare il suo computer per accedere a informazioni top secret, che forse neppure il presidente conosce. Tra queste, probabilmente anche la vera storia dell’uccisione di Bin Laden, la cui versione ufficiale comincia a fare acqua. Il guaio per Obama è che questa vicenda rischia di diventare un nuovo Watergate, forse pure peggio. C’è già chi sparge veleno e insinua che l’amante scrittrice possa aver trafugato segreti di Stato e magari averli venduti alla Cina o a qualche altra potenza.
Lo spettacolo comunque è garantito. E siamo solo all’inizio. Perché la guerra in atto tra l’agenzia e il bureau è di tale portata da mettere in sordina persino le battaglie di Star Wars. Quando anni fa insegnavo a Washington, ho scritto un volume, Il Malaffare, subito ritirato dalle librerie dalla Mondadori per le pressioni di uomini politici italiani al soldo della Cia. Il libro, basato per lo più su una documentazione inedita e top secret, ottenuta grazie a una legge americana superdemocratica, il Freedom of Information Act, getta uno squarcio sulla struttura operativa dei servizi segreti made in Usa. In particolare sulle sue malefatte in giro per il mondo.
A LEGGERE tra quelle carte c’è da sobbalzare, non solo per l’attitudine a reclutare il peggio del genere umano, ma anche per una certa propensione a far delle figuracce al limite del surreale. Come quando la Cia cercò di eliminare Fidel Castro, progettando un sigaro speciale che una volta acceso avrebbe dovuto incenerire la barba del leader cubano e subito dopo farlo saltare in aria. Oppure come quando a capo della stazione Cia di Roma venne promosso un agente alcolizzato, che girava per la nostra Capitale armato di pistola con indosso gli stivali da cow boy. Fermato dalla polizia italiana una notte in Via Veneto in stato di confusione e ubriachezza molesta, voleva sparare ai lampioni. Per fortuna l’hanno poi ricoverato.