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 2012  novembre 12 Lunedì calendario

ECCO A VOI LA COLLEZIONE SEGRETA

E’un tesoro sommerso, opere d’arte che non vedrete mai, conservate nelle segrete stanze dei musei italiani. Migliaia e migliaia di tele, quadri, arazzi, reperti archeologici, custoditi gelosamente nei depositi dei musei, al riparo da occhi indiscreti.
Cosa ci sia là sotto lo sanno soltanto i direttori dei musei anche perché in Italia, come denunciato dalla Corte dei conti “non esiste una catalogazione definitiva, specie per i reperti archeologici”. Così come non esiste, per i grandi musei statali, una stima del valore delle opere possedute. Ogni tentativo di valutazione commerciale si è attirato sempre le ire della comunità di studiosi e degli storici e comunque non è mai stato realizzato. Dal punto di vista quantitativo, però, a quello che è esposto corrisponde spesso un uguale numero di opere conservate nei depositi. Un doppio museo, quindi. Negli Uffizi, ad esempio, in quelle che il direttore Antonio Natali preferisce chiamare “le stanze della riserva” sono conservati oltre 2000 dipinti con circa 1800 autoritratti.
Il viaggio nelle sale immaginarie
Alla Galleria nazionale di Arte antica di Roma i dipinti esposti sono 500, quelli in riserva 400. Se ci fossero più spazi, più risorse, una politica culturale più attenta, il tesoro potrebbe venire alla luce. Come nel nostro gioco del museo immaginario. Nella prima sala abbiamo collocato la Sacra Famiglia con Giovannino di Beccafumi, opera del 1520 attualmente collocata nei depositi degli Uffizi in attesa del restauro delle sale. Poi potremmo osservare un Mannozzi del 600 e il Trittico d’Agnolo Gaddi. Poco più in là si potrebbe contemplare Alessandro Pieroni (1550-1607) fino ad arrivare al ritratto del Granduca Cosimo I di Ridolfo del Ghirlandaio.
Il nostro museo immaginario, in realtà, in parte esiste e lo organizza lo stesso Natali nel progetto “La città degli Uffizi” che utilizza opere conservate nei depositi per esporre nei luoghi da cui le opere o gli artisti provengono. E così i capolavori citati sono stati ammirati a Bagno a Ripoli, all’Impruneta, patria del Pieroni mentre il Beccafumi della nostra copertina ha fatto bella mostra a Santo Stefano di Sessanio (l’Aquila) nel gemellaggio con le zone colpite dal terremoto, significativamente chiamato “Condivisione degli affetti”. Non può invece essere più visto I giocatori di carte di Bartolomeo Manfredi, del 1618, distrutto irrimediabilmente dalla bomba mafiosa del 1993. Oggi se ne sta in disparte appoggiato a un muro, oramai inesistente salvo qualche cerotto sulle poche zone di colore: “E’ un pezzo della nostra memoria, non potevamo gettarlo via”.
La Collezione Rezzonico, 1682, composta da Autoritratti, è stata utilizzata nella mostra “I mai visti” organizzata sempre dagli Uffizi. Poi è tornata a riposare in attesa dell’ampliamento del museo fiorentino.
A Roma, invece, grazie allo “sfratto” del Circolo Ufficiali, avvenuto nel 2005, la Galleria Nazionale di Arte Antica ha potuto far venire alla luce un Perugino che fino al 2009 era custodito nei depositi.
Una stanza per i fiamminghi
“Se avessimo altre stanze potremmo però allestire una mostra permanente dei pittori fiamminghi” spiega Anna Lo Bianco direttrice del museo di Palazzo Barberini. Oltre al Perugino, la Galleria ha potuto esporre anche Mattia Preti, Tasserotti o i Caravaggeschi. Eppure, nel caldo confortevole dei depositi, alloggiano ancora grandi opere, come quelle di Paul Brill, pittore fiammingo del 500.
Per valorizzare questo tesoro,però, non ci si può affidare solo alla buona volontà dei direttori che, come Natali agli Uffizi, guadagnano 1800 euro al mese: “Ma non rimpiango nulla, dice, per me è il lavoro più bello del mondo”. Servono una politica culturale, fondi, risorse. Si pensi al Louvre di Parigi: 60 mila mq espositivi e 8 milioni di visitatori l’anno, (con 40 milioni di euro di entrate) per il museo che espone La Gioconda; 6100 mq e 1,8 milioni di visitatori l’anno, con un ricavo di 8,6 milioni di euro, per chi conserva Botticelli o Giotto.
I lavori per i Grandi Uffizi (che porteranno a oltre 12 mila mq la superficie espositiva) nonostante siano cominciati da anni (ma non dipendono dal direttore del museo) sono ancora fermi al primo lotto, e anche il sindaco Renzi ha denunciato la mancanza di fondi. Ampliare gli spazi, ovviamente, non è la soluzione magica. Ci sono problemi di valorizzazione più generale. In Italia, tranne il complesso del Palatino e del Colosseo, Pompei, gli Uffizi e la Galleria dell’Accademia (dove c’è il David di Michelangelo), nessun altro museo ha superato nel 2011 il milione di visitatori. Esistono musei come il Palazzo reale di Pisa o il Museo archeologico di Venafro che non superano le mille visite all’anno. L’arte passa soprattutto per i “grandi eventi” e le sponsorizzazioni private. Il pubblico deve vedersela con i tagli e la sciatteria.
Tra il 2003 e il 2005 l’Italia spendeva 2,17 miliardi per la cultura, lo 0,23% del Pil. Nel 2011 è scesa a 1,4 miliardi, lo 0,18%. Eppure, senza scomodare le “balle” di Berlusconi secondo il quale “l’Italia ha regalato al mondo il 50% dei beni artistici tutelati dall’Unesco”, il nostro paese è comunque in cima alla classifica dei Patrimoni dell’umanità totalizzando il 5% di quello mondiale. Ma a questa cifra non corrisponde un’adeguata politica culturale che potrebbe essere anche redditizia. La spesa media europea è del 3% e in Francia solo per il Louvre si spende quanto per tutti i musei italiani. In Italia gli addetti alla cultura, tra professioni “artistiche” e “tecniche”, sono circa 400 mila.
Valorizzare la cultura, quindi, fa parte della politica complessiva e richiede una qualche visione. “Portare un Leonardo a New York può farci guadagnare un milione di dollari ma non significa essere buoni manager” spiega ancora Natali. “Se davvero vogliamo valorizzare il “petrolio” italiano, allora occorre ripartire dalla scuola e da una diversa etica in cui si riscopra la sacralità dell’opera d’arte”.
Un discorso impegnativo in un Paese in cui i massimi vertici della Cultura mettevano a capo della Biblioteca dei Girolamini un personaggio che invece di curare i libri li rubava per rivenderseli. Salvatore Cannavò - GIRO D’ITALIA: TUTTE LE MERAVIGLIE ASSEDIATE DA DEGRADO E TAGLI - Oggi sono stato alla Ninfa Egeria, poi alle terme di Caracalla e sulla via Appia a vedere le tombe ruinate e quella meglio conservata di Cecilia Metella, che dà un giusto concetto della solidità dell’arte muraria. Questi uomini lavoravano per l’eternità ed avevano calcolato tutto, meno la ferocia devastatrice di coloro che sono venuti dopo e innanzi ai quali tutto doveva cedere”. Lo scriveva Goethe nel suo Viaggio in Italia in luoghi a volte sconosciuti e che oggi rischiano di scomparire. Parchi archeologici abbandonati ad abusi e furti e ormai prossimi al tracollo. Il museo dell’Accademia Ligustica delle Belle Arti di Genova destinato allo smembramento se non addirittura alla chiusura per un debito di quasi 2 milioni di euro.
BENE CHE VADA, anche quelli che sono in salute zoppicano come nel caso del castello di Mi-ramare affacciato sul golfo di Trieste, circondato dal grande parco di circa 22 ettari, a rischio estinzione. Necropoli, regge, acquedotti, anfiteatri e antichi borghi immersi in un incubo culturale che non finisce mai. Per indicarli tutti un intero giornale non sarebbe bastato; associazioni come Fai e Italia Nostra svolgono un lavoro di monitoraggio di tesori nascosti alcuni dei quali riportati in questa mappa di un’Italia del turismo che per competitività sta perdendo posizioni. La “Reale tenuta di Carditello”, visitabile solo in rare occasioni, giace in stato di abbandono. Allo stesso modo simboli dell’architettura avanguardista degli anni ‘30, come le ex colonie marine sulla riviera romagnola, sono diventati ruderi. L’Italia è la nazione al mondo con il maggior numero di siti considerati “Patrimonio dell’Umanità”, 47 dei 936 inseriti nella lista dell’Unesco. Elisabetta Reguitti • DALLA PIETÀ AI DENTIFRICI ORA IL MARMO CURA LA CARIE - Dalla Pietà di Michelangelo ai dentifrici. Il marmo di Carrara, “l’oro bianco” con cui artisti di ogni tempo hanno plasmato capolavori, finisce nei tubetti di mezzo mondo. O meglio, a finirci è (anche) il carbonato di calcio: sostanza base del marmo, utile nell’igiene orale come abrasivo. Un dato che racconta la nemesi della roccia nobile di Carrara: un tempo riservata agli artisti, ora in gran parte destinata ad altri usi. Nella Mecca degli scultori opera una multinazionale svizzera, che rivende in tutto il mondo i detriti delle cave: ossia, circa l’80% del marmo estratto. Già, perché i detriti sono ottimi per i dentifrici, come per pneumatici, vernici, carta e mille altri prodotti dell’industria chimica. Poi, certo, c’è il marmo di pregio, quello in blocchi. E in particolare il marmo statuario, ideale per opere d’arte come per pavimenti e arredi di lusso. A comprarlo arrivano dalla Cina e dall’India, le nuove potenze. Elementi diversi di una realtà amara: l’industria locale del marmo se la passa male, con tendenza al peggio. L’oro delle cave è venduto molto sotto il prezzo di mercato, quasi sempre in forma grezza. E così le botteghe di Carrara hanno sempre meno lavoro.
L’ECOLOGISTA Riccardo Canesi, dell’Idv: “Siamo passati dai 14mila addetti di un secolo fa ai circa mille attuali. Le esportazioni di marmo lavorato sono diminuite come quantità e valore, mentre quelle di materiale grezzo continuano a crescere. In generale viene venduto a prezzi bassissimi”. Il risultato finale è che amministrazioni e imprese locali perdono una valanga di denaro: decine di milioni di euro all’anno. Bel guaio per Carrara, che ha il comune più indebitato d’Italia dopo Tori-no. Su ragioni e colpe della crisi il dibattito è rovente. Guido Palmerio (Fli) ha lavorato per anni in un’azienda del settore: “Il marmo andrebbe estratto in base a concessioni, come prevede la legge, con regole precise: quantità minima di estrazione di blocchi, e obbligo di lavorare parte del marmo a Carrara. Ma il Comune non rilascia concessioni e non fa osservare l’obbligo di vendita a prezzi di mercato.
LE AZIENDE estraggono in base ad accordi con l’amministrazione, per tariffe ridicole: comprano per 13,5 euro a tonnellata, quando ne vale 150-200. Eppure ci sono imprese che pagherebbero il valore reale”. Non solo: “C’è un’enorme quantità di marmo pregiato venduto in nero, lo sanno tutti”. L’anno scorso i deputati di Fli Raisi e Della Vedova hanno rivolto un’interpellanza sul caso all’allora ministro dell’Economia, Tre-monti. Scrivevano: “Il valore del marmo in blocchi estratto ogni anno (900mila tonnellate) è di 300 milioni, ma il Comune ne incassa sei. Una situazione come questa favorisce l’infiltrazione della criminalità organizzata”. Fabio Granata, anche lui di Fli, e Legambiente di Carrara hanno chiesto alla commissione antimafia di indagare. E proprio Legambiente ricorda: “Nel secondo lotto dei lavori per la costruzione della strada dei marmi (inaugurata in aprile, ndr), la Dia di Firenze ha segnalato la costante presenza di membri di una famiglia ritenuta affiliata a una ‘ndrina di Crotone”. In procura, a Massa, è depositato più di un esposto. Il sindaco di Carrara, Angelo Zubbani (Psi), replica: “Indaghino pure, ma sono convinto che qui la mafia non ci sia. La vendita in nero? C’è, ma su quello non possiamo fare nulla, spetta alle autorità”. Rimangono tutti gli altri problemi. Il sindaco sostiene: “Le concessioni non le rilasciamo perché, con le regole attuali, dovrebbero essere per 29 anni e con rinnovo automatico, contro tutte le norme europee. Per modificare il regolamento comunale dobbiamo aspettare che cambino la legge regionale di settore, ora in revisione. Abbiamo chiesto regole stringenti sui blocchi e per la lavorazione in loco: però le imprese qui sono pigre, preferiscono vendere il grezzo, è più semplice”.
I PREZZI PERÒ sono bassissimi, e avete un mare di debiti: “Dovevamo tenerli bassi, come sanzione per ricorsi persi alla Corte europea. Ma dal 1° gennaio abbiamo aumentato i canoni, talvolta anche del 400%. I debiti? Abbiamo speso 120 milioni per la strada dei marmi. Prima nel centro città passavano 800 camion al giorno carichi di marmo, pensi che aria si respirava”.
Una volta qui veniva Michelangelo a scegliere il marmo per la sua Pietà. Oggi otto tonnellate su dieci diventano scarti. Dentifricio. Intanto la grande montagna bianca, che sotto il sole scintilla come neve, giorno dopo giorno sparisce. Andrea de Carolis e Ferruccio Sansa