Giuseppe Caravita, Il Sole 24 Ore 11/11/2012, 11 novembre 2012
LE NANOSPUGNE MANGIA-GAS
Provate a pensare a un’automobile a metano senza il serbatoio di oggi. Ovvero una bombola corazzata, a 200 atmosfere, con connessi manicotti in acciaio a tenuta, da revisionare con periodicità obbligata. Al suo posto immaginate un serbatoio a ciambella, simile a quello che si usa correntemente per il Gpl, alloggiato nel vano della ruota di scorta. A 20-30 atmosfere, leggero e senza componenti critici. Ma sicuro e capiente come la bombola di oggi. Possibile intrappolare a bassa pressione un gas inafferrabile e volatile come è il metano? La risposta si chiama nanospugna, una classe di materiali di frontiera con superfici (per unità di peso) incredibili. Come quelli annunciati, pochi giorni fa, da un team di ricercatori dell’università di Milano-Bicocca. «Abbiamo raggiunto i 5mila metri quadrati di superficie per ogni grammo dei nostri nuovi materiali nanostrutturati – spiega Piero Sozzani, ordinario di Chimica industriale presso il dipartimento di Scienza dei materiali dell’ateneo milanese – è come fare entrare un intero ipermercato dentro una pillola».
Se le molecole di gas (metano, idrogeno o CO2) entrano in queste nanostrutture reticolari vengono catturate dalle forze di Van Der Vaals e si collegano alle superfici «formando uno strato liquido, e piuttosto stabile». Il fenomeno avviene a livello nanometrico (miliardesimi di metri) e i gas, legandosi, emettono un leggero calore. Di converso, l’immissione di analoghe quantità di calore consente il de-assorbimento, ovvero la liberazione dei gas dalla trappola delle superfici nanometriche. Una rivoluzione, innanzitutto per l’industria energetica. Prendiamo una grande nave gasiera. Un vascello da miliardi di euro con enormi taniche pressurizzate e refrigerate a -70 gradi. Che poi deve scaricare il suo prezioso gas in analoghi super-serbatoi degli impianti di rigassificazione. «Tutto questo potrebbe cambiare nei prossimi anni, grazie alle nanospugne. E questi materiali potrebbero essere usati per catturare la CO2, gas che si comporta esattamente come il metano e resta nei reticoli, mentre altri gas più leggeri, come l’ossigeno e l’azoto, sfuggono all’assorbimento».
Il secondo campo di applicazione di queste nanospugne sta infatti nella cattura dell’anidride carbonica a bocca di grandi impianti di emissione, come centrali elettriche a carbone o a gas. Nel primo caso oggi si stanno sperimentando autentici mini-impianti chimici aggiuntivi della centrale, che catturano la CO2 facendola gorgogliare in grandi torri con soluzioni ad ammine. Domani queste potrebbero essere sostituite da filtri a nanospugne che assorbono e poi de-assorbono il gas e lo inviano ai siti profondi di stoccaggio. E infine la corsa all’idrogeno, ovvero alla sua gestione economica, al di là delle supercostose bombole a 700 atmosfere oggi disponibili. I due "prototipi" di spugne molecolari messi a punto dal team milanese hanno qui vantaggi importanti sulle criticità ben conosciute dai ricercatori. In tutto il mondo (si veda i tre esempi sotto) si sta infatti lavorando sui Mof (metal-organic frameworks), architetture nano strutturate con elementi metallici (platino, nickel) a massima efficienza soprattutto per la cattura dell’idrogeno.
Oggi il team di Milano delle nanospugne - ovvero H2-Ecomat, il progetto di ricerca da 750 mila euro, di cui 375 mila finanziati dalla Regione Lombardia - sta brevettando ambedue i nanomateriali (e relativi processi). Ed ha pubblicato su una prestigiosa rivista tedesca, Angewandte Chemie, due articoli a ripetizione. «Un evento per loro piuttosto raro» conclude Sozzani. C’è quindi il sospetto che il team sia passato in testa nella competizione mondiale su questa frontiera.