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 2012  novembre 12 Lunedì calendario

LA CREATIVITÀ FATTORE DI SVILUPPO

Nel nostro Paese, sulla base dei dati raccolti dalla recente ricerca di Unioncamere e Fondazione Symbola (2012), il sistema delle industrie culturali e creative in senso stretto vale, sul 2011, il 5,4% del Pil. Se invece consideriamo una definizione estensiva del sistema delle filiere culturali e creative si arriva, sempre su dati 2011, a un peso pari al 15% del Pil. (...)
Il settore creativo è tipicamente più orientato al mercato e quindi ha una maggiore capacità di creare valore rispetto al settore culturale non industriale e alla stessa industria culturale, e quindi il flusso di trasferimento dei contenuti dalla sfera culturale a quella creativa definisce una sorta di "effetto moltiplicatore" (che opera non dal lato della spesa, come nel caso dei classici moltiplicatori keynesiani, quanto piuttosto dal lato dell’offerta in termini di generazione di contenuti capaci di produrre valore), che è tanto più forte quanto maggiore è la produzione di valore del settore creativo a parità di valore prodotto dal settore culturale. (...) Definiamo allora moltiplicatore culturale il rapporto tra la quota del Pil prodotta dall’industria culturale e quella prodotta dall’industria creativa. Il fatturato dell’industria culturale vale circa il 2,51% del Pil, mentre quello dell’industria creativa il 2,54% (il piccolo residuo per arrivare al totale del 5,4% corrisponde al fatturato del settore culturale non industriale): ne deduciamo che il moltiplicatore culturale è all’incirca pari a uno, ovvero per ogni euro di fatturato prodotto dall’industria culturale si generano contenuti che contribuiscono a produrre un ulteriore euro di fatturato nell’industria creativa. Considerando poi il rapporto tra settore culturale e creativo nel suo complesso e filiera estesa della creatività, possiamo introdurre un ulteriore, analogo indicatore che definiamo "moltiplicatore creativo", vale a dire quanto ogni euro di valore aggiunto prodotto nella sfera culturale e creativa vera e propria contribuisce a generare a sua volta sotto forma di valore aggiunto indotto nelle sfere produttive ad alta intensità di input culturale. Nel caso dell’Italia, ai dati 2011, il moltiplicatore creativo è pari a 2,77: per ogni euro fatturato dalle industrie creative, i contenuti da esse prodotti contribuiscono a generare un ulteriore fatturato indotto di 2,77 euro in media.
Un secondo indicatore di grande significato riguarda la competitività dei settori culturali e creativi: un tema che è al centro delle politiche europee della cultura per il ciclo 2014-2020 e che acquista particolare importanza in Italia in vista del potenziale che il settore può avere nella definizione di un nuovo modello di sviluppo per il nostro sistema-Paese. (...) Il settore culturale, in particolare, ha un orientamento all’esportazione pari soltanto a un terzo della media dell’economia nazionale, mentre il settore creativo ha un orientamento pari a tre volte e mezzo quello medio nazionale. È questo un limite strutturale dell’industria culturale italiana che va affrontato. Questo andamento viene confermato dal dato della bilancia dei pagamenti culturale e creativa, rispettivamente, che nel 2011 fanno registrare la prima un disavanzo di 2,33 miliardi di euro, la seconda un avanzo di 22,62 miliardi. (...)
Un terzo indicatore significativo, e soprattutto in un momento di crisi che brucia o mette a rischio un grande numero di posti di lavoro, è quello che misura appunto la capacità di assorbimento occupazionale dei settori culturali e creativi. Dal punto di vista dell’occupazione, la produzione culturale e creativa impiega al 2011 circa 1,39 milioni di persone, pari al 5,6% degli occupati del Paese, una percentuale che è addirittura leggermente aumentata rispetto al 2007 e mostra quindi una capacità di tenuta occupazionale del settore anche in periodi di forte crisi. (...)
In termini di produttività, espressa come valore aggiunto per occupato, a fronte di un dato medio nazionale pari a 57.166 euro, nelle industrie creative essa è pari a circa 48.045 euro, contro i 64.960 dell’industria culturale, i 50.289 del settore del patrimonio storico-artistico e i 45.569 dei settori delle arti visive e dello spettacolo dal vivo. (...)
In Italia, dunque, in termini di impatto economico la produzione culturale regge il passo di quella creativa, ma il problema emerge quando si considera la capacità di circolazione internazionale della produzione che fa riferimento alle due sfere: la creatività presenta una propensione all’esportazione molto superiore. E questo è un dato significativo che merita una riflessione. Per quanto la cultura sia fisiologicamente meno orientata al mercato rispetto alla creatività, esistono margini di miglioramento sia, soprattutto, dal punto di vista della sua capacità di generare valore che della sua propensione all’esportazione: ci sono Paesi che hanno sviluppato una grande capacità di dare alla propria produzione culturale un’ampia circolazione a livello globale, ma nel caso dell’Italia questa capacità appare al momento relativamente modesta, e ciò finisce in ultima analisi per provocare danni anche alla nostra capacità di esportazione della produzione creativa. (...) Nell’attuale ecosistema culturale globale, l’Italia è tenuta a galla più da una rendita di posizione fondata sull’eccellenza passata che sul dinamismo e l’interesse generato dalla produzione attuale. (...)
Da questo quadro emerge come, da un lato, la produzione culturale e creativa presenti buoni margini di produttività, ma sia ancora aperta a molti potenziali miglioramenti in termini di efficienza e, dall’altro, che non esiste al momento una capacità di collocare efficacemente i settori di produzione culturale e creativa potenzialmente più dinamici e innovativi sulla frontiera competitiva del sistema. Se davvero si vuole puntare sulla capacità di sviluppo della cultura, approfittando del potenziale competitivo ancora non pienamente espresso dal settore, occorre mettere a punto una strategia industriale molto più coerente, sofisticata e coordinata a quella degli altri settori complementari rispetto a quanto si è fatto finora.