Fabrizio Galimberti, Il Sole 24 Ore 12/11/2012, 12 novembre 2012
LA RIPRESA ASPETTA IL MATTONE D’AMERICA
Quo vadis? La domanda antica è da rivolgere all’economia mondiale: tornerà a farsi crocifiggere una seconda volta (tale fu la risposta di Gesù alla domanda di Pietro negli apocrifi "Atti di Pietro") rinnovando il supplizio della Grande recessione; o si tirerà finalmente fuori dalle secche dei fiscal cliff e dei debiti sovrani, riprendendo un sentiero di crescita da tempo abbandonato?
Andamenti anomali
Così come questa crisi è stata una crisi anomala, precipitata da un terremoto finanziario senza precedenti, anche la ripresa è stata anomala. Un primo rimbalzo, a tratti e sussulti, è stato negato dalle crisi da debiti sovrani. Il troppo debito privato, che aveva originato il primo sommovimento, è stato combattuto, dando via libera a deficit e debiti pubblici. Si è passati così da una crisi da eccesso di debito privato a un’altra da eccesso di debito pubblico. E ora, per guadagnare la fiducia dei mercati che altrimenti non finanzierebbero deficit e debiti, bisogna ridurre questi ultimi con una politica di austerità. Ma questa austera restrizione dei bilanci pubblici si sovrappone all’austerità privata: le famiglie devono smaltire gli eccessi di indebitamento in quei Paesi dove ci sono stati, o sono indotte comunque a un risparmio precauzionale anche dove gli eccessi non ci sono stati. Questa sovrapposizione di austeri propositi rappresenta un vento contrario per la ripresa: un vento che la rallenta in America e la nega in Europa.
Le ricette in campo
La sostituzione di spesa pubblica alla spesa privata, quando quest’ultima venne a mancare per effetto della crisi, era inevitabile. Nessuno ha proposto ricette alternative sensate: le uniche - non sensate - erano quelle di Andrew Mellon, il segretario al Tesoro americano nel 1930, quando disse che bisognava far fallire tutti per toglier via il «marcio dal sistema»; o quella di Mitt Romney, il candidato (fortunatamente sfortunato) alla presidenza, che due anni fa scrisse un articolo sul New York Times in cui affermava, di fronte alla crisi delle grandi case automoblistiche americane, che bisognava «far fallire Detroit».
Era inevitabile che la domanda pubblica si sostituisse alla domanda privata, ma non era inevitabile che lo facesse nei modi atti a creare una crisi da debiti sovrani. Sarebbe bastato che i deficit fossero finanziati non emettendo titoli, ma stampando moneta - salvo poi usare, in un prosieguo di tempo, gli strumenti che le Banche centrali hanno a disposizione per prosciugare la liquidità creata. Ma, a parte i veti del Trattato di Maastricht in Europa, tali misure sarebbero parse troppo rivoluzionarie all’ortodossia benpensante, incapace di "pensiero laterale", che domina le stanze del potere monetario.
Oggi l’economia mondiale si trova a un punto di flesso. E, anche se le probabilità vanno nel senso di una ripresa della crescita - sono troppo forti le spinte strutturali del progresso tecnico, della "voglia di crescere" e dell’aumento della popolazione - i tempi del cammino sono incerti. Quali indicatori bisogna tener d’occhio, specie in Italia, per intravvedere la luce in fondo al tunnel?
La salvezza dell’Italia
La prima cosa che bisogna dire è che la salvezza non verrà dall’Italia. L’Italia ha fatto più di ogni altro Paese per portare le finanze pubbliche vicine al punto di pareggio strutturale, e l’economia ne ha sofferto: in un certo senso, è come Dorando Petri al termine della maratona. Se a questo si aggiungono le antiche magagne che limitano, e non da oggi, le capacità di crescita (magagne che abbisognano, per essere rimosse, di anni di sforzi), si capisce che una ripresa per il nostro Paese potrà venire solo da fuori. Per questo gli indicatori cui guardare non sono quelli italiani - o possono anche essere quelli italiani, ma solo nella misura in cui riflettono gli andamenti del resto del mondo.
Gli indici chiave
Un indicatore chiave si riferisce a una grandezza che potrà sorprendere: i prezzi delle case in America. Ma, a ben pensarci, la scelta non è insensata. L’America è la prima economia del mondo, e una vera ripresa non può esserci senza quella locomotiva; e la Grande recessione ha avuto inizio nel settore immobiliare statunitense. È quindi acconcio - al limite della giustizia poetica - ritenere che la ripresa avrà come pre-condizione un ritorno di salute per l’edilizia residenziale. Troppe famiglie americane sono ancora sotto minaccia di pignoramento delle loro case, e troppe sono limitate nella loro spesa dal fatto che il valore delle loro case è negativo (il mutuo residuo è più alto di quanto valga la casa). Un aumento dei prezzi delle abitazioni - che erano scesi massicciamente - è quindi necessario per ridare fiato al settore immobiliare. Da questo punto di vista, la prognosi è favorevole: come si vede dal primo grafico, i prezzi delle case Usa hanno ripreso a salire.
Altri indicatori chiave sono quelli in presa diretta con la fiducia delle imprese (indici Pmi): questi mostrano, per le principali aree del mondo (vedi il secondo grafico) che il fisiologico rimbalzo del dopo-crisi si è fermato, anche se ultimamente vediamo, a cercarli con il lumicino, alcuni deboli segnali di ripresa. Là dove non vi sono ancora segnali di ciclo ascendente è negli indicatori avanzati dell’Ocse: sia negli Stati Uniti che nell’Eurozona, sia in Giappone che nei Paesi emergenti (Brics) le prospettive non migliorano. Ma almeno i fasci delle curve che esprimono gli andamenti si muovono tutti assieme. Siamo tutti nella stessa barca, e l’Italia, come si vede nel terzo grafico, sta nel fondo. Speriamo che gli altri remino più di noi.