Emanuela Audisio, la Repubblica 12/11/2012, 12 novembre 2012
PUGNI PERDUTI
[Carmen Basilio]
Quella faccia non c’è più. E nemmeno quella boxe selvaggia. La seppelliscono oggi. Ma quella faccia è la grande boxe. Livida, cruda, gonfia. Però anche spigolosa e resistente. Spaccata in due. Imbarazzata dal dolore, ma fiera. Terribile nella sua bellezza. E resterà per sempre. «Aveva più cuciture di una palla di baseball», disse Angelo Dundee. Quando erano re, si picchiavano così, non stop: e non andavano mai giù, nemmeno se li ammazzavi. Sul viso di Carmen Basilio si era scagliata un’epoca da massacri di San Valentino. Pugni al posto dei mitra. Rasoiate, niente dolcezze. Cassius Clay era un bambino, Simon e Garfunkel non avevano ancora composto “The boxer”, la mafia vendeva incontri, la boxe era insanguinata e la tv in bianco e nero.
Basilio è morto a 85 anni, oggi i funerali a Rochester. Carmen era un immigrato italiano, si chiamava Carmine, in famiglia erano in dieci figli, lavoravano la terra a Canastota, sopra New York, raccoglievano cipolle, con qualsiasi tempo. «Con cinque sorelle più grandi devi imparare presto a combattere». Carmen va a faticare nei campi a cinque anni, poi si arruola nei Marine, dove impara a boxare, passa professionista nel ‘48, con poca fortuna: si rompe mani e sopracciglia. Per mantenersi lavora in fabbrica, sveglia all’alba e dopo il turno subito in palestra. Scherza con il padrone: un giorno diventerò campione del mondo. E l’altro: tu sei pazzo. Ma Basilio che guadagna 50 dollari a incontro, non molla: quitters never win. Chi rinuncia non vince. Nel ‘53 sfiora il titolo mondiale dei welter contro Kid Gavilan, “il falco di Cuba”, che per la prima volta finisce a terra. La rivincita non si fa anche perché Basilio non collabora con la mafia e diventa il primo pugile allenato da Angelo Dundee alla 5th Street Gym a Miami Beach dove non è ancora arrivato Ali. Per le lacerazioni sopra l’occhio Dundee studia una pomata con timo, cloruro e vaselina. Perché Carmen è di quelli che cerca il corpo, non indietreggia mai, anche se le busca. Un vero Rocky. Il secondo tentativo mondiale riesce: nel ‘55 batte per ko Tony DeMarco alla 12esima, s’inginocchia nell’angolo e urla «I did it». Ma rischia: un uppercut dell’avversario lo solleva da terra, in qualche modo però Basilio atterra in piedi. E vince anche il rematch, sempre nella stessa maniera.
Quando però DeMarco da vecchio va a trovarlo a casa sua a Irondequoit, Carmen toglie dalla parete la foto di quell’incontro, perché non vuole offendere l’amico-rivale con quel ricordo. E Basilio andrà anche al funerale del figlio di Demarco, morto in un incidente d’auto.
«Era fatto così: sul ring ti ammazzava, appena sceso ti amava ». Umile e modesto, non sopportava
il grande Sugar Ray Robinson che in strada a Broadway con il suo clan lo aveva snobbato con arroganza. Sul ring i due si affrontano nel ‘57 per il titolo dei medi allo Yankee Stadium davanti a 38 mila spettatori. Carmen va sempre avanti e gliele suona, Dundee nell’undicesima conta i colpi: Basilio porta 34 diretti e vince ai punti. Sei mesi dopo, la rivincita: Robinson ha problemi
di peso ed è costretto prima dell’incontro a 20 ore di digiuno. Poi mira alla debolezza di Carmen: l’arcata sopraccigliare. Picchia e squarcia sempre lì: al sesto round l’occhio sinistro non c’è più. Chiuso. Al suo posto un pallone. Carmen non vede, ma non rinuncia. Perde ai punti, Robinson conquista per la quinta volta il mondiale, e la folla fischia il verdetto. La crisi arriva alle tre
di notte. Dopo ore di ghiaccio Dundee si accorge che dall’occhio di Basilio esce sangue, corrono all’ospedale, dove lo salvano. La foto di Carmen a letto, con l’occhio bendato fa il giro del mondo. Dundee, che se ne intendeva: «Per essere un campione devi arrivare fino alla fine e oltrepassare quella linea, Carmen lo ha fatto molte volte».
Il terzo incontro non si fa, Robinson rifiuta di affrontarlo. Basilio si ritira nel ‘61, dopo 79 match, 56 vinti, di cui 27 per ko, per cinque anni consecutivi è stato “fighter of the year”. È l’uomo che ha battuto Sugar Robinson, il dio del ring: 202 incontri, 175 successi, 109 per ko. Quando la boxe contava, era la forza del mondo, le famiglie portavano ai campioni i figli da benedire e Carmen che andava a messa ogni domenica non si faceva il segno della croce prima di combattere, ma solo dopo. Gli chiesero perché. Era seduto sui gradini marci della vecchia palestra, rispose con la più bella didascalia alla sua faccia devastata: «Dio non ti aiuta se non sai boxare».