Marino Niola, la Repubblica 12/11/2012, 12 novembre 2012
ROUTINE
La routine sarà pure una noia. Ma con i tempi che corrono è meglio tenersela cara. È quanto pensano 8 italiani su 10, che ammettono di essere sedotti dal solito tran tran. Forse anche sedati. Ma soddisfatti di avere una vita scandita da certezze. A dirlo è una ricerca Doxa, che restituisce l’immagine di un Paese alla ricerca di punti fermi. A cominciare dal più fermo di tutti, il posto fisso, irrinunciabile per l’86%.
Come dire che il lavoro, più che una sfida al presente, deve essere una garanzia per il futuro. Stiamo diventando dei borghesi piccoli piccoli? O dei postliberisti sull’orlo di una crisi di nervi? Niente di tutto questo. Piuttosto ci stiamo trasformando in un popolo zen. Che non potendo mettere ordine in un mondo sempre più complicato e ingovernabile, cerca di riordinare il proprio. Di scalettare meticolosamente il quotidiano. Per lasciare il meno possibile al caso. Ecco perché trasfor-miamo le vecchie abitudini in altrettanti beni rifugio. Piccoli gesti, consuetudini familiari. Forse un po’ alienanti, ma capaci di puntellare le nostre ansie. Lo dice a chiare lettere la top ten delle occupazioni antistress più amate dagli italiani. Farsi la doccia o il bagno (63 per cento), preparare da mangiare (59%), buttarsi sul divano davanti alla televisione (52%). E non mancano le sorprese. Come fare il bucato, lavare i piatti e stirare le
camicie (46 per cento). Occupazioni di solito aborrite da ambo i sessi e che adesso schizzano verso la vetta dei placebo esistenziali. Quelli che consolano e rassicurano. Proprio come fare colazione in famiglia (45%), o prendere il caffè con gli amici di sempre al solito bar o con i colleghi (42%). Persino la sveglia, il più odiato degli elettrodomestici, cambia di segno. Piace nel 37 per cento dei casi e diventa l’appello quotidiano di un lavoro che, per fortuna, c’è ancora.
Sono i riti d’oggi, uguali giorno dopo giorno. Gesti e atti che fanno da antidoto contro le incognite di un’esistenza sempre più last minute. Interinale nel lavoro come nel privato. Perché la vita adrenalinica è esaltante solo quando le cose vanno bene. Altrimenti è meglio accontentarsi di quel che si ha già. E per la stessa ragione ci teniamo ben stretti gli oggetti del cuore, le nostre coperte di Linus. L’inseparabile cellulare (compagno irrinunciabile per il 61 per cento del campione), il quotidiano o rivista di sempre (54%), il libro che ci tiene compagnia (54% anch’esso). Ma anche la voce amica della radio (50%).
L’irrinunciabile borsa (57 per cento) che per le donne non è un accessorio, ma un kit di sopravvivenza, un fondo previdenziale aggiuntivo. E adesso nella hit parade entra anche il computer (37 per cento), che per gli under 30 è un prolungamento dell’essere e dell’avere.
Insomma, stiamo diventando meno spreconi. E ricicliamo anche la routine. La risvoltiamo, come si faceva con i vecchi cappotti. Del resto è solo da qualche decennio che la parola
ha assunto un’accezione negativa. Anche per effetto di un consumismo tanto sfrenato da farci consumare anche la vita. Cambiare tutto, gli oggetti come le esperienze. Le relazioni come le emozioni. Ma in realtà routine, dal francese
route,
significa semplicemente strada battuta. Come dire un percorso collaudato. Che non c’è ragione di abbandonare. Adesso ce ne siamo accorti. E torniamo sui nostri passi.