Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  novembre 12 Lunedì calendario

CAMBOGIA, IL RE TIMIDO CHE NON VOLEVA IL TRONO


È mattina presto, e nei bar lungo il Tonle Sape, un braccio del fiume Mekong abbagliato dai primi riverberi del sole tropicale, si aggirano pochi turisti e nugoli di guidatori di risciò. «Ecco il re!»: una ragazza subito si avvicina alla strada, seguita da altri cambogiani ritti sul marciapiede dirimpetto al fiume. Dall’auto più lunga e scura, scortata da pochi minivan e vetture della sicurezza, il sovrano della Cambogia Sihamoni, da otto anni sul trono, saluta agitando le mani dietro ai vetri oscurati.
L’erede del regno khmer che fu di Norodom Sihanouk, morto il 15 ottobre in un ospedale di Pechino, è un bell’uomo dal cranio rasato e lo sguardo intenso, il corpo da danzatore nascosto in abiti di sobria eleganza reale. Da quando salì al trono nel 2004, pochi lo avevano visto in giro per la capitale Phnom Penh, oggi in lutto stretto per la morte di suo padre, il padre di tutti i cambogiani. Fatte poche centinaia di metri nello slargo che divide il fiume dalla sua residenza reale,
il corteo motorizzato di Sihamoni aveva varcato l’ingresso privato del Palazzo per sparire dietro ai cancelli oltre i quali restavano visibili solo i tetti a guglia di stile buddhista khmer, sulle mura solide delle architetture francesi.
Quel giorno, tra la sparuta folla che salutava il re, nessuno avrebbe immaginato di vedere da lì a poco ogni strada attorno al palazzo reale, ogni pagoda, ogni marciapiede, trasformarsi nella via crucis di una processione mesta di gente in preghiera e lutto per la morte dell’uomo che era stato per 60 anni l’unico e fragile simbolo di unità del Paese. Dopo il lungo isolamento dei suoi otto anni di regno, raramente a contatto coi sudditi, Sihamoni è stato investito da un’ondata di commozione popolare senza precedenti. Moltitudini di contadini e impiegati delle città hanno preso tra le lacrime a sfilare davanti a lui e alla salma del vecchio monarca, esposta a palazzo per tre lunghi mesi prima della cremazione prevista a febbraio. Sono giunti a Phnom Penh con tutti i mezzi, in pullman, in auto, in risciò, dalle province più sperdute, con indosso la camicia
bianca e i pantaloni neri del lutto. All’unisono si sono prostrati di fronte al ritratto e al corpo imbalsamato che presto diventerà cenere, e sarà posto dentro un’urna d’oro sotto una colonna
sormontata dai Buddha.
In un’ala del palazzo, il nuovo re aveva vissuto fino un’esistenza semplice, senza quasi mai uscire dalle tre stanze isolate dal complesso aperto al pubblico.
All’atto dell’abdicazione, Sihanouk sapeva di essere per il figlio prediletto l’artefice di un destino senza gloria né serenità personale. Ma le condizioni poste dal capo del governo per salvare
la corona cambogiana erano chiare: nominare un monarca di basso profilo, che garantisse la neutralità della Corte negli affari civili. Re Sihanouk aveva fatto per mezzo secolo esattamente
l’opposto, occupandosi dell’amministrazione del regno in prima persona, o attraverso uno degli altri suoi figli. Aveva pagato anche altissimi prezzi personali, quando i khmer rossi di Pol Pot sterminarono due milioni di cambogiani, tra i quali 5 dei suoi 14 eredi.
Per Sihamoni il padre manteneva un affetto speciale e lo ha tenuto il più possibile lontano dalle congiure della politica nazionale, mandandolo a studiare per 13 anni a Praga, dove è vissuto fino ai 22 anni, durante i quali ha affinato il talento per la danza e manifestato senza timori la sua omosessualità. «Per lui – disse una volta il padre pubblicamente – le donne sono tutte come sorelle ». Quel periodo di libertà finì con la prigionia imposta alla famiglia reale dalle guardie rosse, che spedirono Sihamoni e i fratelli a coltivare i campi.
Nella storia ufficiale della Cambogia si parla poco della Regina madre Monique Izzi, origini italiane e khmer, che concepì Sihamoni dopo essere stata sposata in quinte nozze da re Sihanouk all’inizio degli anni ‘50. Era la figlia di un banchiere nato in Francia da immigranti abruzzesi di nome Jean Francois e una
dama della Corte reale di Phnom Penh. Per lei Sihanouk aveva lasciato le altre mogli e concubine, e il loro legame è durato fino alla morte. È stata sempre lei a mantenere negli anni i rapporti più stretti con Sihamoni, assieme al quale è ora tornata a vivere nel palazzo reale. Sa quanto ha sofferto il figlio, già prima della morte di Sihanouk, per una scelta imposta, causa tra l’altro della fine di una lunga storia d’amore con il compagno, un artista cecoslovacco.
Monique, da regina e madre, sapeva che, agli occhi del piccolo mondo contadino cambogiano, non sarebbe stata una relazione accettabile per un monarca. I rari conoscenti e parenti stretti ammessi alla Corte, sostengono che Sihamoni ha accettato e sopportato solo per spirito filiale il peso di una corona con molte spine e pochi poteri. Ma quando finirà il lutto, Sihamoni sarà forse per la prima volta in vita sua libero di decidere da solo del suo destino, perfino di abdicare. È una decisione temuta da molti cambogiani, oggi che stanno cominciando ad amare anche lui come suo padre.