Alberto Mattioli, la Stampa 12/11/2012, 12 novembre 2012
ALAIN DUCASSE - “IL MONDO NON HA MAI MANGIATO COSÌ BENE”
Più che un cuoco, è una holding. E anche un paradosso: Alain Ducasse è lo chef più famoso del Pianeta, ma ha smesso di cucinare. Gira ininterrottamente il mondo per dirigere una multinazionale della gola che fattura, secondo «Challenges», 120 milioni di euro. Per festeggiare i 25 anni del più celebre dei suoi ristoranti, il Louis XV di Montecarlo, il prossimo fine settimana si riuniranno lì 240 chef di 29 Paesi, per un totale di 300 stelle Michelin.
Ducasse, cosa sono? Gli Stati generali mondiali della cucina?
«Ma no. È solo il piacere di incontrarsi, di parlare e di mangiare. E di celebrare cento prodotti della Riviera, che poi non è né solo francese né solo italiana, dato che va da Saint-Tropez a Sanremo. La cucina non ha frontiere di nessun genere. Quello che la politica non può fare, può farlo la cucina».
Non è che i grandi chef si amino...
«Ma di solito chi cucina ha sempre due caratteristiche: è goloso ed è generoso. Quindi la competizione c’è, ma è sana. E fa bene a tutti. Infatti non si è mai mangiato così bene».
Addirittura.
«Eh, sì. Perché abbiamo tutti i vantaggi della globalizzazione, quindi tutti accedono alle conoscenze e le mettono in comune. E contemporaneamente tutti riscoprono il territorio. La grande cucina oggi è “glocal”. E sana: meno grassi, meno zuccheri, meno sale e meno proteine animali. Per rispettare la salute, anche quella del mondo».
Cosa vuol dire cucinare?
«Rispondere a tre domande: che cos’ho, cosa so, cosa faccio. Tutto qui».
Lei quanti locali ha?
«Ventisette fra ristoranti, alberghi e bistrot».
Quante stelle Michelin?
«Diciannove».
Quanti dipendenti?
«Direttamente, circa 600. Indirettamente, almeno 1500».
Cosa risponde a chi la accusa di non fare più da mangiare?
«Niente: è vero. Però in molti ristoranti dove lo chef sta in cucina si mangia meno bene che nei miei. Io sono un direttore artistico. Anzi, un allenatore. I miei chef fanno da mangiare meglio di me, ma fanno da mangiare come voglio io».
Quando ispeziona i suoi ristoranti, lo fa a sorpresa?
«Certo. Le uniche persone che sanno in che parte del mondo mi trovo sono mia moglie e la mia assistente».
Il suo menu, al PlazaAthénée di Parigi, costa 380 euro.
«Non è caro».
No?
«No. Anzi, ha un eccellente rapporto qualità-prezzo. Lei andrebbe da Dior a dire che un vestito di haute-couture costa troppo?».
Chiuda gli occhi: il primo sapore che le viene in mente?
«Più che sapore, un odore: quello del forno di casa. Il pollo della domenica, i funghi, il maialino. Sono cresciuto in campagna, al villaggio si andava una volta la settimana».
Dunque ha ragione Guy Savoy a dire che la prima cosa da fare in cucina è togliere la cappa aspirante?
«Certamente».
L’ultima cena che l’ha entusiasmata?
«Di recente a Kyoto, da Morata. È la quarta generazione di chef. Fa una cucina giapponese tradizionale con la giusta comprensione della modernità. Ma alla base c’è una cultura antica».
La Francia è ancora il Paese dove si mangia meglio?
«Cercando bene, sì».
C’è un prodotto che invidia all’Italia?
«Sì, l’olio d’oliva».
Ma quale?
«O ligure o toscano, dipende da cosa cucino. È comunque uno dei miei due ingredienti fondamentali».
E l’altro?
«Il sale di Guérande».
Quel è il piatto migliore del mondo?
«Non c’è. Dipende tutto dal momento: con chi lo dividi, dove sei, di cosa hai voglia. La felicità è un attimo. Vede, a Osaka, sotto un cavalcavia della ferrovia, c’è un ristorantino con cinque tavoli. Fanno una specie di sfoglia di farina di grano saraceno. Solo farina, acqua e sale. Non è niente, ma è perfetta. E io ero felice».
Un giovane chef che diventerà qualcuno?
«Dan Barber. Ha un ristorante in campagna, nello Stato di New York. Non è ancora famoso come merita perché non va ai cocktail a Manhattan. Ma forse è meglio così».
Parliamo di politica. È anche lei fra i delusi di Hollande?
«No, perché da 27 anni non sono più cittadino francese ma suddito monegasco. E poi i francesi sono ingovernabili, insoddisfatti per definizione. Governare i francesi è impossibile. Invece governare gli italiani è inutile».
Lei è ricco e famoso. Ha qualche rimpianto?
«Soltanto che le giornate non durino 48 ore».