Paolo Manzo, la Stampa 12/11/2012, 12 novembre 2012
CILE, LO STADIO DELLE TORTURE DECIDE IL VOTO
I corsi e i ricorsi storici sono una costante nella vita dei cileni, che hanno di fronte da un lato l’immensità dell’Oceano Pacifico, dall’altro l’arcigna barriera delle Ande. Un contrasto geografico, quello tra mare e alta montagna, che si ripete con ancora maggior forza nella storia politica moderna del Cile, incarnata da un lato dal socialista Salvador Allende, dall’altro dal dittatore Augusto Pinochet Ugarte. Maya Fernandez Allende è la nipote dell’ex presidente cileno deposto con un golpe l’11 settembre l 1973 ed è riuscita a riportare per l’ennesima volta agli onori delle cronache il passato del suo Paese. La sua storia ha un carico simbolico incredibile. Alle amministrative del 28 ottobre scorso Maya è riuscita a farsi eleggere sindaco di Ñuñoa, un comune residenziale che fa parte della Grande Santiago, tradizionale feudo delle destre perché i suoi 170mila abitanti sono quasi tutti di classe medioalta. Un’impresa incredibile, a detta della stampa cilena, cui si aggiungeva il fatto che, dopo oltre due decenni di esilio a Cuba, finalmente un membro della famiglia di Allende tornava a fare politica in Cile, riuscendo a convincere una piazza «di destra». L’evento è stato ripreso da tutti i giornali del mondo. Felicità da parte di Maya, un po’ di commozione e molte interviste. Questo sino a ieri, quando è arrivata l’ennesima beffa del destino per la famiglia Allende: in seguito al ricorso del candidato delle destre e dopo avere fatto le verifiche del caso, il Tribunale elettorale cileno ha ribaltato il verdetto, attribuendo l’incarico di sindaco a Pedro Sabat, un conservatore duro e puro. Ma ancora più atroce è stata la motivazione del ribaltamento del risultato: nel primo conteggio dei voti, infatti, non era stato considerato un seggio che si trovava nello Stadio Nazionale di Santiago, tristemente noto come il «campo di concentramento a cielo aperto» della dittatura di Pinochet. Lo stadio i cui spalti inghiottirono centinaia di cileni innocenti e, con loro, anche due reporter statunitensi la cui tragica fine è stata narrata da CostaGravas nel film «Missing». Le lacrime di Maya Fernandez Allende, ieri, hanno commosso il Cile e il mondo intero. Lei, testarda come il nonno, ha già fatto sapere che non vuole arrendersi e il Partito Socialista, al quale iscritta, ha già annunciato di volere presentare un controricorso. In Cile, per l’ennesima volta, la storia si ripete.