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 2012  novembre 12 Lunedì calendario

QUATTRO PASSI NEL NOSTRO NUOVO MONDO DIGITALE


È in corso una rivoluzione. Una rivoluzione che ormai tocca scuole, fabbriche, biblioteche, mezzi di trasporto, città. Riguarda le vite personali di molti, ma anche mestieri antichi come quelli dell’artigiano o dell’agricoltore.

Cambia il modo di lavorare e il rapporto con la pubblica amministrazione. Innova il volontariato. Trasforma la politica. Promette uno sviluppo economico più rispettoso dell’ambiente.

È la rivoluzione digitale, un’innovazione rivoluzionaria come l’elettricità oltre un secolo fa o forse più. Una trasformazione fatta di computer con- È nessi in rete che mutano il tessuto sociale ed economico anche in settori apparentemente lontani dall’informatica.

Computer che, sempre più piccoli, non solo ci accompagnano in tasca, ma si distribuiscono sotto l’asfalto per controllare il traffico, nei cassonetti per misurare la produzione di rifiuti, nei campi per misurare l’umidità, negli abiti per seguire il nostro stato di salute.

Una rivoluzione che qualcuno ha studiato prima degli altri, per adattarla alla propria cultura e alle proprie esigenze. Su tutti, gli Stati Uniti. Padri (anche se non gli unici) del computer, madri di Internet, da sempre amanti del nuovo, gli americani hanno abbracciato il digitale con un tempismo e uno slancio che non temono confronti. E i risultati si vedono.

Soprattutto nell’economia, dove gli Stati Uniti hanno raccolto i benefici del digitale - in termini di aumenti di produttività, apertura di nuovi mercati, efficienza più elevata - ben prima di molti altri Paesi sviluppati.

Basta pensare alle «start-up», ovvero, alle aziende di recente fondazione che ambiscono a diventare grandi. Dove, se non negli Usa, ci immaginiamo i classici ragazzi che provano a cambiare il mondo partendo da un garage? Dove, se non negli Usa, alcuni fortunati ventenni passano in poco tempo dal frequentare i pub di Boston a essere ospiti d’onore di capi di Stato? Google e Facebook sono nati, non a caso, negli Stati Uniti.

Ma il digitale è anche applicazione a settori tradizionali, come la manifattura, l’agricoltura, il turismo, l’artigianato - nonché a spazi fisici come le città. Infatti è negli Usa che nascono i «makers», ovvero, quelle persone che usano i computer per innovare il fai-da-te.

Come? Per esempio usando le nuove stampanti tridimensionali, ovvero, stampanti che permettono di produrre piccoli oggetti disegnati col computer. Producono pezzi di ricambio, giocattoli, oggetti d’arte. Sembra un innocuo passatempo, ma in realtà i «makers» sono i pion i e r i d i q u e l l a c h e l’«Economist» ha definito la terza rivoluzione industriale, quella della «manifattura person a l e » . I l l o ro passatempo odierno, quindi, è un’anticipazione di quel che sarà una parte dell’industria di domani.

E sempre negli Stati Uniti, ma nel settore dell’artigianato classico, troviamo piattaforme come Etsy (www.etsy.com), che permettono a migliaia di artigiani di far conoscere e vendere i loro prodotti, facendo conoscere al mondo intero attività fino ad ora relegate a una singola città, se non a un singolo quartiere.

E riguardo alle città, è New York ad aver capito per prima che era opportuno avere una specifica persona, una sorta di assessore digitale, che si occupasse di tutti gli aspetti digitali della città, dalla comunicazione via Twitter (importante anche durante il recente uragano Sandy) alle start-up.

Ma la rivoluzione digitale è anche rivoluzione della conoscenza e anche qui gli Usa sono stati i pionieri.

Tutti usano Wikipedia, la grande enciclopedia online fondata dall’americano Jimmy Wales, scritta e costantemente aggiornata dai suoi stessi utenti. Ma pochi sanno che è americano anche il progetto di creare una grande biblioteca pubblica online, la Digital Public Library of America, che vuole portare in Rete l’equivalente delle gloriose biblioteche pubbliche di New York e Boston.

E sempre targate Usa sono le università e le aziende che stanno sperimentando nuovi modi di fare istruzione online, come Udacity, Coursera o EdX.

Nel loro complesso questi e altri progetti stanno creando i silos di conoscenza digitale che nutriranno la cultura, la politica e l’economia degli Stati Uniti nei prossimi decenni.

Ma l’Italia come sta affrontando la rivoluzione digitale? Quali sono i nostri punti di forza e quali le nostre debolezze? Quali sono le specifiche potenzialità che, se sviluppate, potrebbero dare all’Italia un ruolo d’avanguardia? Che volto hanno i nostri esclusi digitali - in percentuale tra i più numerosi d’Europa - e come fare a recuperarli, nell’interesse loro, ma anche della nostra società e della nostra economia?

Nelle prossime settimane su queste pagine proveremo a fare un ritratto dell’Italia digitale: quella che c’è già e quella che potrebbe essere. Quella che opera in settori d’avanguardia e quella che si applica a punti di forza tradizionali dell’Italia, come l’artigianato o il turismo.

L’economia digitale italiana è già circa pari al 2 per cento del Pil, con un contributo netto all’occupazione di oltre trecentomila posti di lavoro. In futuro potrebbe fare ancora di più. Bisogna, però, di iniziare ad affrontare la rivoluzione digitale con determinazione e visione. Le esperienze da cui partire non mancano: la sfida dei prossimi mesi e anni sarà quindi quella di fare, come sistema Paese, un salto di qualità e quantità.