Raffaele La Capria, Corriere della Sera 12/11/2012, 12 novembre 2012
SE L’UMORE È NERO PASSIAMO AL BIANCO - È
possibile contrapporre i momenti di umor nero ai momenti di umor bianco?
Ed è possibile passare dai pensieri negativi, ricorrenti e vaganti, a quelli positivi, che pure esistono?
Vediamole, queste due categorie. E incominciamo dai pensieri negativi.
Come sono noiosi i giornali, com’è noiosa la politica che sono costretti a raccontare, com’è noiosa l’Italia! Sempre le stesse mezze misure, sempre le stesse truffe, sempre le stesse facce. Da trenta, quarant’anni, da sempre.
Da quando è apparsa la televisione, l’antipolitica la fa la televisione. È la televisione che crea antipolitica. Antipolitica è mostrarsi alla televisione, tanto basta. Basta guardarli, sentirli parlare e ti senti noioso anche tu, un eroe di sopportazione: quando lo pensi, quando lo dici, quando lo scrivi.
Ma non voglio essere confuso con uno di quegli specialisti della lagna, non voglio essere confuso con uno degli indignados cronici, con uno di quegli italiani che pensano di non essere italiani quando denunciano i vizi degli italiani... no, provo solo, e lo dico, noia, noia, noia infinita e inconcludente, noia anche della critica e della denuncia, noia più devastante della noia leopardiana.
Anche lui, Leopardi, li conosceva bene gli italiani e si annoiava, anche lui vedeva la stessa Italia. Noia italianissima, secolare, per un’Italia che passa da un secolo all’altro, dal suo al nostro, con le stesse caratteristiche, con la stessa sfrontata e irredimibile ripetitività.
Un’Italia che mai e poi mai s’è desta dai suoi vizi e dall’elmo di Scipio. Ma mai come ora fu raggiunta la noia-della-noia, la noia di annoiarsi, questa noia al quadrato anch’essa molto italiana, naturale reazione dello spirito che non ne può più. Cos’altro si può fare quando lo schifo che si prova davanti a ogni furbata, a ogni ignominia, a ogni abuso, somiglia a quello di chi si rifiuta di mangiare quel che lo stomaco ha già rifiutato? O ti mangi ’sta minestra — a cucchiaiate — o ti butti dalla finestra. Io mi butto.
Ma vediamo di contrapporre all’umor nero dei pensieri negativi, un po’ di umor bianco dettato da quelli positivi.
Nel mio terrazzo c’è un cactus di forma sferica, una palla verde e spinosa, piuttosto scostante. Se ne è stata tranquilla nel suo vaso da più di un anno. Sembrava una cosa inerte arrivata sul mio terrazzo chissà da quale arido deserto, dura, ispida, chiusa in sé, a suo modo enigmatica.
Ma una mattina, oh lo stupore! Oh, la meraviglia! Esco al sole d’una bella giornata, vado in terrazza e vedo che da quella palla sono scaturiti all’improvviso, alti sul loro stelo e meravigliosi, tre bianchi fiori splendenti. «La forza che preme nella verde miccia ed esplode nel fiore, muove i miei verdi anni». Mi sono venuti a mente i versi di Dylan Thomas, ma in questo caso più che alla verde miccia, più che allo stelo da cui esplode il fiore, paragono il cactus a una bomba, a un ordigno vegetale.
Che cosa era accaduto, che cosa stava accadendo in quella palla apparentemente sterile e inerte che aveva partorito i tre fiori meravigliosi?
Stava accadendo la Vita che si manifestava a me in modo conciso ed evidente, e non solo quella del cactus, ma quella della Natura tutta. La vita come violenta volontà di esserci, violenta come il tritolo, come il big bang originario, la vita come gioco di prestigio di un Dio Sconosciuto che aveva fatto nascere come un fuoco d’artificio quei tre fiori meravigliosi.
Bianchi, immacolati, miracolosamente apparsi, quei fiori in un giorno morirono. Com’era stata breve la loro apparizione! Essi mi dissero col loro linguaggio: nascita e morte fanno parte dell’esistenza, quella che accomuna fiori animali uomini e piante e ogni cosa vivente. Vivente e morente ed eternamente rinascente.
Raffaele La Capria