Chiara Beria Di Argentine, La Stampa 10/11/2012, 10 novembre 2012
I PROSCIUTTI DEI BORCHINI E IL BUON PROFUMO D’ITALIA
«I cinesi? Non mi fanno assolutamente paura. Hanno persino cambiato il nome di una loro città ribattezzandola “Parma” per tentare di farci concorrenza. Ma il nostro è un prodotto con una serie di variabili anche per noi difficili da controllare, figuriamo da copiare. Prima di tutto abbiamo l’aria....». «Pardon, ha detto l’aria?», interrompo Massimo Borchini. «Sì, arriva dal mare scavalcando l’Appennino. E’ grazie anche alla famosa aria di Langhirano se i nostri prosciutti per profumo, aroma e fragranza sono diversi da tutti gli altri. E noi tutti i giorni - da mattina a sera - siamo sempre a fiutare che aria tira».
In verità, a Langhirano, la cittadina emiliana capitale del prosciutto di Parma, il microclima sembra far stagionare bene non solo uno dei prodotti italiani di grande eccellenza. Basta ascoltare la storia dei Borchini, una delle tante famiglie di piccoli e coraggiosi imprenditori, per respirare ancora il buon profumo d’Italia. «Sono disgustato nel vedere certi scandali, certi sprechi! Siamo stati allevati con altri valori», s’indigna Borchini, 45 anni, titolare con la madre Raffaella e il fratello Stefano di Slega srl (12 dipendenti, 50 mila prosciutti l’anno, 5 milioni di euro di fatturato), una delle 160 aziende affiliate al Consorzio Prosciutto di Parma (tutela un comparto che vale 1,6 miliardi di euro con 4300 allevamenti di suini e 3 mila addetti nella provincia parmense). Piccoli numeri, gran qualità. Cita, Massimo, quel che ha scritto del suo «Parma 23 mesi» la rivista «Gambero Rosso»: «Struttura: morbida, umida, vellutata e solubilissima, soprattutto del grasso, quasi cremoso». Slurp!
E spiega come, grazie all’accurata scelta dei migliori allevatori e alla lavorazione artigianale («Nessuna macchina, facciamo ancora tutto a mano»), i prosciutti che stanno stagionando nella sua cantina appesi alle «scalere» di legno finiranno anche da Harrods a Londra e da Kafer a Monaco di Baviera. «Chi si era allargato troppo ha dovuto licenziare, se non chiudere. Non m’interessa vendere di più, ma garantire alta qualità. La mia sola arma è la bontà del prodotto, tutto il resto sono chiacchiere!». Orgoglioso di essere uno degli ultimi «langhiranesi di sasso» («Significa autoctono; ora i bambini nascono a Parma»), Borchini, ogni mattina, dopo il caffè in piazza con i suoi amici («Ci facciamo dispetti strappandoci i clienti, senza però superare un certo limite! E parlo di quelli che fanno prosciutto di Parma, non altri salumi con i robot»), va in bici al lavoro. Solo 2 settimane di vacanza l’anno alternate con il fratello: i suoi adorati prosciutti non possono essere mai trascurati. Struttura dei tipi alla Borchini da Langhirano. «Mio padre Medardo, che nel 1962 aveva fondato l’azienda con il cavaliere Egidio Bedogni, morì danzando la notte di Capodanno ’87-’88. Il giorno dopo ci trovammo catapultati al suo posto. Stefano si era appena laureato in Economia e Commercio, io mi ero iscritto alla facoltà di veterinaria a Parma. Ma nostro padre ci aveva preparato. Alla fine dell’anno scolastico diceva: “Bravi, però avete fatto solo il vostro dovere. Nei 3 mesi di vacanza un mese venite a lavorare, l’altro fate i compiti e il terzo quello che volete”. Questa era la regola. Altro che figlio del padrone! In azienda mi massacravano. In questo modo non solo ci ha fatto insegnare dagli anziani “maestri salatori” i segreti di questo mestiere, ma, soprattutto, ci ha inculcato un ingrediente che non può essere scritto sulle etichette dei nostri prodotti: la passione».
Domando: quest’autunno che aria tira a Langhirano? Il maestro degli amabili prosciutti mi risponde: «Per difendere le nostre aziende invece dei contributi a fondo perduto che, per anni, sono andati ai “soliti noti”, preferisco una minore fiscalità. Poi, ci arrangiamo da soli come abbiamo sempre fatto! Quanto alla nuova legge sui pagamenti a 30 giorni è ottima ma temo che, in questo momento, possa essere un ulteriore problema. Chi non riesce a pagarti alla scadenza spesso è da anni nostro cliente. Non sono solo semplici rapporti di lavoro, ma situazioni delicate e tristi».