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 2012  novembre 10 Sabato calendario

PIÙ MARCHI STRANIERI E CIBO SANO: LA MARCIA DEI “NUOVI CONSUMATORI”

[Rapporto McKinsey: 400 milioni di benestanti nel 2020] –
La crescita economica della Cina sta rallentando rispetto ai record dell’ultimo ventennio (le proiezioni parlano di un 8% annuo fino al 2020), ma le condizioni di vita sono in continuo miglioramento. Sul mercato interno crescono comportamenti di spesa e attitudini di acquisto più legate ai brand, tipiche delle nazioni ricche. Comincia così l’ultimo report firmato McKinsey sullo sviluppo dei consumi nel grande Paese asiatico (From mass to mainstream: keeping pace with China’s rapidly changing consumers), un’indagine su un campione di 10mila persone di età compresa tra i 18-65 anni residenti in 44 città del dragone. Leggerlo nei giorni del rinnovo dei vertici politici di Pechino è piuttosto istruttivo.
Il colosso della consulenza aveva già anticipato questo trend nell’indagine «Meet the 2020 chinese consumer» pubblicato in primavera, dove si ipotizzava lo scenario in cui la sterminata popolazione urbana fosse egemonizzata nelle abitudini di acquisto dai cosiddetti «new mainstream consumers», cittadini abbienti il cui reddito annuo è compreso tra i 106 e i 229mila Renminbi, l’equivalente di 16-34mila dollari. Da non confondere con la più vasta massa di consumatori (reddito compreso tra i 36 e i 106mila Renminbi, 6-16mila dollari) immersi nella prima fase dell’accumulazione di beni e servizi, appena sopra le necessità di base.
Intendiamoci, la popolazione urbana (nel 2010 ammontava a 226 milioni di famiglie di cui il 10% sotto la soglia di povertà, l’82% formata da consumatrici massive, il 6% da new mainstream consumers e il 2% ricche), nella stragrande maggioranza rimane ancorata a comportamenti di spesa retrò: acquisti di prodotti a poco prezzo e poco valore, spesso imitativi di altri e consumatori privi di sufficiente raffinatezza per fidelizzarsi ai brand. Tuttavia per McKinsey sta crescendo più velocemente del previsto la quota di popolazione «mainstream», attenta a dare più importanza alle ragioni immateriali/emozionali nell’acquisto di beni e servizi. Secondo le proiezioni, entro il 2020 avverrà il sorpasso: su 328 milioni di famiglie urbane il 51% rientrerà nella classificazione «mainstream» contro il 36% di «mass consumers».
In particolare, la quota di famiglie con redditi annui abbastanza alti da permettersi auto occidentali e oggetti di piccolo lusso crescerà fino al 57% nel 2020. Sempre tra 8 anni saranno 400 milioni i cinesi cosiddetti «mainstream» mentre nel range 2007-2025 le prime 225 città del paese contribuiranno al 29% della crescita del Pil mondiale.
Con uno split ulteriore. A trainare il fenomeno «mainstream» saranno consumatori residenti nel 74% dei casi nelle grandi città della costa e nel 45% del campione con meno di 35 anni, la fascia più scolarizzata, cosmopolita e pro business, che negli acquisti cerca più emozioni che durabilità.
In virtù di questo dicotomia, le aziende dovranno correggere le proprie strategie di marketing per servire entrambi i segmenti di mercato.
Evidente, per McKinsey, la ricaduta sulle scelte pubbliche. Un approccio più attento alla crescita dei consumi interni come driver di crescita rispetto ai grandi investimenti passati, va nel senso di un riequilibrio positivo dell’economia cinese, auspicato dal governo di Pechino e tradotto nell’ultimo Piano quinquennale. Tutto infatti è concatenato. Più il lavoratore cinese migliora qualità occupazionale e reddito, più fa attenzione all’alimentazione e all’ambiente. Per esempio il 48% dei consumatori dichiara di mangiare meno cibi fritti dell’anno passato, il 44% di essere disposto a spendere di più per prodotti sostenibili. Quanto alla nazionalità: nel ricco segmento dell’elettronica, il consumatore cinese preferisce i brand stranieri; in quello della cura personale, invece, marchi autoctoni. Anche se la buona notizia è che i «new mainstream» più giovani e facoltosi, sono anche quelli più disposti verso i prodotti sfornati dalle aziende globali. Made in Italy compreso.