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 2012  novembre 11 Domenica calendario

LA CAPRIA: ROTH LASCIA, IO SCRIVERÒ FINO ALL’ULTIMO

[Parla lo scrittore novantenne, dopo l’annuncio del collega americano] –
Nel futuro di Philip Roth c’è il silenzio. Ieri, con La Stampa , ne hanno dato notizia tutti i giornali del mondo. A 79 anni, e dopo avere pubblicato ventiquattro romanzi, l’autore di Pastorale americana e del Lamento di Portnoy ha confessato di averne abbastanza, di non sapere che altro aggiungere a ciò che ha scritto nel recente Nemesi , pubblicato in Italia, come quasi tutto il resto, da Einaudi. Dopo avere dedicato la vita alla letteratura, Roth lascia la letteratura per dedicarsi alla vita. E così uno dei più prolifici narratori d’America, l’eterno candidato al Nobel, vincitore di un paio di Pulitzer e di prestigiosi riconoscimenti internazionali, colui che, divorando e spianando parole, ha spiegato che «ognuno, ogni giorno, deve opporsi e resistere», ha smesso improvvisamente di resistere. Resistere a chi? Forse a se stesso.
Si può spiegare una decisione così traumatica in uno scrittore di così vasto successo? Lo chiediamo a Raffaele La Capria, che questo autunno, allo scoccare dei novant’anni, ha pubblicato da Mondadori Doppio misto , cinque racconti di vita e di morte, di amori e di errori che si leggono come un romanzo.

«È una notizia per me impressionante», dice La Capria. «Io, al contrario di Roth, ho cominciato a desiderare di scrivere in misura maggiore quando mi sono accorto che il mio tempo si stava accorciando».

Riesce a spiegarsi la decisione di Roth?
«È difficile trovare la ragione di una scelta così grave. Roth può avere capito di avere ormai detto tutto e di avere esaurito il suo mondo espressivo. Se penso che ha scritto così tanto in un arco di tempo relativamente breve, potrei credere a una forma di saturazione, oppure a un incidente di carattere esistenziale: cose intime, segrete, di cui non possiamo sapere nulla. Una cosa è però sicura: non possiamo generalizzare».

Rimbaud ha smesso di scrivere a vent’anni, Tolstoj praticamente mai.
«Esatto. Non esiste una comprensione oggettiva. Sono stati sempre vari i tempi di iniziazione e quelli di esaurimento. C’è addirittura chi ha cominciato a scrivere a sessant’anni».

Ma Lei, La Capria, quando ha capito che non avrebbe mai smesso di scrivere?
«Dieci anni fa. Avevo compiuto ottant’anni e Mondadori decise di raccogliere la mia opera in un Meridiano. Subito dopo, mi sono sottoposto a un difficile intervento chirurgico a cuore aperto e mi sono detto: vuoi vedere che col Meridiano considerano la mia opera finita? Mi sono ribellato. E così, tra gli ottanta e i novant’anni, ho scritto parecchi libri».

Che poteva essere: una forma di rivincita? Uno scongiuro?
«Non esattamente. In realtà ho fatto una cosa importantissima per me. Se non avessi scritto tutto ciò che ho scritto tra il Duemila e oggi, la mia opera sarebbe stata priva del mio De senectute , cioè di tutti i pensieri, i sentimenti, i risentimenti che si provano quando non si è più giovani».

Nella concretezza di tutti i giorni a che serve il De senectute che Roth, quasi certamente, non scriverà?
«Serve a dare importanza alla vita. Vivere scrivendo riscatta dalla depressione e dal timore della morte, distoglie dal pensiero che tutto debba finire presto».

Quindi è facile prevedere che lei scriverà fino all’ultimo.
«Fino all’ultimo. Per il semplice motivo che ogni giorno devo liberarmi di qualcosa che ho dentro e poi perché non mi va l’idea di far passare inutilmente la giornata».

Uno scrivere illimitato.
«Forse un esempio di work in progress . Tutta la mia vita è stata un work in progress , e perciò anche tutto il mio scrivere. Non soltanto i libri. Io scrivo molto per i giornali, ma lo faccio rimanendo all’interno della mia condizione di scrittore. Posso occuparmi di un fatto di cronaca, posso scrivere di politica, ma lo faccio senza abbandonare il mio tono, senza dimenticare di essere uno scrittore che, per sua fortuna o per sua condanna, resterà scrittore fino alla fine».