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 2012  novembre 11 Domenica calendario

L’ANNO CHE HA CAMBIATO L’ITALIA (E GLI

ITALIANI)[Dodici mesi fa Mario Monti si insediava a Palazzo Chigi: oltre a misure incisive e sgradite,ha provato a trasmettere un nuovo senso dello Stato] –
Gli abitanti del Palazzo lo capirono sin dal primo giorno: Mario Monti arrivava da un altro mondo. Era il 17 di novembre di un anno or sono, tra i velluti scarlatti di Palazzo Madama, il professore fece il primo discorso parlamentare della sua vita e i senatori lo applaudirono col contagocce. Lui fece intuire quel che sarebbe accaduto nei mesi successivi con una frase allusiva, ignorata dai media: è arrivata l’ora disse - di rinsaldare quel «senso dello Stato, che evita la degenerazione del senso di famiglia in familismo, dell’appartenenza alla comunità in localismo, del senso di partito in partitismo». Sembrò una di quelle frasi barocche che i leader democristiani elargivano per coprire il loro sottogoverno, ma lì dentro c’era un programma di legislatura. E così è stato. In un anno il governo guidato dall’algido Professore è riuscito a imporre misure incisive e sgradite: le pensioni in età più avanzata e col sistema contributivo per tutti; una robusta patrimoniale-immobiliare; una approfondita revisione della spesa pubblica; una lotta all’evasione fiscale supportata da blitz plateali-esemplari. Ha indotto le élites di tutto il mondo a ricredersi sulla governabilità degli italiani; ha provato a disboscare i parassiti che da anni paralizzano la crescita, anche se finora senza inversioni di tendenza; ha imposto al mondo politico una «rieducazione» lessicale e di stile, ma anche una piccola rivoluzione comunicativa. Capovolta, a guardar bene, rispetto all’impressione iniziale: oramai Monti esterna con una frequenza che lo ha reso il premier più loquace nella storia della Repubblica. Una bulimia comunicativa - accompagnata da movenze ed eloquio di scuola gesuitica - che il Professore si è imposto, per supportare la mission che compendia tutte le altre: «Spero di cambiare il modo di vivere degli italiani», ha detto in febbraio al «Time». Una vocazione pedagogica che distingue Monti dai professori che lo hanno preceduto: Fanfani, Amato e Prodi volevano «educare» il mondo politico, lui la società civile.
L’avventura del governo aveva avuto inizio il 9 novembre, forse il giorno più difficile nella storia della Seconda Repubblica: per la prima volta era andata in frantumi la soglia dei 500 punti per lo spread, schizzato a quota 574. Quella sera Giorgio Napolitano aveva telefonato a Monti, gli aveva annunciato la sua intenzione di nominarlo senatore a vita, gli aveva fatto capire che la sorte del governo Berlusconi era segnata. Tre giorni dopo il Cavaliere si dimette. Da quel momento il governo è «costretto» a mietere record: l’esecutivo si forma in pochissimi giorni (tre), la prima fiducia al Senato è la più larga nella storia della Repubblica (il 91,8% di sì), la squadra è all’osso (17 ministri), appena dodici giorni dopo la fiducia, il governo partorisce il decreto SalvaItalia, con l’Imu e la riforma delle pensioni. Il 20 gennaio il Cdm vara il decreto sulle liberalizzazioni e il 23 marzo è la volta della riforma del mercato del lavoro, osteggiata da Confindustria e Cgil.
Una raffica di provvedimenti, ma lo spread se ne frega: prima di Natale risfonda quota 500, si decongestiona, per poi tornare ad impennarsi ad aprile, non appena le banche europee smettono di acquistare titoli di Stato con i soldi quasi regalati dalla Bce. Monti si rende definitivamente conto che una volta «fatti i compiti a casa», bisognerà farli fare anche ai tedeschi, convincendoli a trovare armi comuni per piegare gli speculatori. E così dopo la «fase-1» del governo (dedicata al fronte interno), dalla primavera 2012 scatta la fase-2, quella dell’offensiva diplomatica in Europa. Soltanto gli storici troveranno le prove, se ci sono, delle «spintarelle» date da Obama, Merkel e Sarkozy per allontanare Berlusconi. Ma una volta preso il potere, il Professore ha saputo farsi apprezzare dai principali leader (Obama in primis), ma anche dalla stampa internazionale, impegnata in una gara adulatoria: «Il leader più importante d’Europa» (Financial Times); «Ha cambiato la politica europea » (Economist); «Se Monti fosse francese...» (Figaro). Eloquente era stato l’esordio: il 24 novembre nella prefettura di Strasburgo, Merkel e Sarkozy si erano dati appuntamento con l’unico scopo di legittimare davanti ai mercati il nuovo premier italiano e lui pensò bene di ricordare pubblicamente a francesi e tedeschi che proprio loro erano stati i primi a sfondare i parametri. L’indomani sul «manifesto» il professor Alberto Asor Rosa scriveva: «Quando Monti è apparso per la prima volta in tv, mi sono sorpreso a pensare quanto fossero buffi il francese Sarkozy e la germanica Merkel di fronte alla eleganza dignitosa e riservata dell’italiano».
Anche grazie ad una task force diplomatica di prim’ordine (guidata dal ministro degli Affari Europei Enzo Moavero), sullo scudo anti-spread Monti smuove i tedeschi al vertice di fine giugno, anche se il sigillo lo metterà 70 giorni dopo, il Governatore della Bce Mario Draghi con la disponibilità ad acquisti illimitati di titoli di Stato. Nel frattempo il premier inaugura la fase-3 del suo governo: quella del consolidamento. Provvedimenti anti-casta (riduzione Province, legge anti-corruzione, presidente e direttore Rai, tagli ai costi della politica), ma anche la legge di stabilità. L’idea di dare un segnale sul piano delle tasse (anche per l’infelice istruttoria dell’alta burocrazia, come nel caso-esodati) finisce male: «Il governo - come sostiene l’ex ministro Renato Brunetta, critico attento dell’esecutivo - aveva scritto un testo molto brutto, che in cambio di uno spruzzo di riduzione dell’Irpef, metteva le dita negli occhi di tutti. Io e Baretta, abbiamo dato una prova di maggioranza e ci siamo detti: la riscriviamo». Ma l’ex presidente della Fuci, Giorgio Tonini, senatore Pd, per il «compleanno» del governo propone un consuntivo con argomenti originali: «Monti ha preso un Paese schiacciato sul passato (per gli interessi sul debito), con un patrimonio privato più alto dei tedeschi e un reddito più basso ed ha agito: l’Italia è passata dall’ultimo al secondo posto in Europa sulle tasse patrimoniali, ma soprattutto ha sfatato il mito, secondo il quale gli italiani sono incapaci di capire. Era già capitato col referendum sulla scala mobile: gli italiani compresero che l’inflazione era peggio di 20.000 lire in più in tasca».