Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  novembre 11 Domenica calendario

È VECCHIO L’«AMORE» DI LUISA RANIERI

Non bastavano i misteri di «Quarto Grado» a tingere di nero il venerdì sera televisivo, a creare un clima di cupezza e tragedia. A scanso di equivoci, bisogna subito dire che il proposito che anima «Amore Criminale», la trasmissione in onda su Raitre scritta da Matilde D’Errico, Maurizio Iannelli e Luciano Palmerino, condotta in studio dall’attrice Luisa Ranieri (la signora Montalbano) è sicuramente nobile e importante (venerdì, ore 21.05). Denunciare il grave fenomeno della violenza sulle donne, che nel nostro paese è ormai diventato una vera e propria strage silenziosa, spesso perpetrata nel contesto familiare (al tema ha dedicato un libro anche Riccardo Iacona, «Se questi sono gli uomini», edita da Chiarelettere). Quello che convince poco è, ancora una volta, la «confezione» del programma: «Amore Criminale» sembra essere ispirato al vecchio mandato della Raitre «di servizio», alla base di programmi come «Chi l’ha visto?» e «Telefono giallo». Le vicende tragiche sono raccontate con un intento edificante, ma non per questo diventano meno tragiche e cruente, non per questo la loro esibizione riesce ad allontanarsi dai crismi più tradizionali della tv del dolore. La nuova edizione di «Amore Criminale» sembra aver messo ancora più in evidenza questo equivoco di fondo: dopo un lungo preambolo della conduttrice, ci sono state raccontate le storie di Francesca e Carol, con le giovani vittime chiamate a raccontare in prima persona e con dovizia di particolari le tragiche vicende di violenze e abusi che hanno dovuto subire negli anni dell’infanzia. E poi è stata ricostruita, attraverso la consueta modalità della docu-fiction (dalla realizzazione modesta), la storia di Teresa, morta per proteggere la figlia. Il programma ha anche un problema di linguaggio: si pesca un po’ da Carlo Lucarelli, un po’ da «Storie maledette», e l’impressione complessiva è alla fine quella di un prodotto vecchio (anche la costruzione dello studio non aiuta).
Aldo Grasso