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 2012  novembre 11 Domenica calendario

L’IMMORALE FEDERALISMO EOLICO CHE STA DEVASTANDO IL MOLISE

Per chi nutrisse ancora qualche dubbio circa il disastro che ha significato per il Bel Paese il passaggio alle Regioni di gran parte dei poteri in materia ambientale, il caso del Molise rappresenta una utile lezione riassuntiva. Anche perché esso se l’è dovuta vedere con uno dei peggiori flagelli che si è abbattuto nell’ultimo quindicennio su tutta la Penisola, l’invasione delle pale eoliche: quei piloni e quelle eliche sempre più gigantesche che in un numero sempre maggiore hanno alterato per sempre il profilo costiero, la linea delle colline, lo sfondo paesistico di migliaia di chilometri quadrati del territorio italiano. Un pervasivo insediamento cementizio tanto più irresistibile in quanto promosso dai potenti interessi economici delle società elettriche, le quali hanno tutti i mezzi (e la spregiudicatezza) per «convincere» il ceto di governo locale: non solo perlopiù di fragile livello culturale e di altrettanto fragile tenuta morale, ma in genere avidissimo di benefici d’ogni tipo.
Il Molise è una regione piccolissima (neppure 4.500 chilometri quadrati) e di eccezionale bellezza. Basti pensare che, tenuto conto dei vincoli di varia natura amministrativa, tra cui beninteso quelli emanati dalla stessa autorità regionale, ben il 72,5 per cento dell’intero suo territorio è stato dichiarato di interesse paesaggistico. E negli stessi documenti ufficiali della pianificazione ambientale si precisa che «la realizzazione di antenne e/o ripetitori non dovrà costituire barriere od ostacoli oppure escludere la visione di aspetti caratteristici del paesaggio».
Peccato che i fatti siano andati in direzione esattamente contraria a queste belle parole. Già alla data di dicembre di due anni fa, infatti, risultava autorizzata dagli uffici regionali l’installazione di ben 408 «aerogeneratori» mentre erano in corso progetti per realizzarne altri 2.131. Sì, avete letto bene: 2.131. Il che vuol dire niente altro che una pala eolica — la cui altezza oscilla tra i 125 i 170 metri: ognuna con una base di calcestruzzo di 20 metri di lato per 3 di spessore, nonché pali di fondazione sprofondati nel terreno per almeno 20-25 metri — una pala eolica di tal genere per ogni chilometro e mezzo circa di superficie della regione. Figuriamoci se non ci fosse stato il vincolo paesistico di cui sopra!
È facile immaginare l’effetto devastante di questa autentica pazzia. In pratica, per dirne solo una, tutti i fertili territori del Basso Molise degradanti verso l’Adriatico, terre fertilissime di cerealicoltura, di vigne e di uliveti, sede da millenni di quella preziosa testimonianza degli insediamenti umani che sono i «tratturi», e con esse tutti gli antichi casolari che le popolano, sono schiacciate, di fatto visivamente annichilite, da una sequela di queste macchine gigantesche. La cui installazione, dalla quale i molisani non ricavano alcun vantaggio, porta però un bel rivolo di quattrini all’amministrazione regionale, che infatti incassa dalle imprese che presentano progetti, per il semplice esame istruttorio, lo 0,03 per cento del costo dei progetti stessi e, se approvati, la stessa percentuale sul valore delle opere infrastrutturali eseguite (in pratica circa 90 mila euro per ogni progetto semplicemente presentato).
Ciò che è significativo è che in tutti questi anni, contro lo strapotere delle società elettriche, contro il permissivismo cieco (se non peggio…) della Giunta regionale molisana, e in difesa degli interessi autentici delle popolazioni, della loro storia e della loro identità, una sola istituzione ha fatto sentire la sua voce: la Direzione regionale per i Beni Culturali — cioè l’articolazione sul territorio del ministero romano — nella persona del suo dirigente, un funzionario fedele di cui è giusto non dimenticare il nome: il dottor Gino Famiglietti. Verificando con attenzione, cercando di fare quel non molto che poteva, valutando caso per caso e talvolta dando anche parere positivo, ma sempre regolarmente osteggiato e denigrato dal governo regionale, la cui massima autorità in più di un’occasione neppure si è degnata di rispondere ai suoi rilievi.
Dobbiamo rendercene conto una buona volta. Questa è la realtà del federalismo che abbiamo realizzato in Italia. In un numero altissimo di casi il decentramento dei poteri alle periferie, con la virtuale cancellazione di qualunque capacità vera di controllo e di interdizione da parte del centro, ha voluto dire semplicemente una paurosa diminuzione di tutela di tutto ciò che è pubblico, a cominciare per l’appunto dalla natura dal paesaggio. Su questo piano, per oltre un secolo, lo Stato nazionale, le sue classi politiche e le sue burocrazie, hanno dimostrato una capacità enormemente superiore a quella dimostrata dai gruppi dirigenti regionali e comunali e dai loro uffici, assai più permeabili a ogni genere di tentazione ma soprattutto sempre dominati spasmodicamente dal problema del consenso. Quel che è successo ai beni ambientali e al paesaggio italiano ne è testimonianza vivente: negli ultimi trent’anni, grazie al cosiddetto federalismo, esso ha subito danni di qualità e quantità tali che ormai ogni giorno di più l’Italia che tanti di noi hanno conosciuto e amato rischia di non essere altro che un semplice ricordo.
Ernesto Galli Della Loggia