Pietro Saccò, Avvenire 10/11/2012, 10 novembre 2012
COSI’ LE CATENE SI FANNO SPAZIO
Impossibile dire che gli affari stanno andando bene per i negozianti italiani. Tagliati dalla crisi e rosicchiati dalle tasse, i redditi – ormai da qualche anno – diminuiscono e le famiglie sono costrette a fare più attenzione ai loro acquisti: l’indice dei consumi di Confcommercio, a settembre, ha segnato un calo annuale del 4,2%, uno dei peggiori risultati della sua storia. La gente non spende e i negozi chiudono. Sempre secondo l’ufficio studi dell’associazione dei negozianti il saldo tra chiusure e aperture di punti vendita al dettaglio a fine anno dovrebbe essere negativo per 18-20 mila unità. Significa che in 12 mesi avranno abbassato definitivamente le serrande 65 mila negozi, a una media di 178 al giorno.
Qualcuno però quelle serrande prova anche a risollevarle. Ci provano, sempre più frequentemente, i franchisee, che sono spesso ex lavoratori dipendenti (con qualche soldo da parte) che vogliono mettersi in proprio proteggendosi dai rischi di impresa con il ’paracadute’ del legame con una catena di franchising. In cinque anni i negozi in franchising in Italia sono aumentati di quasi 1.400 unità, a 54.096 punti vendita, il loro giro d’affari è salito da 21 a 22,3 miliardi di euro e i posti di lavoro da 182 a 188 mila. La voglia di provarci è ancora diffusa, e infatti la 27esima edizione del salone del Franchising di Milano, aperta ieri a Fieramilanocity, era parecchio affollata.
Mario Resca – manager che con i suoi 12 anni alla guida di McDonald’s Italia si può considerare uno dei maestri del settore, e infatti ne guida l’associazione Cofimprese – ammette che qualcosa di simile a un vantaggio, questa crisi, lo dà: «La situazione dell’economia italiana è pessima. L’andamento dei consumi è ancora pesantemente negativo, si continuano a perdere posti di lavoro, i costi dell’energia restano alti e le previsioni, che sono sempre ottimistiche, danno un altro anno di recessione. In una fase del genere per i consumatori trovare il miglior rapporto tra la qualità e il prezzo dei prodotti diventa sempre più importante. Per questo il franchising, che sa offrire prodotti di buona qualità a prezzi bassi, soffre meno e, in alcuni casi, può anche crescere ». In alcuni ambiti, come l’abbigliamento e l’alimentare, le catene sono ormai una realtà consolidata, in altri, come ad esempio l’odontoiatria, si stanno ricavando nuovi spazi. Alla fiera di Milano si vedevano anche le prime catene di onoranze funebri in franchising.
«Quello che sta rafforzando il settore – spiega Resca – è che sempre più spesso chi sceglie di mettersi in proprio viene da esperienze manageriali. Sono persone che hanno già competenze elevate nella contabilità, nella gestione del personale o nel marketing, portano la loro esperienza e fanno crescere i punti vendita e la catena. Anche la formazione da parte delle aziende continua a migliorare ». I problemi sono quelli noti: un burocrazia che il manager definisce «asfissiante», un fisco sempre più pesante (ovvio che ai negozianti l’aumento dell’Iva continui a non andare giù) e un sistema del credito che non sostiene chi si mette in proprio. I numeri però dicono che i negozi in catena riescono a resistere, e qualche novità positiva, anche da Roma, è arrivata. «Le liberalizzazioni di orari, promozioni e aperture festive sono fondamentali – conclude il manager che ha da poco lasciato la responsabilità di direttore generale della valorizzazione del patrimonio culturale al ministero dei Beni Culturali –, ovviamente non bastano a fermare la caduta degli acquisti ma almeno la frenano. Sono una delle soluzioni che permettono di modernizzare i consumi, che alla fine è la nostra missione».