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 2012  novembre 12 Lunedì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 12 NOVEMBRE 2012

«Gli occhi del mondo sono puntati sulla Cina»: così titolava la settimana scorsa, nelle stesse ore in cui Barack Obama conquistava il secondo mandato alla Casa Bianca, un dispaccio dell’agenzia di stampa Xinhua. Evento che ha fatto finire nelle brevi dei quotidiani cinesi i risultati delle presidenziali Usa: il 18° congresso del partito comunista che, iniziato giovedì, terminerà mercoledì prossimo. Francesco Sisci ha scritto sul Sole 24 Ore che nei prossimi venti anni il valore storico dell’evento potrebbe essere «ben più alto delle “rumorose” presidenziali americane». [1] Di certo, il congresso di Pechino è quanto di più lontano dalla politica americana si possa immaginare. Ilaria Maria Sala: «Niente elezioni ma nomine, stabilite da più di duemila membri del Partito senza eccessive incognite». [2]

«Se non superiamo la corruzione, l’abuso del potere, questo sistema è destinato a crollare», servono «una graduale riforma del sistema politico che assicuri ai cittadini elezioni democratiche e processi decisionali trasparenti»: sono parole di Hu Jintao, segretario uscente del partito comunista cinese. Giampaolo Visetti: «È stato chiaro che con il decennale passaggio del potere, sancito mercoledì 14, non vanno in pensione Hu Jintao, il premier Wen Jiabao e la quarta generazione dei leader educati da Deng Xiaoping. Vanno in archivio il prodigio del trentennio cinese, il “decennio d’oro” della crescita a doppia cifra e l’idea che nell’era dei social media un autoritarismo, se pure capitalista, possa auto-legittimarsi a colpi di censura, propaganda e repressione». [3]

A capo del partito dal novembre 2002, presidente dal marzo 2003, Hu Jintao era stato accolto come un potenziale riformatore. In questi dieci anni l’economia cinese è quadruplicata diventando la seconda al mondo dopo gli Stati Uniti. Giuliano Noci: «È stata introdotta un’assicurazione sanitaria per il 95% dei cinesi (nel 2000 solo il 15% della popolazione ne beneficiava), si è formata una classe media di 300 milioni di persone». [4] Per quanto riguarda le riforme politiche, il Paese è invece rimasto praticamente immobile. [5] Anche al momento del congedo, Hu Jintao ha escluso una “Cina democratica”: «Non copieremo mai il modello dei sistemi politici occidentali, che già hanno fallito nell’ex Urss, in Africa e in America Latina. Un’imitazione servile della democrazia porta al disordine: la Cina perseguirà una modernizzazione socialista». [3]

Quest’anno l’economia cinese sorpasserà quella dell’Eurozona (dati Ocse). Secondo la locale banca centrale, il 7,4% di crescita nel terzo trimestre non deve allarmare: «Il rallentamento si è stabilizzato», ha detto il governatore Zhou Xiaochuan. [6] In due anni la Cina ha però perso oltre tre punti di crescita e nelle università circola uno slogan: «I frutti pendenti dagli alberi sono stati tutti raccolti». Danilo Taino: «Il ciclo aperto da Deng Xiaoping nel 1978 — bassi salari, esportazioni e diritto di arricchirsi — si è concluso. Con un successo economico senza precedenti nella storia, ma è finito». [7] Giovedì Hu Jintao ha avvertito i compatrioti che «i cambiamenti economici ci impongono la creazione di un nuovo modello di crescita, orientato alla promozione di una cultura del consumo». [2]

Pechino vuol addoppiare Pil e reddito pro capite entro il 2020, mantenendo una crescita media superiore al 7%. [3] L’obiettivo dovrà essere raggiunto da Xi Jinping, 59 anni, da mercoledì prossimo segretario del partito, da marzo presidente: entro la fine del suo mandato, nel 2022, la Cina dovrebbe diventare la prima economia del mondo. Il politologo Zhang Xiaojin: «Xi Jinping non è nessuno, o almeno nessuno di identificabile». Visetti: «Rassicura e impensierisce nello stesso tempo. Ha preso possesso del potere partendo dalle retrovie, quando tutti lo davano per bruciato, maneggiando un’arma difficile: il proprio mistero, la capacità di tacere per incoraggiare tutti, così da rendersi infine non troppo sgradito ad alcuna delle fazioni che si contendono l’eredità del solo comunismo di mercato sopravvissuto al Novecento». [8]

Xi Jinping è la sintesi del passaggio della Cina dal maoismo a Deng Xiaoping e da Jiang Zemin a Hu Jintao. Visetti: «Il padre, Xi Zhongxun, fu eroe della Rivoluzione, vittima delle Guardie Rosse e riabilitato vice premier. Lui è nato e cresciuto invece tra i velluti di Zhongnanhai, il fortino dell’élite, ma da studente è stato spedito nelle campagne dello Shaanxi, a “imparare la sapienza dalle masse”». Descritto dal quotidiano del Popolo come «un riformatore moderato e un conservatore progressista», secondo gli americani Xi Jinping «è uno che sa come ottenere i risultati». [8] Mettere mano alle Soe, le aziende di Stato in condizioni di privilegio, non sarà però facile. [6]

Una prima riforma delle Soe iniziò nel 1996 e proprio il successo di allora ha portato alla situazione attuale. Sisci: «Grazie al loro potere, al loro accesso privilegiato al credito, all’enorme montagna di profitti accumulati e quindi alle vaste disponibilità di liquidi, creano enormi turbative nel mercato e anche nella politica cinese. Le imprese private, che sin dall’inizio delle riforme hanno trainato lo sviluppo del Paese, sono rimaste schiacciate dall’espansione economica delle Soe, e questo ha contribuito a rallentare la crescita nazionale». [1] Lo slancio alla crescita che rincuora gli ottimisti deve molto ai pacchetti di stimolo dei governi locali (mega-progetti infrastrutturali). [9]

Fino a poco tempo in Cina si facevano battaglia il “modello Chongqing” e il “modello Guangdong” portati avanti da Bo Xilai e Wang Yang. Sala: «Bo, ex-Segretario di Partito di Chongqing, è stato squalificato dopo lo scandalo che ha travolto lui, la moglie Gu Kailai e l’ex braccio destro Wang Lijun, superpoliziotto, in seguito all’omicidio dell’uomo d’affari - e probabile 007 - britannico Neil Heywood, del quale è stata incolpata Gu». Wang Yang, 57 anni, segretario di partito del Guangdong, una “provincia” di 80 milioni di abitanti (come la Germania) a cui vanno aggiunti almeno 25 milioni di lavoratori migranti (impiegati nelle fabbriche che producono per il mondo intero), appartiene al gruppo riformista. [9]

Slogan «Guangdong Felice!», Wang Yang sostiene che «la priorità non è nel dividere la torta, al momento, ma nel fare che la torta sia più grande». Quando una protesta per le terre infiammò il villaggio di Wukan, ebbe un momento di gloria. Sala: «I contadini espropriati manifestarono ad oltranza ottenendo delle elezioni, le prime quasi democratiche della Cina comunista. Wang Yang disse che “Wukan potrebbe divenire un nuovo paradigma per come governare i villaggi”». Gli analisti non lo vedono però nel Politburo: troppo giovane, e troppo liberista, ammoniscono. Sala: «L’ora per gli apparatchik quasi riformisti non è ancora arrivata». [9]

Al fianco di Xi Jinping ci sarà, dalla prossima primavera, Li Keqiang, che prenderà il posto del premier Wen Jiabao (in carica dal marzo 2003). Paolo Salom: «Ha origini umili, è cresciuto in campagna e, forse per questo, si dice abbia modi “troppo schietti” e “alla mano”, poco graditi nel quartiere di Zhongnanhai, dove risiede la nomenklatura, a un passo dalla Città Proibita». [10] A Pechino circolano già voci su chi dovrebbe guidare la Cina dal 2022 al 2032: Hu Chunhua, attuale segretario del partito in Mongolia interna (classe 1963). Sisci: «Il semplice fatto che si pensi a Hu Chunhua dà un senso di come ragioni la leadership di questo Paese, che tipo di programmi e di piani abbia». [1]

Note: [1] Francesco Sisci, Il Sole 24 Ore 4/11; [2] Ilaria Maria Sala, La Stampa 8/11; [3] Giampaolo Visetti, la Repubblica 9/11/; [4] Giuliano Noci, Il Sole 24 Ore 9/11; [5] Ilaria Maria Sala, La Stampa 9/11; [6] M. D. C., Corriere della Sera 10/11; [7] Danilo Taino, Corriere della Sera 9/11; [8] Giampaolo Visetti, la Repubblica 10/11; [9] Ilaria Maria Sala, La Stampa 10/11; [10] Paolo Salom, Corriede della Sera 9/11.