Sergio Romano, Corriere della Sera 10/11/2012, 10 novembre 2012
Tags : Afghanistan Guerre Talebani
Ci ha spiegato il Vietnam. Ora ci spieghi i perché dell’Afghanistan. Perché i russi l’invasero 30 anni addietro, con perdite di danaro, mezzi e, purtroppo, tanti uomini? Perché poi l’invasero gli americani e poi la Nato, noi inclusi, sempre con enormi perdite di danaro, mezzi e tanti uomini, compresi i nostri 52 soldati? Da ultimo, ma il più importante, perché continuerà sino al 2014 la perdita di danaro, mezzi e uomini? Domenico Capussela capussela@ fastwebnet
Ci ha spiegato il Vietnam. Ora ci spieghi i perché dell’Afghanistan. Perché i russi l’invasero 30 anni addietro, con perdite di danaro, mezzi e, purtroppo, tanti uomini? Perché poi l’invasero gli americani e poi la Nato, noi inclusi, sempre con enormi perdite di danaro, mezzi e tanti uomini, compresi i nostri 52 soldati? Da ultimo, ma il più importante, perché continuerà sino al 2014 la perdita di danaro, mezzi e uomini? Domenico Capussela capussela@ fastwebnet.it Caro Capussela, Q uando invasero l’Afghanistan, nel dicembre del 1979, i sovietici non volevano farne uno Stato satellite per la semplice ragione che il Paese era già comunista. Ma vi erano a Kabul due partiti comunisti (il primo di obbedienza sovietica, il secondo di obbedienza cinese) che si contendevano il potere. Infastidita dalle beghe afghane, Mosca credette di potere tagliare il nodo con una rapida spedizione militare che avrebbe liquidato la fazione cinese e consolidato il potere di quella filosovietica. Ma due mesi dopo, il 23 febbraio 1980, l’Armata Rossa fu colta di sorpresa dall’improvvisa insurrezione dei mujaheddin. Cominciò così il peggiore decennio della storia militare sovietica. Gli insorti poterono contare sul sostegno degli Stati Uniti, del Pakistan, dell’Arabia Saudita, della Cina e dei molti volontari islamici (fra cui Osama bin Laden) che raggiunsero il campo di battaglia nei mesi seguenti. L’Urss avrebbe potuto prendere atto della realtà, chiudere la partita e richiamare in patria i propri soldati. Ma nessuno, a Mosca, era pronto ad assumersi la responsabilità di una decisione che molti, all’interno del partito, avrebbero considerato disfattista. La guerra continuò sino a quando Gorbaciov, nel 1988, ebbe il coraggio di richiamare in patria le formazioni dell’Armata Rossa. George W. Bush decise l’invasione dell’Afghanistan nell’ottobre del 2001 perché ospitava l’uomo, Osama bin Laden, che era responsabile dell’attentato contro le torri gemelle poche settimane prima. Gli americani poterono contare sull’aiuto delle fazioni afghane che non si erano piegate al regime talebano, instaurato nel Paese dopo il ritiro dei sovietici, costrinsero i nemici alla fuga e decisero che l’operazione, per quanto li concerneva, dovesse considerarsi compiuta. Il loro obiettivo non era Kabul ma Bagdad e, nelle intenzioni dei neoconservatori, Teheran. Di lì a qualche tempo, mentre erano impegnati in Iraq, gli americani si accorsero che i talebani stavano riconquistando il Paese e che non erano meno pericolosi di prima. La presidenza Bush montò un nuovo corpo di spedizione e chiese la solidarietà della Nato. Ma anche gli americani, come i sovietici, dovettero constatare che l’osso afghano era più duro di quanto avessero immaginato. Obama concepì allora un’azione in due tempi che avrebbe dovuto permettere alle forze degli Stati Uniti di andarsene dal Paese a testa alta: l’aumento del contingente per assestare un duro colpo ai talebani in una prima fase, e il ritiro delle truppe nella fase immediatamente successiva. Credo che questa strategia sia fallita e che gli americani, al momento della partenza, lasceranno il Paese ai talebani. Fra le due operazioni — quella sovietica e quella americana — corrono molte analogie. In entrambe vi è una combinazione di presunzione e arroganza. Le grandi potenze agiscono militarmente perché si ritengono invincibili e vogliono dare una dimostrazione della loro forza. Rifiutano di riconoscere l’errore perché temono di mandare al mondo un messaggio di debolezza. Ritardano il momento della verità perché in ogni regime politico, anche in quelli autoritari e totalitari, esistono falchi e colombe. Quanto alla Nato, caro Capussela, i sentimenti prevalenti, con qualche eccezione, sono stati quelli della lealtà e della convenienza. Se un amico è nei guai, occorre dargli una mano. Se l’amico è la maggiore potenza dell’Occidente, conviene non fargli un dispetto.